Catechesi di lunedì 18 settembre 2017
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
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Brano commentato durante la catechesi: Genesi 22, 11-19
11 Ma l`angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. 12 L`angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio”. 13 Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l`ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14 Abramo chiamò quel luogo: “Il Signore provvede”, perciò oggi si dice: “Sul monte il Signore provvede”. 15 L`angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta 16 e disse: “Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”. 19 Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abramo abitò a Bersabea.
Brano commentato durante la catechesi: Lettera agli Ebrei 11, 17-19
17 Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, 18 del quale era stato detto: In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome. 19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
Testo della catechesi
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Oggi vediamo la seconda parte della narrazione, cioè quando Dio interviene. Fino adesso il Signore è stato in silenzio. Abramo ha dovuto affrontare questa prova e adesso il Signore interviene. Quando Abramo decide di immolare, di sacrificare il figlio Isacco, Dio torna a parlare, e dice:
11Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”.
È bello vedere che il Signore rimane in cielo; c’è comunque il permanere di una distanza. Farsi prossimi non vuol dire mettersi al livello dell’altro ma vuol dire chiamare l’altro ad altro. E se io sono oggettivamente più avanti su un cammino, farmi prossimo non vuol dire che io devo andare a zampettare dove l’altro zampetta perché non riesce a fare di più, ma vuol dire spingere l’altro, far presente all’altro che ogni relazione è dispari. All’interno di una relazione, anche tra di noi, non c’è mai uguaglianza, perché, comunque, ciascuno di noi porta un grado di maturità, di profondità, di spiritualità, di umanità diverso e, inevitabilmente, la persona che io avrò davanti sarà un po’ più avanti o un po’ più indietro.
Ma questo non è un problema, non è certamente un problema per Dio e per gli amici di Dio. La cosa interessante, in questa esperienza di Abramo, come abbiamo visto anche in Adamo ed Eva, è che Dio rimane Dio e Abramo rimane Abramo, non ci sono confusioni di ruoli. Amare non vuol dire confondersi, amare non vuol dire perdere la propria identità, amare non vuol dire non sapere più chi si è, o rinnegare chi si è per prendere la posizione, di solito più bassa, dell’altro; questo non è amare. Nell’amore, nella relazione vera, permane una distanza, una disparità, un prima e un dopo, un sopra e un sotto, e questo fa molto bene.
Dio chiama Abramo dal cielo; Dio poteva apparire accanto ad Abramo, e invece rimane in cielo, resta lì dov’è. E dal cielo rientra nella scena e parla ad Abramo. Questo cosa ci insegna? Ci insegna che dobbiamo stare molto attenti a una tentazione terribile, diabolica, che è quella di normalizzare gli altri, che è quella di livellarli alla nostra altezza. Noi, infatti, rimaniamo sconvolti dalla diversità degli altri o dalla diversità dell’altro. Perché l’altro è diverso da me? Perché così ha voluto Dio e perché, in questa diversità, c’è una ricchezza. Perché l’altro non fa come faccio io? Ma perché avrà le sue ragioni! Perché io devo prendere l’altro e tirarlo a fare qualcosa che non è richiesto e non è scritto da nessuna parte? Lasciamolo essere quello che è, lasciamo che Abramo sia Abramo e Dio sia Dio. Né Abramo cerca di normalizzare Dio, né Dio cerca di far chissà che cosa ad Abramo, è un dialogo assolutamente rispettoso dell’alterità grandissima che c’è tra i due. E Dio resta in cielo, in questo caso.
“Abramo, Abramo!”.
Che bello sentir chiamare per nome! Oggi non è più così facile sentire chiamare per nome, con questa densità. Nel tuo nome c’è dentro tutto; ognuno di noi, nel suo nome, porta tutta la sua storia; perché il tuo nome rappresenta ciò che tu sei stato fino adesso e ciò che tu sarai nel progetto di Dio. Che bello riscoprire questa unicità della persona. Ogni persona è unica, e la fede in Dio porta a riscoprire questa unicità, questo essere unico della persona. Dio lo chiama proprio: “Abramo, Abramo”, e non dice altro, e lui risponde: “Eccomi”, fine. Vedete come iniziano le relazioni con Dio? E vedete Dio (nonostante sia Dio) quanto è rispettoso della creaturalità? Esattamente come la Madonna quando appare a Bernadette: le dà del voi, e tutte le volte le chiede “se è possibile, se tornerai, se vuoi tornare”. Alle volte la Madonna non dice niente, sorride solo.
Che bello riscoprire la freschezza, l’originalità del nostro entrare in relazione uno con l’altro, e questo parte dal saluto e dal nome. Spesse volte si usano nomignoli, spesse volte si accorciano i nomi, si storpiano i nomi, uno ha un nome, ma viene fuori tutt’altra cosa.
”Abramo”, Dio inizia così, e la risposta di Abramo è molto bella: “Eccomi”, risposta che rivela questa prontezza, questo sapere che, se Dio mi chiama, c’è un perché. Quando uno mi ama, ha sempre un perché nel chiamarmi, non è mai affidato al caso, non è mai banale, ha sempre una ragione precisa.
Sarebbe bello che i nostri ragazzi si sentissero “investiti”. Anni fa mi è capitato di sentire un papà, che era venuto a prendere il suo bambino che faceva il chierichetto. Il bambino era andato con gli altri ragazzi a svestirsi e il papà, che aveva fretta, è arrivato e ha detto: “Quello là è pronto o no?”. E io subito ho detto: “Quello là chi?”. Sapevo benissimo che era suo figlio, ma “quello là” ha un nome! La mancanza di rispetto dell’identità della persona, della sua unicità, è una cosa seria, perché questo testo della Scrittura ci fa vedere quanto un discorso di fede non è una cosa campata per aria, che riguarda i grani del Rosario da usare. Un discorso di fede riguarda il modo sano di creare relazioni. Chi ha fede veramente, sa veramente rispettare gli altri, sa veramente lasciare l’altro vivere la sua storia.
Abramo è l’uomo della prontezza: “Eccomi!”, Abramo è sempre pronto. Chi ha fede è pronto, sa che prima o poi dovrà partire, soprattutto sa che deve partire per il cielo.
12L’angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente!
L’olocausto è sospeso… Questo è un atteggiamento tipico di Dio; a Dio non interessa il sacrificio, a Dio interessa un’altra cosa che è il sacrificio dei sacrifici, l’olocausto degli olocausti. A Dio non interessa il capro, il montone o l’ariete, a Dio interessa il tuo cuore, vedere dov’è il tuo cuore. Nel momento in cui Dio vede che Abramo è pronto a sacrificare Isacco, l’angelo dice: “Non fargli male”. Perché Dio non vuole la morte di Isacco, Dio vuole altro. E questo altro è nato nel tuo cuore, adesso c’è:
Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito.
Quando sappiamo di amare Dio? Quando noi accettiamo totalmente la sua volontà, senza se e senza ma, senza frigne, senza pianti, senza ritorni, senza rimangiarsi la parola; lì sappiamo di temere Dio, quando, nonostante tutto e tutti, noi siamo disposti a offrire a Dio “tuo figlio, il tuo unico figlio”. Dio fa vedere ad Abramo che è assolutamente cosciente (ovviamente) dell’olocausto che gli ha chiesto, lo sa bene, lo sottolinea, non solo prima della prova, ma anche dopo la prova, quando dice “il tuo figlio, il tuo unico figlio; tu mi hai dato tutto e adesso so che tu mi temi”.
Temere Dio cosa vuol dire? Vuol dire aver messo Dio sopra tutto e sopra tutti; che non vuol dire prendere le persone o le realtà e buttarle nel cestino, ma vuol dire fare la volontà di Dio. Quindi il tema non è: “ora devo scegliere qual è la persona più cara e non la vedo più”, ovviamente non è questo, perché la prova di Abramo è stato Isacco, per me sarà un’altra prova, che non c’entra niente con Isacco, ma uguale sarà la res, cioè il Signore farà una prova per vedere se io ho delle riserve, se c’è qualcosa che non sono disposto a dargli, se c’è qualcosa che io voglio tenere per me, alla quale non voglio rinunciare in nessun modo.
”Ora so che temi Dio, perché mi hai dato tutto”. Lui nel suo cuore (tu nel tuo) aveva veramente deciso di sacrificare Isacco. Basta, questo è sufficiente per il Signore: “non ti sei tenuto nulla, neanche i miei doni”. Isacco è dono di Dio, avuto in vecchiaia, la domanda di Dio è “È mio dono, vero, ma se io te lo chiedo, tu me lo dai?”; se la risposta è sì, superi la prova, se la risposta è no, la perdi”.
Ora, fate finta che Abramo avesse detto di no; tutto ciò che verrà da qui in avanti, non ci sarebbe stato. Tutte le volte che noi diciamo un no, tutta la parte della promessa di Dio non ci sarà; tutto quello che avremmo dovuto ricevere, non lo avremo e neanche lo sapremo, non apparterrà proprio alla nostra storia. In cielo sapremo quello che avremmo avuto se avessimo detto sì. E questo “sì”, ripeto, deve essere un “sì” che mette Dio sopra tutti e sopra a tutto: “chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me”. Se tu metti qualcosa prima, di più importante rispetto a Dio, la parte della promessa — che adesso leggeremo, che è incredibile — non c’è! E adesso sentiamo questa promessa; vediamo cosa produrrà questo sacrificio, questa prova che gli è stata posta, siccome è stata superata.
13Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete…
Improvvisamente appare un ariete; ma un ariete lì, sulla montagna, cosa ci sta a fare? Ce l’ha messo Dio, perché non gli interessa Isacco. Quindi è come se Dio dicesse: adesso puoi sacrificare l’ariete, fai il tuo sacrificio rituale.
… impigliato con le corna in un cespuglio.
Di norma gli arieti non si imprigionano da soli nei cespugli perché non sono stupidi! Quindi, capite, questo ci fa proprio vedere che Dio (come vedremo adesso) ha provveduto lui a tutto.
Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. 14Abramo chiamò quel luogo: «Il Signore provvede», perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore provvede».
Quante volte, nella nostra vita, il Signore provvede! Quante volte, nella nostra vita, il Signore ha provveduto! E noi ne abbiamo fatto memoria? Ce lo siamo segnati? Per fare memoria, per ricordare che in quel giorno, in quell’ora, il Signore ha provveduto a me, il Signore mi ha salvato, il Signore mi ha dato …
Vedete, quando uno fa una vera esperienza di fede, non può passare sopra più a niente. Veramente vede segni e vede le alternative che Dio pone. Abramo non ha visto prima l’ariete, l’ha visto dopo. Anche noi vediamo gli arieti impigliati se abbiamo avuto fede, se abbiamo superato la prova. Anche noi vediamo l’alternativa che il Signore ci mette tra le mani, perché a lui non interessa quella cosa, ma interessa il nostro cuore.
Di norma noi non abbiamo proprio tanta dedizione al “Signore provvede”, la nostra dedizione è al “Signore dammi, Signore fammi”. “Il Signore provvede” è una memoria forte, ancora oggi si dice: «Sul monte, il Signore provvede». Abramo da un nome a quel luogo. Ci sono dei luoghi nella nostra vita che avrebbero dovuto avere un nome, dove effettivamente, per fede, il Signore ha compiuto dei miracoli per noi e ci ha fatto degli atti di misericordia incredibili. Pensate magari a una confessione molto importante, a una scelta di vita molto pesante, molto difficile, che noi abbiamo fatto per il Signore, e abbiamo visto che il Signore è intervenuto e ha provveduto; pensavamo che andasse malissimo e invece va benissimo.
Il Signore provvede, tu fidati. Perché, sapete, il diavolo ci mette sempre davanti gli scenari più spaventosi, orribili, più oscuri del mondo. Poi, quando noi ci troviamo nella situazione e ci fidiamo di Dio, improvvisamente appare l’ariete nel cespuglio, tutto si risolve; come mai? Perché il Signore provvede! Ma noi crediamo che il Signore provvede? Noi crediamo che veramente Dio provveda alla nostra vita? Che Dio ha cura della nostra vita?
Perché la fede, come vi ho detto prima, è una relazione, innanzitutto, e, dall’altra parte, non c’è un Dio lontano, c’è Gesù, che è un volto amico che ti attende, che ti dice: ma allora, vieni o no? Ma allora, ti fidi o no? Ma allora, mi scegli o no? Cioè, è una cosa seria. Non è un ente morto, non è un idolo, è Dio, il Dio vivo, che ti interpella nella tua coscienza e ti chiama. E tu devi scegliere, devi deciderti.
Bisogna stare attenti, perché poi, su queste cose, ci giochiamo la vita; su queste cose, ci si gioca il futuro.
15 Poi l’angelo del Signore chiamò dal cielo — nuovamente “dal cielo” — Abramo per la seconda volta 16 e disse: …
Questo passo che ora vedremo, rileggetevelo più volte, e ogni tanto fatevelo cantare da qualcuno a cui volete bene, perché è proprio bello. Immaginatevi di sentire dal cielo questa voce che adesso dice queste parole:
«Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, 17 io ti benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. 18 Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
Sembra di sentire le trombe d’argento che suonano. Avete capito? Dio, come vi ho detto la volta scorsa, ha preso il cielo e la terra e glieli ha piantati nel sangue. Gli ha detto: tu diventerai fonte di vita, non il padre di Isacco, tu diventerai vita per l’umanità, poiché tu hai obbedito alla mia voce.
Ecco il sacrificio che Dio cercava e che Dio cerca ancora, ogni volta, nella vita di ogni uomo: che tu obbedisca alla sua voce, punto. Questa è la santità, questa è la fede, questo è temere Dio, questo è amare Dio: obbedire alla sua voce. Questo è fidarsi. Come faccio a sapere se mi fido di Dio? Se gli obbedisci, che vuol dire rispettare i dieci comandamenti, che vuol dire rispettare il Vangelo, che vuol dire mettere Dio sopra ogni cosa, sopra tutto. E allora la nostra vita si riempie di questa benedizione.
Abramo stava per sacrificare un figlio e Dio gli promette la discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia del mare. “Io ti ho chiesto un figlio, tu me l’hai dato, io ti ridò l’infinito”, perché Dio non si fa battere in generosità se tu ti fidi fino in fondo. Il nostro Dio è il Dio della promessa, è il Dio dell’eccesso, dell’esuberanza, è appunto il Dio delle trombe d’argento, che prima o poi, nella tua vita, se ti fidi, suoneranno. E quando suonano, suonano. Se non avete mai sentito il suono delle tombe d’argento, andate su YouTube e cercate “trombe d’argento” e ascoltate che suono hanno, sono una cosa… ma la voce di Dio è cento volte meglio.
Prima di concludere la figura di Abramo, dobbiamo fare quel salto famoso nel Nuovo Testamento, alla lettera agli Ebrei, capitolo 11, perché qui si dice qualcosa di interessante su questo brano, qui si fa un affondo incredibile.
17 Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio …
Dio gli aveva fatto la promessa che avrebbe avuto un figlio e poi glielo va a chiedere. Ma Abramo non ragiona, perché chi ubbidisce non sta a ragionare, si fida. Non sto a ragionare se la mia mamma mi dice: prendi questa cosa; la prendo, perché mi fido di lei.
offrì il suo unico figlio 18 del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome.
E allora uno direbbe: ma se tu mi chiedi di ucciderlo, come fa a realizzarsi la promessa? Quindi Dio mi ha ingannato! Ma Dio non può ingannare! Ma come facciamo a dubitare di Dio! È l’unico che ci ama veramente. Abramo non ha avuto questi pensieri, questi dubbi; il suo pensiero è stato: “Se Dio mi ha detto che in Isacco avrò una discendenza, io in Isacco avrò una discendenza, punto, anche se devo ucciderlo”.
19 Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: …
Eh, sì, però doveva essere morto. E poi, quando l’avrebbe fatto risorgere? Ma Dio non gli ha detto: uccidilo che poi te lo ridò indietro risorto! Poteva arrivare alla resurrezione dei morti, alla fine di tutto. Anche noi crediamo nella risurrezione dei morti, ma voglio vedere se siamo capaci di fare una roba del genere!
… per questo lo riebbe e fu come un simbolo.
Ecco, guardate, non dimenticate mai questa cosa che vi ho letto, quest’ultima parola, perché è una chiave di interpretazione della nostra vita importantissima. Tradotto: ciò che tu offri a Dio in olocausto, come obbedienza alla sua volontà, non lo riavrai come prima, ma lo riavrai come un simbolo. Cioè, questo Isacco non è più Isacco, semplicemente Isacco — come quello che sei tu nel mondo — ma è un segno, è un simbolo vivente della Provvidenza e della sovrabbondanza di Dio. Quel volto ricorderà per sempre ad Abramo che Dio provvede; niente sarà più come prima, da adesso. Abramo guarderà Isacco in un modo completamente diverso, e Isacco non sarà più Isacco, sarà un simbolo.
Tutte le volte che noi obbediamo a Dio, tutte le volte che noi ci fidiamo di Dio, noi diventiamo simboli, la nostra vita diventa un simbolo. E noi diventiamo simboli per gli altri, perché gli altri che ci vedono, anche se non sanno i nostri segreti e la nostra storia d’amore con Gesù, vedono che c’è sotto qualcosa. Perché la gente vede e, soprattutto, non è stupida, le persone hanno occhi e testa. Tutti noi vediamo quando quella persona porta in sé un segreto arcano, si capisce subito, perché si vede che non si muove come gli altri. Fa finta di essere come gli altri per nascondere il segreto, ma non è come gli altri. Lo vedi da come cammina, da come si diporta, da come si atteggia, da come si comporta, che c’è dentro un altro, che c’è un simbolo; che effettivamente anche quella persona è andata sul monte, e che quella vita che sta vivendo non è più la vita di prima, ma è un simbolo. Che veramente ha superato una prova — o la prova, o delle prove molto grosse — e che Dio effettivamente cammina in quella vita. Capite cosa vuol dire avere accanto una persona così? Vuol dire che, costantemente, senza parlare, mi chiama a Dio; è come se fosse una Messa continua, una teofania continua perché, vedendo quella persona, io costantemente vedo un simbolo, un qualcosa che mi rimanda “a”.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.