Catechesi di lunedì 25 settembre 2017
Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita”
Relatore: p. Giorgio Maria Faré
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Brano commentato durante la catechesi:
Genesi 25, 29-34
29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un pò di questa minestra rossa, perché io sono sfinito” – Per questo fu chiamato Edom -. 31 Giacobbe disse: “Vendimi subito la tua primogenitura”. 32 Rispose Esaù: “Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?”. 33 Giacobbe allora disse: “Giuramelo subito”. Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.
Testo della catechesi
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Oggi cominciamo a trattare una nuova figura legata al tema della fede, tratta ancora dalla Sacra Scrittura. La figura in questione — o meglio, le due figure — è piuttosto delicata e complessa e richiederà tempo. Non credo di poter concludere in una sola catechesi, poiché sono necessari approfondimenti significativi, quindi serviranno sicuramente almeno due incontri. È un tema estremamente importante, non solo per la salvezza come vita eterna, ma anche per una vita bella, piena e felice qui, sulla terra. Si tratta davvero di un argomento molto rilevante. La figura che vi presenterò ora potrebbe non essere molto conosciuta, o esserlo solo per un aspetto, ma offre spunti di riflessione particolarmente significativi.
Vi dico questo perché potrebbe succedere che qualcosa non sia chiaro o che lasci qualche punto poco spiegato: ciò che per me è evidente potrebbe non esserlo per voi o per qualcuno di voi. È fondamentale comprendere bene, e vi chiedo di non creare confusioni. Non cercate di adattare quello che vi dico ai vostri ragionamenti personali mentre parlo; non funziona così. Dovete capire esattamente ciò che voglio trasmettere, senza sovrapporre subito le vostre idee. Solo dopo, nei giorni successivi, potrete rifletterci con calma. Questo momento è dedicato a comprendere il messaggio con precisione. Se qualcosa non fosse chiaro per qualsiasi motivo, fatemelo sapere: lo spiegherò nuovamente e lo affronteremo insieme.
Siamo al capitolo 25 del Libro della Genesi, versetto 29. Ci soffermeremo su due testi, perché c’è l’evento e, poi, più avanti, la consumazione, terribile, di questo evento. Questa la troveremo invece al capitolo 27 della Genesi. Quella che vi leggerò stasera è proprio una vicenda tremenda, terribile, bruttissima. Stasera c’è il cuore pulsante, l’accadimento. Quello che leggeremo poi, è la parte pratica, cioè come questa realtà si è consumata.
Leggiamo:
29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. 31 Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». 32 Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». 33 Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.
E adesso cerchiamo di affondare dentro a questa parola di Dio. Vi dico che è tremendo, perché a guardare dentro la Scrittura, in questo momento, mi vengono le vertigini, perché è un testo veramente drammatico e speriamo di mantenere lucidità nell’affrontarlo.
Allora, abbiamo due figure, sono due fratelli, Esaù e Giacobbe; Esaù, il primogenito, Giacobbe, il secondogenito. Sono figli di Isacco, figlio di Abramo, che abbiamo visto la volta scorsa. La posta in gioco non è solo alta: è tutto! La posta in gioco non può essere di più. Esaù, essendo primogenito, ha diritto alla benedizione del padre, che vedremo poi, appunto, nel capitolo 27, in che cosa consistesse; qui non è detto, ma è importante che qui non sia detto. Sappiamo solo che c’è una primogenitura in mezzo a questa questione.
Esaù si dedicava all’allevamento, al pascolo, alle bestie. Un giorno arriva dalla campagna ed è sfinito, è stanco, come tante volte capita anche a noi di esserlo e di dire: sono sfinito, non ce la faccio più. Esaù vede che Giacobbe ha preparato qualcosa da mangiare, una pietanza, una minestra, una minestra rossa, la minestra di lenticchie. La cosa più bassa della terra: la minestra di legumi; non era un cibo prelibato, era proprio il basso del basso, erano lenticchie. Tutti noi abbiamo presente come è fatta una lenticchia, il legume più piccolo possibile che, secca, fai fatica a vederla. Quindi la minestra era acqua con dentro questi cosini che galleggiavano.
E a questo punto io già mi fermerei, perché dobbiamo comprendere un po’ questo tema dello sfinimento, della fame. Esaù ha fame; è una fame a tutto tondo, una fame estremamente coinvolgente, che lo prende dentro. È una fame che lo prende nell’anima, non è una fame di colui che ha fame di un po’ di pane; è una fame strana. Dobbiamo sempre stare attenti a queste fami strane. C’è un aver fame che non è semplicemente aver fame fisicamente, è un aver fame profondo, perché non si ha fame solo di pane. Si può avere una fame talmente grande, che ci si può spingere oltre il possibile.
Ed è a questo proposito che io vorrei fermarmi subito, prima di poter affrontare tutto il resto, e vorrei fare una parentesi importante sul tema del digiuno, perché sento spesse volte, da più parti, riflessioni, obiezioni, entusiasmi, e io ho come la percezione che non si capisca bene cosa vuol dire il digiuno. Cioè, qual è lo spessore, il valore del digiuno e che invece si riduce sempre a un’assenza di mangiare, cioè: venerdì faccio digiuno, che, tradotto, cosa vuol dire? Non mangio questo, non mangio questo, non mangio questo, punto.
Ma è questa la visione del digiuno cristiana? Questo è il digiuno che intende Dio? I santi cosa dicono a proposito del digiuno? Qual è l’insegnamento che riceviamo dai santi sull’esperienza del digiuno?
Anche nelle cose spirituali si può dare una visione materiale, che poi, in realtà, è materialistica. E, di fatto, è una riduzione, è uno spegnimento, un annegamento dello spirito nella materia. Se il digiuno lo intendiamo come: “Quel giorno non mangio”, oppure come: “Quel giorno mangio il pane e l’acqua”, ecco, no! E se uno mi chiede: “Perché lo fai?” e la risposta è: “Perché faccio penitenza”, è un po’ poco. Questo ve lo dico perché, se si vuole seguire una certa via, non la si può seguire da ignoranti, questo è importante. Perché ormai non è più il tempo della fede quella fatta con il “salame e il coltellaccio”, che ce la trattiamo tra di noi; questo è il tempo di una fede che deve essere istruita: o sai perché lo fai, o non lo fai. Perché, ad una persona che ti chiede perché fai il digiuno devi saper rispondere con cognizione di causa. E allora, siccome questo tema di Esaù che viene citato dai santi, si colloca perfettamente dentro il tema del digiuno, adesso cerchiamo di capire questo benedetto tema del digiuno e che legame ha con la fede (non è un fuori tema).
Perché la fede è legata al digiuno? E fare il digiuno che valore ha? Così evitiamo quella cosa del: “Eh, oggi è il giorno di digiuno però… ma non è che posso mangiare, però, un dolcino, un biscottino, una cosina?”; ma non fare il digiuno! Non lo fai! O capiamo che cos’è e lo facciamo, o non lo facciamo; ma non è obbligatorio, capite? Io devo capire perché quella cosa è importante farla; fino a che non l’hai capita, non farla, lascia stare, non la fare proprio, lasciala lì, non è il tempo, il tempo arriverà in un altro momento: tra un anno, due anni, dieci anni, non sappiamo, non arriverà mai, non lo so, però sta di fatto che bisogna capirla. E allora, per capirla, vi leggo innanzitutto un testo, che mi sembra quello più importante, di San Basilio, un grande santo. Se andate a leggere la storia di San Basilio, capirete che è assolutamente autorevole. E San Basilio ha fatto un intervento grosso sul digiuno, e scrive così:
Forse tu credi che io pensi che il digiuno ha avuto inizio con la legge mosaica — quindi legato al tema del peccato — invece il digiuno è più antico della legge stessa, è tanto vecchio che è stato creato con l’uomo stesso. Fu prescritto fin dal paradiso. Il primo precetto ricevuto da Adamo fu quello di non mangiare dell’albero della scienza del bene e del male. Quel non mangiare è già legge del digiuno e dell’astinenza.
Cioè, avete capito chi fa il digiuno dove si colloca? Si colloca nell’Eden; non nel riparare il peccato. La sua collocazione originaria sta là, prima del peccato originale, prima della colpa, prima del male, prima del tradimento. Cioè, quando Adamo ed Eva camminavano passeggiando con Dio alla brezza del mattino, già lì! Quando Dio ha creato l’uomo, lì già ha pensato al digiuno. Capite che è tutta un’altra collocazione, non è quella collocazione un po’ oscura, un po’ tenebrosa, dell’“inchiodiamoci i piedi e facciamo penitenza”; è un’altra cosa. La sua origine è bella; ha un’origine che è conforme alla natura dell’uomo. Non è antagonista, come noi crediamo; l’antagonismo l’ha messo il peccato, non l’origine dell’idea, che è insieme alla creazione.
Lazzaro, attraverso il digiuno, è entrato in paradiso. Noè non conosceva il vino — Noè non ha mai bevuto il vino, tranne il momento in cui lo fanno sbronzare, tanto che poi si spoglia nudo, ma quella è una débâcle — Mosè non sarebbe arrivato sul vertice del monte, non sarebbe entrato nella nube, se non si fosse equipaggiato con il digiuno (Es, 24). Attraverso il digiuno poté ricevere la legge scritta dalla mano di Dio (Es, 32), in cima al monte fu il digiuno stesso a impetrare la legge, mentre ai piedi del monte molti diventarono idolatri. Infatti il popolo sedette per mangiare e bere e poi si alzarono per divertirsi. E quello che il servo Mosè aveva ottenuto con quaranta giorni di digiuno, dice la Scrittura, e conversando assiduamente con Dio, fu reso senza frutto dall’orgia del popolo. E il popolo, proprio nel momento in cui stava per ricevere la conoscenza di Dio, fu riportato dalla gola alla folle idolatria degli Egiziani.
Se voi ricordate nell’Esodo, quelli parlano sempre di cibo! La ribellione a Dio si fonda sempre sul cibo. “Eh, in Egitto avevamo le cipolle, avevamo i cocomeri, c’erano i cetrioli, e siamo qui, e invece ci fate morire di fame”; arriva la manna, ma: “Eh, ma sempre la manna. Questo cibo è così leggero!”; arrivano le quaglie, ma: “Eh, ma abbiamo quaglie e manna, ma non abbiamo da bere”; e allora arriva l’acqua e, a causa di quel momento di Massa e Meriba, Mosè addirittura perde l’ingresso alla terra promessa. È finita qui? No. Arrivano alla terra promessa, entrano, tornano, e su cosa se la giocano? Sui grappoloni d’uva! “Abbiamo visto i giganti che trasportavano i grappoli d’uva in due su un’asta”. Ma quanto pesavano, questi grappoli d’uva, un quintale?
Capite che non è un problema da poco e non riguarda semplicemente la pancia vuota. Qui ci sta dietro qualcosa di grosso, che non può essere ridotto al: “non mangio la carne il venerdì”.
Questa “fame” ha rovinato Esaù e lo ha reso schiavo del fratello. Esaù perde la primogenitura, la vende.
Non fu un piatto di lenticchie per il quale vendette la primogenitura? E la preghiera unita al digiuno non hanno dato ad Anna il figlio Samuele? Certo! (1Sam, capitolo 1). Che cosa fu a fare di Sansone un uomo fortissimo ed invincibile, se non il digiuno con il quale fu concepito nel seno della madre? (Gdc, capitolo 13). Fu concepito dal digiuno e fu nutrito dal digiuno come da una nutrice e crebbe nel digiuno che l’angelo aveva prescritto alla madre; “colui che nascerà non mangerà né berrà vino”. Il digiuno genera i profeti, fortifica i deboli e mantiene la forza ai forti. Il digiuno somministra la sapienza ai legislatori, è custode dell’anima, è corazza sicura del corpo, è come un’armatura per coloro che lottano con fortezza, è allenamento per gli atleti. Il digiuno respinge le tentazioni, inclina le persone alla pietà, è compagno, amico intimo della sobrietà, è artefice della castità. In tempo di problemi gravi, agisce con forza, in tempo di pace, insegna la quiete, santifica e perfeziona il sacerdote. Elia, digiunando quaranta giorni, purificò la sua anima e alla fine, nella spelonca del Monte Oreb, meritò di vedere Dio per quanto lecito agli uomini (1 Re, 19); digiunando rese il figlio alla vedova, fu fortificato attraverso il digiuno contro la stessa morte. La voce uscita dalla bocca che digiunava chiuse il cielo. Per tre anni e sei mesi su un popolo scellerato indusse, con la fame, il popolo al digiuno (1 Re, 17). Insomma, per dirla in breve, troverai che dovunque ci furono santi, questi furono portati verso una vita degna di Dio proprio dal digiuno.
Il digiuno è come l’amianto che protegge dal fuoco i tre fanciulli nella fornace di Babilonia (Dn, capitolo 1). Avevano ottenuto attraverso il digiuno la natura dell’amianto. Daniele, uomo di desideri, avendo per tre settimane digiunato, nella fossa insegnò il digiuno anche ai leoni (Dn, capitolo 10). Il digiuno aveva formato come una barriera di ferro, che i leoni non potevano superare. Il digiuno ritenne la forza del fuoco e chiuse la bocca dei leoni. Il digiuno trasmette la preghiera in cielo ed è proprio di chi digiuna camminare come con ali verso il cielo. Il digiuno è vantaggioso alla casa, è salute per la madre, è pedagogo per la gioventù, è di ornamento per gli anziani, è buon amico di chi si mette in viaggio, è sicura fortezza per gli sposi. Il marito che guarda il digiuno della moglie, si convince che nessuna insidia sta distruggendo il matrimonio.
Il marito non pensa che quella è adultera. Magari lo farà impazzire perché fa il digiuno e gli romperà l’anima fino all’ossessione, però l’ultimo dei suoi pensieri sarà che quella è un’adultera. Un’adultera non si mette a digiunare.
La moglie non viene rosa dalla gelosia guardando che il marito ha abbracciato il digiuno. Chi ha mai sentito dire che il digiuno manda in rovina economicamente la propria casa? Controlla oggi la suppellettile della casa e poi ricontrollala domani, niente manca delle cose di casa attraverso il digiuno. Non vedi come il sole è più gioioso dopo la notte? E come il risveglio è più giocondo dopo il sonno. E come la salute è più desiderabile quando si sperimentano avversità? Così anche la mensa è più gradevole dopo il digiuno, sia per i ricchi e quanti hanno una mensa abbondante, sia per i poveri e per quelli che prendono cibi più semplici e facili. Ti spaventi l’esempio del ricco che trascorrendo la vita nelle delizie fu consegnato al fuoco eterno! Ecco, per spegnere questo fuoco che arde c’è bisogno proprio di acqua. Nessuno è mai caduto nella crapula per aver bevuto acqua. A nessuno ha mai fatto male la testa per aver bevuto acqua. Nessuno di quelli che hanno avuto familiarità con l’acqua è finito povero ai piedi altrui, mentre il vizio di quanti vivono le delizie genera sofferenze dolorose nei loro stessi corpi.
Il colore di chi digiuna, non è florido di rossori inverecondo, ma è adorno di un modesto pallore. Gli occhi sono placidi e sereni, il camminare è composto, il volto non più solcato dalle rughe delle preoccupazioni, né decorato da risate intemperanti, parole brevi, cuore puro. Come mai Lazzaro riposava nel seno di Abramo? Per il digiuno. E la vita di Giovanni Battista non era un continuo digiuno? Non aveva né letto, né mensa, né campi, né buoi. È per questo che, tra i nati di donne, non vi è alcuno più grande di Giovanni Battista. Soprattutto lo stesso Signore nostro non avrebbe vinto il diavolo nella sua carne, che egli aveva assunto per noi, se non l’avesse fortificata con il digiuno, insegnando anche a noi, attraverso i digiuni, sia ad esercitarci e ad ungerci per le lotte contro le tentazioni, sia offrendoci un punto di riferimento per sconfiggere per fame l’avversario. Di per sé stesso, a causa della sublimità della natura divina di Gesù, il diavolo non poteva avere potere su di lui se prima non l’avesse sottomesso, attraverso la fame, all’umana debolezza. Tuttavia Gesù, prima di ritornare in cielo, gustò del cibo per provare a noi la verità e la natura del corpo che aveva ripreso. Se vuoi rendere forte la tua mente, fai in modo di domare la carne con il digiuno. Questo è anche quanto dice l’apostolo, cioè che quanto più l’uomo esteriore viene a corrompersi, tanto più si rinnova nell’interiorità (1 Cor, 4). Perciò perché non distruggi questi nutrimenti che entrano in corruzione? Perché non ti fai prendere da quel desiderio della mensa celeste che è nel Regno dei cieli e che ti prepara in anticipo, già fin d’ora, digiunando?
Qui emerge una cosa interessante: il digiuno non è proposto come “assenza di”, ma come “preparazione a”. Il digiuno non è fine a sé stesso, il digiuno è in vista della Gerusalemme celeste. Digiuno qui sulla terra per preparare anche il mio corpo alla tavola della mensa celeste di cui parla Gesù. Capite che è tutta un’altra prospettiva? Leggendo queste parole, a tutti coloro che le ascoltano, vien voglia, da domani, di non mangiare più. Perché sono parole belle, vere, che ti spingono all’imitazione. Ti fan dire: “Questa è una cosa che vale!”
Chi è che banchettando splendidamente, godendo di perpetue delizie, è stato mai reso partecipe di qualche dono spirituale? Mosè, per ricevere un’altra volta la legge, ebbe bisogno di un secondo digiuno, altri 40 giorni. Quanto agli ebrei, finché erano contenti della manna e dell’acqua che scaturiva dalla roccia, sconfiggevano gli egiziani e attraversavano il mare e non c’era nessuno ammalato nelle loro tribù. Invece, quando cominciarono a rimpiangere le pentole di carne e ritornarono con il desiderio in Egitto, non videro più la terra promessa. Nemmeno Daniele, il grande saggio, avrebbe avuto quelle visioni se non avesse reso la sua anima più limpida con il digiuno.
Il digiuno è un’armatura per combattere contro i demoni. Infatti, questo genere di demoni non esce se non con il digiuno e la preghiera (Mc, 9), dice Gesù. Molte cose buone provengono dal digiuno, mentre l’essere sazi è l’inizio di ogni lascivia. Subito infatti, assieme all’ebrezza, a causa delle delizie di ogni genere di saporiti dolci e frutta, germoglia ogni specie di libidine in abbondanza. — questo è vero; lo dico perché, confessando, l’ho visto — Tuttavia sta attento a non pensare che il digiuno consista solo nell’astinenza dai cibi. Infatti, il vero digiuno deve staccarti dai vizi, spezza ogni vincolo di iniquità, condona al tuo prossimo le molestie che ti ha fatto, rimetti a lui i debiti. Non voler digiunare, tra litigi e contese: come, non mangi la carne e ti mangi tuo fratello?
Capite cos’è il digiuno? Il digiuno, o mi porta a distruggere i vizi o non è digiuno, anche se ho la pancia vuota. Il digiuno non è quella cosa per la quale io oggi faccio pane e acqua e domani mattina, quando scocca la mezzanotte: salamella, prosciutto, pizza, pasta, maionese… il mondo. Questo non è digiuno! Oppure: oggi digiuno e il giorno dopo mangio cinque volte tanto. Oppure, altra furbata: siccome so che domani digiuno, stasera che è giovedì, mangio un bue, così mi riempie bene lo stomaco e domani starò come il pitone; pensando che Dio è tonto, che Dio non veda queste cose. Questo non è digiuno. Il digiuno è uno stile di vita e pensiero, è uno stile dell’anima, che ha capito l’importanza di queste cose che vi ho letto. Il digiuno non porta ad appiccicarsi ancora di più alla terra, ma a tutto il contrario. Il digiuno allena ad altro, ti apre ad altro. Soprattutto, non è un castigo, ma è una grazia.
Ti astieni dal vino e non ti astieni dalle ingiurie. Aspetti il tramonto per prendere cibo e tutto il giorno porti la gente davanti al giudice. Guai a quelli che sono ebri non di vino ma nella mente.
Il digiuno è questo! Il digiuno dello stomaco ti deve condurre al digiuno della mente, dei pensieri, dei desideri; che vuol dire: ordine, dominarsi, saper controllare sé stessi: questo è il digiuno. Il concetto è: io digiuno come voglio io o come vuole Dio? E il digiuno mi insegna che devo entrare nella logica che l’uomo non vive di solo pane? E che quindi l’uomo può vivere anche di niente? Il digiuno è distacco, capite? E certamente non può essere che, a motivo del digiuno, tu prendi un altro a botte.
L’ira è proprio l’ubriachezza della mente.
Fa niente se tu non bevi vino, ma se sei iroso, tu sei ubriaco nella testa.
L’atleta prima del combattimento si allena: chi digiuna, si prepara alla lotta attraverso l’astinenza. Per riportare vittoria sui vizi e sulle passioni, bisogna cingersi della corona del digiuno e dell’astinenza.
L’astinenza è non mangiare carne, il digiuno è non mangiare proprio. Classico e tipico il digiuno a pane e acqua.
Sant’Agostino scrive:
Sarà il tuo digiuno gradito a Dio se dimentichi il fratello? — Altra storia, questa: io digiuno però, intanto, dimentico che quell’altro sta morendo in piedi e non l’aiuto — Digiunare ed agire, la preghiera prende il volo trasportata da queste due ali. Dunque, digiuna, in questo modo gli altri potranno mangiare al tuo posto, e tu ti rallegrerai di esserti privato del tuo pasto. Chi non ha cibo, vorrebbe che lo si nutrisse nella povertà. Attenzione a non disprezzare la povertà del nostro Dio, che è di essa affamato.
San Leone Magno scrive:
La preghiera del digiuno è gradita a Dio e spaventa Satana. Essa contribuisce alla propria ed altrui salvezza. Non c’è nulla di più efficace del digiuno per avvicinarsi a Dio — ma così come stiamo dicendo — Non trascuriamo questo potente mezzo, questa terapia tanto efficace per le nostre ferite. Apprezzate la vostra fortuna: chi ha ricevuto molto, deve dare molto. Possa il digiuno dei credenti diventare cibo dei poveri.
E, ascoltando queste parole, cominciate a capire lo sventurato Esaù…
E poi abbiamo San Francesco di Sales, che scrive:
Eccoti alcuni consigli: se puoi digiunare, farai bene a digiunare qualche giorno in più di quelli che comanda la Chiesa. Oltre all’effetto ordinario del digiuno, che è quello di liberare lo spirito, sottomettere la carne, praticare la virtù e accrescere l’eterna ricompensa in cielo, il digiuno ci fa dominare i nostri appetiti e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito.
Perché poi capite che, nel giorno di digiuno, arrivano tutte le cose più incredibili della Terra: arriva la persona con la torta, le brioches, la crema, il piatto di pastasciutta che tu hai sempre adorato ed è trent’anni che non lo mangi e quel giorno te lo cucinano; arriva la pietanza più buona del mondo, le cinque cose che ti piacciono di più ti si presentano davanti quel giorno. Non cedere è un dominio, è un dire a me stesso: no, qui comando io e dico no.
Continua S. Francesco di Sales:
Anche se i digiuni non saranno molti, il nemico, quando si accorgerà che sappiamo digiunare, ci temerà di più. Il mercoledì, il venerdì e il sabato sono i giorni che i primi cristiani consacravano all’astinenza — cioè, niente carne — scegline uno tra di essi per digiunare — cioè, fai di più: non fare solo astinenza, fai il digiuno — secondo la tua devozione e la discrezione del tuo direttore spirituale. Dobbiamo avere una grande considerazione per la frase che il Nostro Signore Salvatore e Redentore disse ai suoi discepoli: “mangiate ciò che vi sarà presentato”. Sono del parere che sia maggiore virtù mangiare senza scelta — ecco un’altra forma di digiuno — ciò che ti viene presentato e nell’ordine in cui ti viene presentato, senza far caso se sia di tuo gusto o meno, che scegliere sempre quanto c’è di peggiore.
Perché questo? Semplice: perché dietro al digiuno ci sta la penitenza della volontà, dell’io. Tra colui che dice: “Io scelgo la roba più schifosa, più scaduta, più brutta, che non mangia nessuno” (“io scelgo”) e colui che dice: “Io ricevo ciò che tu mi dai, come tu me lo dai”, è più meritevole il secondo! Perché nel primo c’è dentro l’io mascherato, nel secondo no. Nel secondo c’è l’io che dice: “Va bene, arrivi quel che arrivi. Può darsi che arriverà una cosa che mi piace, può darsi che arriverà una roba che mi farà venire il voltastomaco, pazienza, digiuno”; anche questa è una forma di digiuno. Capite che il digiuno non è solamente svuotar la pancia. E questo si può fare tutti i giorni, e questa è la cosa interessante: posso scegliere il digiuno a pane e acqua tot giorni a settimana e scegliere questo tipo di digiuno “altro”, che è quello per cui, quando mi chiedono: “Cosa vuoi per cena”, io rispondo: “Quello che vuoi”. O: “Cosa vuoi per pranzo?”. E io rispondo: “Scegli tu”.
Questo è il digiuno, che vuol dire entrare nella mens del digiuno, che non è semplicemente, “oh, mamma, arriva mercoledì; oh, mamma, arriva venerdì; oh, mamma, si salvi chi può, adesso è finita, muoio”; non è questo, e non è: “non andrò più in vacanza con una persona che mangia mentre faccio il digiuno, perché sennò mi sento morire”, non è questo il digiuno di Gesù Cristo. Perché il digiuno di Gesù Cristo è quella cosa per la quale tu lo fai ogni giorno, ogni singolo momento vivi in un atteggiamento di digiuno; che sia dello stomaco, che sia della mente, che sia del cuore, è digiuno, perché è la testimonianza che tu stai aspettando un bene più grande, che il tuo cuore, la tua mente, il tuo corpo, tendono ad altro.
Fatelo, alleniamoci a questo, che vuol dire mettiamolo in pratica. Qualcuno dice: “No, il digiuno non riesco a farlo, perché sono anemico, svengo, muoio e cado per terra”. Bene, non fare il digiuno del pane e dell’acqua, nessun problema, ce ne sono tanti altri di digiuni. Comincia tu a non scegliere più nelle cose piccole; comincia tu a non avere preferenze. Ci sono i pasticcini, invece di sceglierlo tu, fai scegliere gli altri. Voi fatelo per tre giorni e vedete quanto sangue sputate! Ma tanto! Perché la prima volta la mogliettina cara si ricorderà delle parole che magari ha sentito qua da padre Giorgio e, sapendo perché lo fai, allora ti prepara i piattoni di pasta, ma, dopo due giorni, se le è belle che dimenticate le parole di padre Giorgio (poi arrivano i problemi della vita…) e tu ti sei dimenticato di dirle di prepararti la pasta. Io non l’ho preparata, a lei non l’ho detto, cosa faccio? Stai zitto: è arrivata l’occasione del digiuno. Non dici niente e, quando torni a casa, quello che troverai, prenderai.
Ecco l’occasione del digiuno, il momento nel quale la vita ti pone davanti una scelta dove tu puoi scegliere, senza che nessuno si accorga di niente, di non mangiare nulla, cioè di non mangiare quella cosa che ti piace. Oppure: “Mi sono dimenticato di dirgli che non voglio le acciughe sulla pizza, che le detesto!”; stai zitto, se le metteranno sarà penitenza, se non le metteranno hai fatto il digiuno lo stesso, perché tu hai digiunato dalla tua volontà, è quello il frutto del digiuno. Poi se non troverai nessuna acciuga, bene, è un dono di Dio, ma intanto tu il digiuno l’hai fatto comunque, perché ti sei messo nella prospettiva di farlo. E di questo passo ne possiamo fare milioni, di esempi di digiuno, che non fanno male alla salute, che non incidono minimamente. Questo è un grande allenamento, che ci aiuterà ad evitare l’abisso infernale di Esaù. Quando poi vedrete che cosa è questa “vendita” e che cosa lui ha perso per sempre… e vedrete tutte le sue calde lacrime, ma ormai è andata, il padre la mano l’ha imposta.
E finisco con la citazione:
Anche se quest’ultimo modo di agire sembra più austero — scegliere il peggio — l’altro denota maggiore mortificazione — perché non ti porta soltanto alla rinuncia al tuo gusto, ma anche alla scelta personale — e mi sembra che non sia una mortificazione da poco piegare il proprio gusto alle circostanze del caso e tenerlo sottomesso alle situazioni fortuite. In più, questo genere di mortificazioni, passa inosservato e non dà noia nessuno. In questa indifferenza a ciò che si mangia e a ciò che si beve, si trova la perfezione alla parola di Nostro Signore.
Quindi, vedete, ci sono tantissimi scritti dei santi che dicono queste cose, ma il concetto di fondo è questo: quello che conta è allenarsi a questa logica. E siccome la catechesi serve per la vita, vi invito caldamente a fare questa esperienza, secondo tempi, momenti, modalità vostre. Chi non può digiunare, per le sue ragioni, a pane e acqua, faccia l’altro tipo di digiuno, quello di cui parla San Francesco di Sales: il digiuno della mortificazione del tuo gusto e della tua volontà; per cui non scegli, lasci scegliere, ti lasci scegliere, rinunci al tuo io, nelle circostanze più varie, più svariate, che ti presenterà il Signore, dalle più piccole cose alle più grandi.
Fate questo allenamento questa settimana, perché quando, la settimana prossima, andremo avanti sul tema di Esaù e di Giacobbe, se questa settimana avrete fatto la prova di questo esperimento del digiuno a vari livelli, cosa succederà? Succederà che forse capirete un po’ di più perché Esaù è crollato. Si capirà di più quanto è difficile tenere le cose sacre come tali sempre; come è difficile mantenere la sacralità della vita, la sacralità di tutto il nostro essere. E il digiuno, inteso così, come vi ho detto, insegna tutto questo. Il digiuno è come se vi facesse scoprire una dimensione nuova, tanto che poi diventa connaturale. Dalla paura, al timore del digiuno, alla repulsione del digiuno, poi il digiuno diventerà imprescindibile, cioè uno sentirà l’esigenza del digiuno, tanto che, non ve li ho letti, ma ci sono stati dei santi che sono stati trenta, quarant’anni senza più mangiare. Alla beata Alexandrina Maria da Costa, che è stata tredici anni senza mangiare e senza poter bere, vivendo solo dell’Eucaristia, Gesù disse proprio così: “Tu devi essere l’esempio concreto a questo mondo che la mia carne è vero cibo, e il mio sangue è vera bevanda”. E infatti la beata, non è morta, ma è vissuta mangiando solo l’Eucaristia. Tra l’altro notate che Gesù non le ha tolto la fame e la sete, è questa la cosa interessante. Gesù non le ha detto: tu digiuni e io ti tolgo la fame e la sete, perché mangi solo di me. Tu non morirai, ma la fame e la sete ti divoreranno. Ci sono dei passi dove la beata dice che sentiva la gola bruciare dall’arsura. L’arsura è proprio quella cosa che tu ti senti la gola arsa, come se fosse un deserto. Non è la sete! L’arsura è proprio quella sensazione in cui ti senti la lingua che è come se si seccasse nella gola. E lei scrive che ha tentato di bere, perché non ce la faceva più e, a parte che vomitava, ma poi l’acqua scendeva in gola e lei non la sentiva, non le dava nessun beneficio, zero. E questo perché Gesù le aveva detto: “Solo la mia carne, solo il mio sangue; solo quello è il tuo cibo, solo quello è la tua bevanda”.
Quando noi pensiamo a questi santi, a questi beati, dobbiamo pensare che Dio ha fatto questo per noi. Io non so se voi avete mai provato l’arsura, ma pensare di vivere nell’arsura tredici anni… io vi dico che impazzirei solo all’idea. E loro lo hanno fatto perché Gesù gliel’ha chiesto, per essere una testimonianza a noi.
Riflettiamo sul nostro modo di comportarci, di rapportarci a noi stessi; non parlo di cibo, parlo proprio della nostra volontà, dei nostri gusti. Impariamo a digiunare da noi stessi e anche dalle cose, nella misura in cui ci è possibile farlo.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.
Informazioni
Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.