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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 11

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 11
Giovedì 17 agosto 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 18, 21 – 19, 1)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?».
E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 17 agosto 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo diciottesimo del Vangelo di San Matteo, versetti 21 e seguenti.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Bonhoeffer, Sequela.

Il concetto di una situazione in cui è possibile credere è solo un modo per descrivere quello stato di cose, in cui valgono le due proposizioni seguenti, di cui l’una è vera tanto quanto l’altra: solo chi crede ubbidisce, e solo chi ubbidisce crede. Pregiudichiamo gravemente la fedeltà alla bibbia, se lasciamo la prima di queste proposizioni senza la seconda. Solo chi crede è ubbidiente: questo pensiamo di poterlo comprendere. L’ubbidienza consegue infatti alla fede, precisiamo, come il buon frutto viene dall’albero buono. Prima c’è la fede, solo dopo viene l’ubbidienza. Se con questo vogliamo testimoniare semplicemente che solo la fede giustifica e non l’agire nell’ubbidienza, allora questa è senz’altro la premessa necessaria e inconfutabile di tutto quanto segue. Se però si intende dare con questo un’indicazione cronologica, come a dire che prima si deve credere e poi viene l’ubbidienza, allora fede e ubbidienza vengono scisse l’una dall’altra e resta aperta la domanda di grande rilievo pratico circa il momento in cui l’ubbidienza dovrebbe avere inizio. L’ubbidienza resta separata dalla fede. In vista della giustificazione in effetti fede e ubbidienza vanno separate, ma questa separazione non deve mai eliminare la loro unità, per cui la fede esiste solo nell’ubbidienza, mai senza, ed è fede solo nell’azione dell’ubbidienza. In considerazione dell’inadeguatezza del discorso sull’ubbidienza come conseguenza della fede, e del richiamo all’unità insopprimibile di fede e ubbidienza, a fronte della proposizione, secondo cui solo chi crede ubbidisce, si deve porre ora l’altra: solo chi ubbidisce crede. Se nella prima la fede è il presupposto dell’ubbidienza, nella seconda l’ubbidienza è il presupposto della fede. Nello stesso identico modo in cui l’ubbidienza è definita una conseguenza della fede, deve essere anche definita un presupposto della stessa fede. Solo chi ubbidisce crede. Si deve prestare ubbidienza ad un comando concreto perché si possa credere. Si deve fare un primo passo dell’ubbidienza, perché la fede non si riduca a un pio autoinganno, a grazia a buon mercato. Tutto sta nel primo passo. Esso è qualitativamente diverso da tutti gli altri successivi. Il primo passo dell’ubbidienza deve strappare Pietro alle sue reti, farlo uscire dalla barca, deve staccare il giovane ricco dai suoi beni. Solo in questa nuova esistenza posta in atto dall’ubbidienza è possibile credere.

 Questo mi sembra veramente molto chiaro, penso che tutti lo riusciamo a capire bene: nel momento in cui obbedisco entro in una nuova esistenza. Pietro deve lasciare la barca e il giovane ricco “avrebbe dovuto” lasciare la sua ricchezza: se l’avesse fatto sarebbe entrato in una nuova esistenza. Obbedienza e fede sono intimamente connesse, questo è importantissimo. E non possiamo assolutamente andare oltre il valore dell’obbedienza. Non possiamo dire: “Ah no, vabbè, ma l’obbedienza non conta, quello che conta è la fede!” No! Perché l’obbedienza è proprio il luogo nel quale la fede fa maturare un’esistenza nuova.

Bonhoeffer scrive:

Ora questo primo passo va considerato in primo luogo come opera esteriore consistente nel cambiare un modo di esistere con un altro. Ognuno può fare questo passo. L’uomo è in possesso della libertà a ciò necessaria. È un agire nei limiti della iustitia civilis, in cui l’uomo è libero. 

Questo va considerato, c’è questo primo passo che è un’opera esteriore, che vuol dire — l’abbiamo appena detto — cambiare il modo di esistere. Ed è possibile a tutti, è possibile in virtù della libertà. 

Scrive giustamente Bonhoeffer:

Pietro non può convertirsi, ma può lasciare le reti. Sul piano dei contenuti, nei vangeli con questo primo passo si esige già un agire che riguarda la totalità della vita. — Certo, lascio le reti, lascio mio padre, lascio tutto — La chiesa romana ha richiesto questo passo solo come possibilità eccezionale del monachesimo, mentre per gli altri fedeli bastava la disponibilità a sottomettersi senza riserve alla chiesa e ai suoi comandamenti. — Sta facendo riferimento alla nostra Chiesa cattolica — Anche negli scritti confessionali luterani significativamente si riconosce l’importanza di un primo passo: dopo aver rimosso una volta per tutte il pericolo di fraintendimenti sinergistici, si può e si deve lasciare spazio a quella prima azione esteriore richiesta in vista della fede: in questo caso si tratta del passo verso la chiesa, dove si predica la parola della salvezza. Un passo che si può fare in piena libertà. Vieni in chiesa! È una cosa che puoi fare in forza della tua umana libertà. Puoi uscire di casa la domenica e recarti ad udire il sermone. — Noi diciamo: andare alla messa — Se non lo fai, ti escludi volontariamente dal luogo in cui è possibile credere. Gli scritti confessionali luterani attestano in tal modo di conoscere una situazione in cui è possibile credere, e un’altra in cui la fede non è possibile. Certo, questa cognizione resta molto in ombra in questi testi, quasi ci si vergognasse di essa, ma tuttavia è presente proprio come cognizione dell’importanza del primo passo in quanto azione esteriore.

È interessante anche questo parallelismo che fa Bonhoeffer tra la Chiesa cattolica apostolica romana e il mondo luterano: ci sono delle differenze, ovviamente, differenze sostanziali che abbiamo visto, che io vi ho voluto leggere perché credo che sia molto interessante anche questo. Magari non tutti conoscono la realtà luterana, e non è questo il luogo per metterci a disquisire sull’una e sull’altra. Questo è il luogo per dire: in entrambe le realtà, seppur così diverse, c’è un primo passo da fare e questo primo passo è legato alla libertà dell’uomo, è l’uomo che liberamente sceglie di farlo. 

Circa il primo passo scrive: «cognizione dell’importanza del primo passo in quanto azione esteriore».

Una volta stabilito questo, si deve dire in secondo luogo che questo primo passo, in quanto azione puramente esteriore — lascio le reti e seguo — è e resta una morta opera della legge, di per sé non in grado di portare a Cristo.

Non è sufficiente lasciare le reti, questo primo passo è un primo passo. Un primo passo molto esteriore, molto concreto: lascio le reti, sì, ma il primo passo, come realtà esteriore, in sé non è altro che una cosa esteriore, un passo iniziale.

Come azione esteriore, la nuova esistenza rimane del tutto identica alla vecchia; nel migliore dei casi si acquista una nuova legge di vita, un nuovo stile di vita, che però non ha niente a che fare con la nuova vita con Cristo.

Quindi anche questo è interessante: non confondiamo un nuovo stile di vita, non confondiamo una nuova legge di vita con la nuova vita con Cristo. Sono due cose diverse. Torno dal pellegrinaggio, magari a un qualche famoso santuario mariano, e dico: “Ah, la mia vita è cambiata!”. Ma è cambiato il tuo stile di vita, è cambiata la tua legge di vita, o tu hai una nuova vita con Cristo? Guardate che non è così ovvio, per niente! Infatti, che cosa succede? Succede che non di rado qualcuno che dice “Ah, io sono andato lì e mi sono convertito!” in capo a tre mesi, o anche meno, torna peggio di prima. Perché? Perché in realtà non ha fatto altro che assimilare, in modo tra l’altro assolutamente precario e temporaneo, un nuovo stile di vita; non una nuova vita in Cristo. Perché capite che se io ho un nuovo stile di vita, e la mia vita però è quella vecchia, ho un nuovo stile di vita della vita vecchia! Se invece è qualcosa di serio, io non ho nuovo stile di vita, io ho una nuova vita con Cristo: tutta un’altra cosa! 

Bonhoeffer scrive: 

L’alcolizzato che si libera dell’alcol, il ricco che rinuncia al suo denaro, sono certo liberati in tal modo dall’alcol e dal denaro, ma…

 Scusate se vi lascio un attimo con un po’ di suspense prima di continuare. Sono contento di leggere questa cosa, perché io personalmente ho sempre avuto una repulsione — adesso ve lo leggo e capirete — per queste cose, che secondo me sono un po’ teatrali, dell’“Andiamo ad ascoltare tutti tizio che racconta la sua conversione”, e tutti cominciano: “Io ero un drogato, io bevevo, io andavo con le prostitute, io avevo una vita sessuale terrificante, disordinatissima, io stavo in discoteca fino alle cinque del mattino, io fumavo gli spinelli, io mi drogavo in ogni modo, io…” e comincia tutta questa cosa, dove uno dice: “Eh mamma, e adesso?” — “Eh adesso faccio il digiuno due volte alla settimana, adesso invece dico il Rosario tre volte al giorno, adesso invece vado a messa, adesso invece…” — “Hai visto che conversione?”.

Attenzione, attenzione! E adesso vi dico cosa dice Bonhoeffer. Guardate, davvero se voi andate indietro nelle omelie a leggere, ad ascoltarle, vedete che ogni tanto sono intervenuto su queste cose perché io non sono mai andato, non sono mai voluto andare a queste cose, che saranno bellissime, stupende, meravigliose, ma io non ci sono mai voluto andare. Perché? Perché non mi dicevano niente: nel senso che percepivo che non veniva colto il centro della questione, il problema della questione, che non è “io ero drogato, adesso non lo sono più. Ero alcolizzato, adesso non sono più. Avevo una vita sessuale disordinata, adesso invece sono un santo del cielo…” Il punto della questione non è questo, e Bonhoeffer adesso lo sintetizza in un modo fantastico. Sentite, rileggo: 

L’alcolizzato che si libera dell’alcol, il ricco che rinuncia al suo denaro, sono certo liberati in tal modo dall’alcol e dal denaro, ma non da sé stessi.

Questo è il punto! Questo è il punto! Guardate che parole bellissime, verissime: 

Ognuno di loro resta del tutto centrato su sé stesso, se possibile anche più di prima; restando sotto l’esigenza dell’opera essi rimangono interamente nella condizione di morte propria della vecchia vita. È vero che l’opera deve esser fatta, ma per sé stessa non fa uscire dalla condizione di morte, di disubbidienza e di lontananza da Dio. Se da parte nostra intendiamo il nostro primo passo come un presupposto della grazia, della fede, già per questo motivo l’opera basta per giudicarci ed escluderci totalmente dalla grazia: laddove nell’opera esteriore rientra tutto ciò che di solito chiamiamo intenzione, buoni propositi, tutto ciò che la chiesa romana definisce come facere quod in se est. Se facciamo il primo passo pensando di metterci nella situazione della possibilità di credere, anche questa possibilità di credere non risulta a sua volta altro che un’opera, una nuova possibilità di vita all’interno della nostra vecchia esistenza; essa dunque viene completamente fraintesa e noi persistiamo nella nostra mancanza di fede.

Allora, vediamo un po’, ve lo spiego, ma credo che abbiate tutti capito. Il punto non è fare l’apologia della mia conversione, dire: “Ecco io ero alcolizzato, non bevo più, ero drogato, non mi drogo più…”. È sempre così: voi andate lì e sentite questi tizi che vi raccontano — magari vestiti da frati, da suore, da non so che cosa — e cominciano, no? Poi tirano su le maniche per far vedere le mani con tutti i tatuaggi: “Ecco la mia vita passata…”. Lui dice: “Il punto non è questo. Il punto è: tu ti sei liberato da te stesso?” È questo il punto. Non che eri un drogato e adesso non lo sei più. Perché il rischio — ed è quello che succede di fatto — è che dentro tutti questi racconti chi sta al centro? La persona. È la persona che racconta la sua conversione. Anzi, Bonhoeffer dice: “Adesso è più al centro di prima. Certo, esteriormente sembra un santino. Ma interiormente è ancora più ego-centrato” perché si resta intrappolati dentro a questa esigenza dell’opera — ero drogato e non lo sono più, ero qui e non lo sono più, prima vivevo nell’ozio, adesso invece mi spacco la schiena dalla mattina alla sera — ho il sudometro dal mattino alla sera… ho il sudometro! Lo sapete? Tra i cristiani oggi c’è chi va in giro con la corona del Rosario e la Sacra Bibbia, e altri invece vanno in giro col sudometro. Il sudometro — [scherzosamente] l’ho inventato io, è uno strumento, se volete ve lo mando, ho il brevetto — è uno strumento che io ho inventato, che per alcuni cristiani è più importante del crocifisso. È molto semplice: raccoglie tutto il tuo sudore e a fine giornata ti dà la quantità di sudore che tu hai versato nelle tue super fatiche apostoliche, fraterne e non so quant’altro, tutto quello che tu hai sudato per fare opere degne del tuo essere cristiano. E il bello del sudometro che ho inventato, è che non solo raccoglie il tuo sudore — che già capite che è una cosa importante — ma ti permette, attraverso un meccanismo particolare, di misurare il sudore degli altri. Capite? Il sudometro by padre Giorgio Maria ti dà la possibilità anche di misurare quanto suda quello che hai davanti a te. E così puoi vedere quello lì se veramente è uno che vale, se veramente è uno che funziona, oppure — come diciamo dalle nostre parti — “è una cannetta di vetro”, se al posto della colonna vertebrale ha una cannetta di vetro che appena si piega si spacca. Ecco, il sudometro ti permette di misurare quanta fatica fa l’altro, se ne fa più o meno di te, e se raggiunge quel quorum minimo necessario per potersi dire: “Vabbè, è almeno un cristiano accettabile”. Però deve sudare, deve sudare! Ecco, tutti coloro che acquistano il sudometro, Bonhoeffer dice — voi non ditelo a nessuno, ovviamente, sennò io non vendo più i sudometri — che rimangono nella condizione di morte propria della vecchia vita; tutti i possessori del sudometro, anche se fanno opere in apparenza meritorie, di fatto sono ancora dentro lo stile di prima, al centro c’è ancora l’io, non c’è Dio.

Quindi dobbiamo stare attenti a non fraintendere i piani. Altrimenti, invece che vivere nella fede, viviamo nella mancanza di fede, perché al centro non c’è Dio. 

Prosegue Bonhoeffer:

Eppure l’opera esteriore deve aver luogo, eppure dobbiamo entrare nella situazione del poter credere.

Cioè, Pietro deve lasciare le reti.

Dobbiamo fare il passo. Che significa? Significa che questo passo è fatto correttamente solo quando lo facciamo non nella prospettiva della nostra opera, che deve essere compiuta,

Cioè: “Io mi drogavo, c’avevo i problemi, e adesso? Adesso invece canto in gregoriano dalla mattina alla sera. Prima dicevo i “probblemi” con quattro “b”, adesso invece dico «problémi», con la “e” corretta, con su l’accento”. Non è questo, no? Non è questo. Questo primo passo va fatto… Altrimenti uno dice: “Allora non mi muovo più!”. No, perché Pietro ha lasciato le reti, devi lasciare le reti, ma questo primo passo va fatto correttamente. Quando lo facciamo correttamente?

quando lo facciamo non nella prospettiva della nostra opera che deve essere compiuta, ma esclusivamente nella prospettiva della parola di Gesù che ci chiama a compierlo.

Non è che “io so’ tossico e adesso non so’ più tossico perché io l’ho deciso, perché è venuto da me, perché io ho capito che…”. Ma no! “Perché Cristo mi ha chiamato”, questo è il punto: quel primo passo di essere uscito da quel mio vizio, da quella mia opera di morte, da quella mia vita vecchia, è un frutto della vocazione, della chiamata alla sequela. Cioè, avviene grazie alla chiamata di Gesù. Io lascio le reti perché Gesù mi chiama, non perché io vedo Gesù e decido di lasciar le reti, capite? Non è Pietro a dire: “Ah, vedo Gesù, aspetta un momento, lascio tutto, lo seguo.” No, perché quello non diventa il luogo dell’obbedienza, il luogo della fede: obbedienza a chi? A sé stessi. L’obbedienza deve essere l’obbedienza al comando di Cristo: “Seguimi!”. Quindi “il primo passo è fatto correttamente se fatto nella prospettiva della parola di Gesù che ci chiama a compierlo”.

Ritorniamo a Pietro che cammina sulle acque:

Pietro sa di non poter uscire dalla barca con le sue forze

Non è che dice: “Ah, io adesso decido che cammino sulle acque”. No, perché va giù.

— in quel caso il primo passo sarebbe già il suo andare a fondo — l’abbiamo già visto — e perciò invoca: «Comanda che io venga a te sulle acque», e Cristo risponde: «Vieni».

Ecco: Cristo comanda, Pietro può camminare sulle acque. Se Pietro avesse detto: “Bene, Gesù cammina sulle acque lo faccio anch’io, voglio seguirlo!”, giù, dentro nel mare! Va giù, affonda subito, perché viene da sé: non può esserci nessuna fede, perché non c’è nessuna obbedienza, capite? Obbedienza a nessun comando. Quando invece Pietro capisce come girano le cose, dice: “Comanda tu: io voglio venire, ma tu mi devi comandare di farlo” e Gesù dice: “Vieni!”, ecco che allora si realizza, si apre la porta dell’obbedienza, quindi si può realizzare la fede, quindi Pietro passa all’azione.

Dunque ci deve essere la chiamata di Cristo: solo in rapporto alla sua parola si può compiere il passo.

Chiaro?

Questa chiamata è la sua grazia, che dalla morte chiama alla nuova vita nell’ubbidienza. Ma ora, dopo che Cristo ha rivolto la sua chiamata, Pietro deve uscire dalla barca, per venire a lui. Per cui in effetti già il primo passo dell’ubbidienza è un fare della fede nella parola di Cristo.

Ah, bellissimo, eh? “Il primo passo dell’obbedienza è un fare”. Chi ubbidisce fa, ma senza sudometro. È un fare di che cosa? Di me? No, è un fare della fede in chi? Nella parola di Gesù. Questa è l’obbedienza. L’obbedienza è molto concreta, l’obbedienza è proprio un’opera, ma è un’opera di fede in che cosa? Nella parola di Gesù.

Ma si disconoscerebbe completamente la fede in quanto fede, se si tornasse a concludere da quanto detto che allora non è più necessario il primo passo, — eh certo, perché il primo passo è fondamentale! — visto che la fede sarebbe già presente.

No! La fede non è già presente prima, a monte del primo passo.

Al contrario, dobbiamo arrischiarci a formulare la seguente proposizione: bisogna prima fare il passo dell’ubbidienza, prima che sia possibile credere. Chi non ubbidisce non può credere.

Ci fermiamo qua, perché mi sembra che abbiamo già detto tantissimo. Domani vedremo ancora: va avanti su questa cosa. Vi lascio con questa domanda, alla quale dopo lui risponde egregiamente:

Ti lamenti di non essere capace di credere?

Quante volte noi diciamo: “Eh, ma io non ho fede”, “Eh, ma io non riesco a credere”, “Eh, ma io non ce la faccio…”. Bonhoeffer dice: “Ti lamenti di non essere capace di credere?”. Domani sentirete che risposta di fuoco dà a questa domanda.

Quindi, prima il passo dell’obbedienza. In chi? Nella parola di Gesù. Ok, quindi è un fare — ha detto molto bene — della fede nella parola di Gesù. Quindi, prima il passo dell’obbedienza: noi seguiamo Gesù, perché Gesù ci comanda di farlo, Gesù ci chiama a farlo. A questo punto si realizza la fede, quindi Pietro esce dalla barca dopo che Gesù dice: “Vieni!”. Fa alcuni passi — ecco che comincia a realizzarsi la fede — e comincia ad affondare, perché dubita. Avete visto? Quando la fede, grazie all’obbedienza, è chiamata in gioco, lui fa qualche passo, ma poiché si spaventa e poiché dubita — perché c’è tutto il mare in tempesta — allora comincia ad affondare. Eh, basta, quello è il momento della fede. Spero di essere riuscito a chiarirvi un po’ di più le idee.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

 

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