Catechesi di lunedì 11 settembre 2017
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
Ascolta la registrazione della catechesi:
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Brano commentato durante la catechesi:
Genesi 22, 1-10
1 Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. 2 Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. 3 Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4 Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5 Allora Abramo disse ai suoi servi: “Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi”. 6 Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. 7 Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. 8 Abramo rispose: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”. Proseguirono tutt’e due insieme; 9 così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10 Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.
Testo della catechesi
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Proseguiamo la nostra catechesi sul tema della “Fede” e questa sera vedremo un’altra figura. La volta scorsa abbiamo visto Adamo ed Eva, questa sera ci soffermiamo su due testi, che dobbiamo tenere vicini e che sono: Genesi capitolo 22, “Il sacrificio di Isacco”, e la Lettera agli Ebrei, capitolo 11. Questi due testi ci serviranno come base per la catechesi di questa sera; sono ovviamente due testi abbastanza impegnativi, quindi vi raccomando molta concentrazione.
Genesi 22, 1-10
1Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. 2Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. 3Abramo si alzò di buon mattino, sellò l’asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. 4Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. 5Allora Abramo disse ai suoi servi: “Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi”.
6Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme. 7Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”. 8Abramo rispose: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”. Proseguirono tutt’e due insieme; 9così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna. 10Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.
Allora: «Dio mise alla prova Abramo», che è ben diverso dal “tentare”; Dio non tenta nessuno, ma mette alla prova. Questo è un concetto fondamentale: il Signore mette tutti alla prova, tutti noi veniamo messi alla prova da Dio; è proprio la sua pedagogia fare questo e vedremo perché mette alla prova. Ma il primo dato di fatto è che Dio mette alla prova e, quindi, noi dobbiamo accettarlo, dobbiamo accettare l’idea di essere messi alla prova da Dio in persona e non, come diciamo noi: dalla storia, dagli eventi, dalla vita; no, no, no, è Dio che mette alla prova, e se questo ci scandalizza, vuol dire che abbiamo un’errata concezione di Dio.
Dio mette alla prova Abramo e gli dice:
“Abramo, Abramo!”
Lo chiama due volte, ha un tono solenne. Sta per succedere qualcosa di grosso, e Dio richiama fortemente l’attenzione di Abramo.
Dio le prove le prende sul serio, perché nella prova ci si gioca tutto. Come Adamo ed Eva si son giocati tutto, e hanno perso tutto, così anche Abramo deve giocarsi tutto e può perdere tutto.
Quindi Dio mi mette alla prova, ma mi mette alla prova da Dio, non così come faremmo noi, mi mette alla prova in modo serio, ci mette tutta l’attenzione dovuta, tutta la solennità del caso. Perché nella prova che noi riceviamo da Dio, lì ci giochiamo tutto; tutta la persona, tutta la nostra storia, tutto il nostro futuro, il nostro presente, viene a essere messo sotto questa luce particolare.
Ma la domanda è: perché Dio mette alla prova? Dio mette alla prova per farci del bene. Mentre il demonio tenta per farci del male, allontanarci da Dio, farci commettere il peccato, Dio mette alla prova per farci del bene, per purificarci, per togliere da noi tutto ciò che non è umano e che non è secondo il suo gusto. Il Signore ci vuole purificare, questa è la ragione della prova. Il Signore, attraverso la prova, vuole fare in modo che noi la vinciamo, la superiamo, per uscire creature nuove, migliori, più forti.
Quindi non dobbiamo mai dire: “Perché Dio mi mette alla prova?” o “Perché Dio permette questa prova?”; Dio la permette — o la vuole — perché tu cresca, perché tu diventi una persona nuova, diversa.
Rispose: “Eccomi!”.
È bella questa risposta di Abramo, perché è una risposta totale. Dio lo chiama e Abramo dice: sono qui; Abramo ascolta, Abramo risponde. Non è come noi, che non ascoltiamo e non rispondiamo. Abramo c’è e risponde. Non fa come quelli che hanno il telefono cellulare, tu chiami e non rispondono. Poi ci sono sempre mille ragioni per cui non ti rispondono, però sta di fatto che non rispondono. Ci sono poi quelli che, quando chiamano te, se non rispondi viene giù il mondo, e ci sono persone che non rispondono mai, solo rarissimamente. Ma quando tu chiami è perché hai bisogno, è perché vuoi comunicare qualcosa!
Dio vuole comunicare qualcosa ad Abramo e Abramo non è un ascoltatore distratto, Abramo ascolta e dice: sono qui. Allora Dio comunica ad Abramo la sua volontà, che è la prova. Abramo non lo sa, fino a questo momento Abramo non sa niente, non sa cosa sta succedendo, sa solo che Dio, in modo solenne, lo sta chiamando.
Prendi tuo figlio…
Cioè: prendi tutto; prendi il tuo futuro, il tuo presente, prendi ciò che tu hai desiderato per tutta la vita avere; prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami.
Vedete, Dio, a differenza di Satana, non inganna nessuno. Dio è chiarissimo, ed è una chiarezza cristallina; Dio ti dice chiaramente i termini della prova, non ti nasconde niente, non fa giri di parole, no, no: “Prendi tuo figlio; ma ti dico io chi è tuo figlio. Magari tu te lo sei dimenticato, io no”, infatti dice:
Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio…
perché è l’unico nato da sua moglie, non dalla schiava. Quindi, prendi il tuo unico figlio, quello che tu hai tanto desiderato, quello che tu ami, quello che la traduzione greca direbbe “il prediletto”. Il tuo unico figlio prediletto, lo devi prendere, la prova riguarderà questo ambito. Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, cioè tu devi prendere tutto, e non hai un’alternativa, non ci sarà una compensazione. No, no, tu devi proprio andare al fondo della radice di quella pianta e la devi prendere tutta. Volesse mai il cielo che ti sei dimenticato chi è il tuo unico figlio prediletto, te lo dico io chi è: è Isacco — che voi sapete, Isacco — tradotto — vuol dire “sorriso di Dio”. Quindi Dio gli dice:
“Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”.
I termini della prova sono chiari, adesso Dio ha detto tutto: devi prendere tuo figlio, il tuo unico figlio, il prediletto che tu ami, Isacco, vai nel territorio di Moria (un posto ben preciso) e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò. Da notare: Dio non gli chiede semplicemente un sacrificio, ma un olocausto. E c’è una grande differenza tra sacrificio e olocausto. Il sacrificio è quando io prendo la vittima, la uccido e la offro in sacrificio a Dio; l’olocausto è quando consumo tutto, non rimane niente di quella vittima lì; si brucia tutto, si consuma tutto, tutto viene portato via. L’olocausto è proprio il sacrificio all’ennesima potenza, è il sacrificio totale, radicale. Non ti rimane più niente, di quella cosa lì; l’olocausto è tutto. E ricordate infatti S. Teresina, che si offre quale “vittima di olocausto all’amore misericordioso”; cioè, offre tutto.
Dio nemmeno dice su quale monte, tu sai solamente che lo devi prendere e portar via e che lo dovrai uccidere; “il dove te lo comunicherò più avanti”. Che noi avremmo detto: “Beh, ma almeno dimmi dove, almeno quello…”.
Ecco, voi adesso dovete immaginarvi cosa può voler dire, cosa ha voluto dire, per questo uomo anziano, per questo papà, aver ricevuto questa parola di Dio, e sapere che adesso ha davanti una scelta. Adesso cosa facciamo? Dio ha detto la sua volontà senza aggiungere altro.
Abramo si alzò di buon mattino…
Magari Dio glielo avrà detto di notte; chi lo sa! Sta di fatto che Abramo al mattino si alza, senza tergiversare; sella l’asino, prende con sé due servi, prende con sé il figlio Isacco, spacca le legna per l’olocausto e si mette in cammino verso il luogo che Dio gli aveva indicato.
Notate proprio quanto è stringato il racconto; non c’è spazio, non c’è un buco dove si dica un qualcosa di quello che sta avvenendo nel cuore di Abramo; non c’è. C’è solamente il fatto che sappiamo che Abramo sta decidendo di obbedire totalmente, e, notate: di obbedire senza sé e senza ma; di obbedire senza lamenti; non un fiato; Dio l’ha chiamato, lui ha risposto, Dio gli ha detto cosa; lui si sta muovendo, e “di buon mattino”, cioè, subito, non aspetta mezzogiorno. Perché, quando Dio chiede, l’amico di Dio risponde. Chi si fida di Dio, lo si capisce da qua: “Di buon mattino, si alza e va”, e fate caso ai dettagli, non dice si alzò di buon mattino e andò, ma dice: si alzò di buon mattino e fece delle cose precise, perché, quando uno si muove nella fede, tutto ciò che fa è grande, tutto ciò che fa è degno di nota, anche sellare un asino, tutto diventa importante. La fede rende grande ogni gesto, perché lo stai facendo in nome di qualcuno, lo stai facendo per qualcuno e questo rende grande tutto (se l’hai fatto e lo fai con fede).
Il terzo giorno…
Quindi, da quando è avvenuto l’incontro con Dio sono passati tre giorni. Sapete quanto sono lunghi tre giorni? Per sapere quanto sono lunghi, per intuire cosa può aver passato Abramo (perché magari una richiesta di fede così grande a me non è stata ancora chiesta), per sperimentare la tempistica, la durata del tempo — perché il peso del tempo è uno dei pesi che nella prova ha dovuto portare Abramo — si fa in un mondo solo: digiunate per tre giorni a pane e acqua e vi rendete conto immediatamente di che cosa sono tre giorni, subito. Se voi vi mettete a digiuno a pane e acqua per tre giorni, voi capite immediatamente quanto sono lunghi tre giorni. E il digiuno a pane e acqua per tre giorni è niente, a confronto di quello che avviene nell’anima in una situazione del genere, perché il digiuno ti svuota lo stomaco, ma quello che un uomo sperimenta in una prova del genere dell’anima è mille volte di più.
Il tormento, la sofferenza, l’incertezza e il dramma terribile: “devo ammazzare mio figlio, che Dio mi ha dato”. Ma allora, perché me l’ha dato? Se adesso lo devo uccidere, perché me l’ha dato? L’ho desiderato tanto, non arrivava mai, poi, a un certo punto è arrivato, me l’ha promesso lui, me l’ha dato, e adesso, quando diventa adulto, a 12 anni, io lo devo andare ad ammazzare; ma allora che me l’ha dato a fare?
Tre giorni così sono un inferno, sono infiniti, non passano mai. Soprattutto perché lui non sa che sono tre giorni; non è che Dio gli ha detto: da oggi, per tre giorni, sarà così, buio. No, “da adesso in avanti”, Dio non ha più parlato. E Abramo non sa quando Dio riparlerà; gli ha detto che glielo indicherà, ma quando lo dirà? Non si sa! Noi sappiamo che sono stati tre giorni, lui non lo sapeva.
Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo.
È arrivato! Quindi: ha impiegato tre giorni, arriva in questo luogo, allora Abramo si è si è reso conto che quello che Dio gli ha detto adesso si sta concretizzando, è arrivato a destinazione.
Allora Abramo disse ai suoi servi: “Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da voi”.
L’atto di fede non può essere compiuto in compagnia, sul monte ci vai da solo, l’obbedienza di Dio si fa da soli, nudi e crudi; non ci sono compagni di cammino. Ti accompagnano fino a un certo punto, poi basta. Poi l’ultimo pezzo tocca a te, quel momento lì, solenne, sei tu da solo con la vittima sacrificale, non c’è spazio per nessuno altro. E, notate, lui neanche cerca consolazione, non dice una parola, di quello che gli ha detto Dio. Anche qui non fa versi, non dice niente e non rivela il piano, gli dice una “santa bugia”, e dice: “andremo, faremo e torneremo”; ma non è vero, “andremo e tornerò”, non “torneremo”, perché Isacco non tornerà più, non dovrebbe tornare più, perché Dio gli ha detto che doveva ucciderlo, lo sa benissimo che tornerà da solo; ma per non allarmare nessuno, onde evitare domande di qualsiasi genere e specie, lui dice: “andremo e troneremo”. E lascia lì tutto quello che non serve, l’asino non serve più.
A questo punto, cambiano gli strumenti, perché l’atto di fede è fatto di concretezza, non è fatto di bei pensieri e di belle parole. L’atto di fede è fatto di cose molto concrete, e ora Dio lo fa vedere ad Abramo, che cosa sono le cose concrete!
Abramo prese la legna
perché, essendo un olocausto, deve bruciare tutto. Se si fosse trattato di un sacrificio, sarebbe bastata una pietra, ma Dio ha detto olocausto e, quindi, Abramo non avrà neanche la consolazione di poter portare a casa la carcassa del figlio, seppellirlo per poterlo andare a visitare; no, perché il figlio rimane lì, tu lo uccidi e, in più, rimane lì, perché è un olocausto, non rimane niente, polvere, perdi tutto.
Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco…
Abramo carica sul figlio la legna: Isacco è un olocausto che cammina, e lui lo vede! Non è che la porta lui e dice: “Eh poverino…”; no, è un olocausto, e quindi si porta la sua legna. Vedete come Abramo è completamente entrato nella logica di Dio, esattamente il contrario di Adamo ed Eva. Prima ancora di compiere l’olocausto, Abramo l’ha già fatto. È proprio completamente orientato lì, quindi la legna la porta Isacco, perché tanto ci deve morire sopra, è lui olocausto.
prese in mano il fuoco e il coltello
gli strumenti della morte; prende in mano ciò che porrà fine totalmente alla vita di suo figlio, ai suoi sogni, alle sue attese, alle sue speranze. Possiamo vedere, magari in un modo un po’ forzato, che questo fuoco è chiamato a sostituire il fuoco dell’amore che lui ha per Isacco. Questo fuoco che lui dovrà accendere, che servirà per consumare Isacco, è proprio il fuoco dell’amore più grande che lui ha per Dio. E il coltello è la sua volontà; lui decide di ucciderlo. Il fuoco che porta nel petto si deve perdere nel fuoco che lui dovrà accendere per l’olocausto.
E il bello sarebbe che nessuno di noi sapesse come finisce, cioè noi dobbiamo stare proprio al racconto e, per adesso, è drammatico allo stato puro.
…prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt’e due insieme.
Ma la prova deve essere fatta bella spessa, perché sennò che prova è? Se non hai due occhioni che ti guardano, che prova è? È una prova tutta solipsistica, ma le prove di fede non sono mai solipsistiche. Nelle prove di fede arriva necessariamente un certo punto dove per forza hai due occhioni che ti guardano, sennò non è una prova di Dio. Adesso arrivano gli occhioni, che è il momento più tragico.
Isacco (gli occhioni) fino adesso non ha detto una parola, e noi dobbiamo sentirlo, questo silenzio; qui non ha parlato nessuno, è proprio un cammino tutto in silenzio. Nessuno che chiede, nessuno che dice, niente, silenzio puro. Ma a un certo punto a Isacco una luce si accende, una domanda gli sorge, una domanda della ragione:
Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”
Per Abramo, una coltellata pura: ecco che gli occhioni ti si piantano nella carne, “Padre mio”. Vorrei tanto che ciascuno di noi sentisse il peso atomico di queste due parole: “Padre mio”; non è che gli dice direttamente la domanda, no, lo chiama proprio padre, lo sta reinvestendo e sta riconoscendo tutta la relazione che c’è tra di loro. Una prova, questa, da far andare fuori di testa chiunque. Abramo risponde:
“Eccomi, figlio mio”
Sono lucidissimi entrambi, e Abramo dimostra una lucidità incredibile, con questa risposta, a dire: io accetto, riconosco che è vero che sono tuo padre, tanto è vero che tu sei mio figlio. Qui proprio si sente l’unione fortissima tra padre e figlio, in un rapporto bellissimo, di un figlio avuto come dono eccezionale, come miracolo.
Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov’è l’agnello per l’olocausto?”.
A Isacco manca un pezzo; c’è tutto, ma dov’è l’olocausto? Cos’è che offriranno come vittima?
Abramo rispose: “Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!”.
Ecco, credo che questo, per tutti noi, ma soprattutto per chi ha un compito educativo, sia veramente uno dei vertici più alti dell’amore. Chi è padre, veramente si comporta così; questo vuol dire insegnare a un ragazzo a essere figlio. Lui non lo angoscia, non lo investe col terrore della morte, non lo investe con qualcosa che Isacco non avrebbe potuto capire. Lui sa che cosa sta per succedere, ma a Isacco lui comunica solo la sua fede. Lui sa che lo sta per ammazzare, ma la fede di Abramo è talmente grande, che lui dice: quello che sta per succedere comunque è nella Provvidenza di Dio, anche la tua morte. Sta per succedere qualcosa di gravissimo, qualcosa che porrà termine a questo essere “padre mio e figlio mio”; tra poco, tutto questo “mio” finirà, ma finirà dentro la Provvidenza di Dio. Dio ha creato questo rapporto, questa figliolanza, questa appartenenza; Dio mi sta chiedendo di porre termine, ma questo porre termine sta dentro la sua Provvidenza.
Avere una fede tale per cui anche la morte rientra nella Provvidenza di Dio, ecco, questo è un vertice, e questo ti permette di non investire l’altro con le tue angosce, i tuoi dubbi, le tue perplessità, le tue immaturità, le tue inconsistenze. È così che Abramo dimostra veramente di amare suo figlio. Perché Isacco arriva fino al punto estremo senza sapere nulla, se non che si sta fidando di suo padre, Abramo, e Abramo si sta fidando di Dio.
Proseguirono tutt’e due insieme…
Sono sempre insieme, vedete che la Scrittura ce lo dice sempre. Sono sempre insieme, camminano insieme. Abramo non lascia un secondo Isacco, proprio non si allontana un secondo, è sempre lì. Lo accompagna in questo olocausto fino in fondo, e la Scrittura non ci dice neanche che versa una lacrima. Ma del resto, se ha fede…!
Vedete quanto siamo stupidi noi, quanto siamo anche bugiardi e falsi, quando diciamo: sì, ho fede, però… No, è che non hai fede, punto. “Sì, ho fede, però sono umano; sì, ho fede, però sono debole, sì, ho fede, però questo è troppo duro. No! La frase giusta è: “Io non ho fede, e quindi questa prova non riesco a reggerla”. Perché, se tu avessi fede… questo è il prototipo, questo è quello che accade nella tua vita, e queste sarebbero le risposte agli atteggiamenti che tu avresti.
La Scrittura dice: «Proseguirono tutt’e due insieme»; tra l’altro, quando noi soffriamo o viviamo queste prove, cosa facciamo? Se sono prove che riguardano anche l’altro, spesse volte lo abbandoniamo, e questo è molto brutto. Esempio classico: la persona che amo di più sta morendo di tumore; la frase che alcune volte si sente dire è: no, non ce la faccio, per me è troppo pesante, non ci vado. Tu non stai accompagnando questa persona “nel territorio di Moira, sul monte che io ti indicherò”, tu sei arrivato a un certo punto e sei tornato indietro. Perché camminare insieme con la vittima, non è mica semplice! Con questi occhioni che ti fissano, non è semplice.
Quando ero adolescente facevo servizio in ospedale, ricordo il caso di un ragazzo sui trent’anni, un giovane uomo che, se non ricordo male, mi sembra che fosse pakistano, e a questo ragazzo avevano diagnosticato un tumore alla lingua. E questo tumore alla lingua poi gli aveva preso tutta la bocca, esofago, gola e poi, da lì, è andato in metastasi. E mi ricordo che a questo ragazzo facevano le radioterapie in gola e sulla lingua. Quando tornava dalla radioterapia, è indescrivibile dire com’era. E noi andavamo a fare servizio per aiutare queste persone ammalate. Io avevo circa 14 anni e a me e ad altri, che eravamo più piccolini, facevano fare i lavori più semplici, tipo dargli da mangiare e stare lì con loro. E io mi ricordo che stare vicino a quest’uomo era una roba terribile, perché veniva fuori una puzza, ma un odore di morte, di cancrena, di carne cotta, soprattutto quando tornava dalla radioterapia. Ma un odore, una roba… E io ricordo che, quando questo ragazzo apriva la bocca, io vedevo che era tutta nera: la lingua nera, le gengive nere, le labbra nere; tutto era tra il nero e il viola. Io non avevo mai visto prima una cosa del genere. Immaginatevi a 14 anni uno come rimane di fronte a una scena del genere, di un uomo bruciato in bocca; un odore terribile! E mi ricordo che la prima reazione che ho provato è stata quella di dire: no, io come faccio? Già all’ospedale è tutto chiuso, poi se io devo stare in camera con questa persona, che viene su dalla radioterapia conciata in questo modo! Lui non può parlare, perché appena fatta la radioterapia ovviamente non parlava, poi, quando poteva parlare, parlava poco e male. Io dicevo: ma cosa sto qui a fare? Mangiare, non poteva mangiare, bere, non poteva bere; tutto con le flebo e con le cannette! Anzi, ricordo che, quando era riuscito a parlare, mi aveva detto: io non posso bere niente, non mi scende giù una goccia d’acqua, ho una sete terrificante, mi sento il fuoco in gola e non posso deglutire nulla. Quindi, quando io ho fatto presente i miei dubbi sul mio stare con questo ragazzo, mi hanno detto: “Giorgio, ma tu cosa vieni in ospedale a fare? La ragione per cui tu sei qui, qual è? In ospedale, non vai a trovare le persone sane! Se tu vuoi trovare le persone sane e profumate, vai all’oratorio a giocare a calcio. Ma se vuoi venire a fare servizio in ospedale, qui non trovi le persone sane e profumate, qui trovi gli ammalati, e gli ammalati sono queste persone. Il tuo compito, quando vieni, visto che ti sei assunto la responsabilità di venire due volte a settimana ad aiutare gli ammalati, a dar da mangiare agli ammalati, è stare dove noi ti mettiamo. E ci devi stare accanto per le due ore di tempo che tu hai donato per queste persone, punto. La persona che a te viene affidata oggi è lui, e tu devi stare lì”.
L’accompagnamento della vittima è questo: tu vedi gli occhioni che ti guardano, senti l’odore persino del corpo della vittima e, come Abramo, sei chiamato ad accompagnarla. È difficile per la vittima, ma è difficile anche per Abramo! Sono cammini di fede forti che vengono chiesti, e ognuno di noi avrà situazioni simili a quella di Abramo, come quella che vi ho raccontato io adesso, di quando avevo 14 anni. Situazioni dove siamo chiamati a scegliere se vogliamo accompagnare la vittima o se vogliamo arrivare a un certo punto e ce ne torniamo indietro, perché non ce la facciamo; noi, che non siamo la vittima.
Proseguirono tutt’e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato…
Ci siamo!
…qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
Deve farlo lui, capito? Abramo, sotto gli occhi del figlio, che è lì che si guarda in giro e dice: “dov’è l’agnello”, deve costruire l’altare, il luogo dell’olocausto, mettendo insieme la legna, intrecciandola, legandola, per fare una catasta, per poi appiccare il fuoco. Quindi: costruisce l’altare con le pietre, la legna sopra; un altare alto, perché poi si deve consumare tutto. A questo punto Isacco capisce, però…
legò il figlio Isacco e lo depose sull’altare, sopra la legna.
Isacco capisce, ma non fugge. A questo punto è chiaro chi è l’agnello! Sentite un silenzio assordante? Dov’è Dio? Non c’è più! Dio l’abbiamo perso dieci versetti fa, è là, adesso non c’è più. In tutto il cammino che fa Abramo con Isacco, Dio non dice più mezza sillaba; fine. E non dà un briciolo di coraggio ad Abramo, ma manco a morire. Niente, Dio è sparito, come con Adamo ed Eva.
È interessante notare questa peculiarità che emerge con Dio, e che vedremo anche in altri testi: quando tu sei nella prova, Dio tace. Fino a quando la prova non è superata, Dio non c’è più. Superata la prova — nel senso di “affrontata” — poi, se la superi in un modo, Dio parlerà in un modo, e, se la perdi, parlerà in un altro; ma, fino a quando la prova non è conclusa, Dio non parla più. Perché? Perché adesso è lo spazio della libertà, e questa libertà deve essere giocata fino in fondo. Questo è lo spazio dell’uomo, che si decide definitivamente e totalmente. Questo è il momento nel quale si vede, si misura, se tu veramente sei amico di Dio: quando nella prova Dio non parla più e sei da solo tu con la tua fede; non c’è altro. Sei tu, nudo, con la fede. È il momento proprio essenziale della vita.
Voi direte: ma capita una volta sola nella vita? No, no, capita tante volte nella vita, a intensità diverse, a lunghezze diverse, ma lo stile è questo.
Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio.
Abramo ha deciso: nel cuore di Abramo, questo ragazzo è morto. Lui prende il coltello, e voi dovete proprio immaginarvi la scena dell’atto di ammazzarlo. Dalla decisione — si tratta proprio di una questione infra-temporale, che può fare solo Dio — della volontà: muovo il braccio, all’atto di accoltellarlo, in quel segmento di tempo (frazione di mezzo secondo) Dio interviene, riappare Dio. E lo vedremo la prossima volta.
Dio interviene proprio quando tu hai deciso. Allora si svela Dio, tutto il suo progetto e, nel caso tu hai vinto, la sua promessa. Perché Dio non mette mai alla prova, se non ha già preparato una terra promessa! C’è sempre una terra promessa, dopo la prova. Il punto è se tu ti fidi e vivi la prova nella fede, allora entrerai nella terra promessa, sennò quella terra promessa non l’avrai mai.
Se Adamo ed Eva avessero vinto la prova del serpente, chissà dove saremmo, chissà Dio cosa avrebbe fatto (la storia non si costruisce col sé, ma con questo esempio possiamo almeno pensarlo). Se Abramo, che non è un progenitore, vincendo questa prova, avrà quello che avrà… E guardate che, quello che leggeremo la prossima volta, è l’apoteosi delle cose possibili; Dio lo investe con il cielo stellato. In quello che vedremo la volta prossima, c’è dentro un simbolismo che è spaventoso. Dio proprio lo investe con l’arco del cielo; prende il cielo, glielo mette addosso, lo fa diventare carne nella sua carne. Porta tutta la volta celeste nel sangue di Abramo, una cosa pazzesca. E non è tutto! Ci sarà altro, che è appunto quello che vedremo nella Lettera agli Ebrei, capitolo 11. Questo per dire la sovrabbondanza di Dio rispetto alla prova. La prova di Abramo è stata dura, ma quello che Abramo otterrà è un miliardo di volte di più di quello che lui ha patito; ma dopo…
Quindi fermandoci qui, anche se abbiamo dato un assaggio del testo successivo, credo che ciascuno di noi abbia motivi, in questa settimana, di riflettere sulle dissonanze della sua fede rispetto a quella di Abramo; cioè, su quanto la nostra fede è difforme, le lacune che ci sono, le resistenze che ci sono, gli spazi chiusi che ci sono, dove Dio non entra. Tutto quello che io vi ho detto di Abramo, voi lo dovete prendere e proiettare sulla vostra vita, e dire: bene, nella mia vita tutto questo cosa illumina?
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.