Scroll Top

Catechesi “La Fede” – Esaù e Giacobbe: la conseguenza del disprezzo della primogenitura (Gen 27, 1-43) lezione 5

Catechesi La Fede 2017-18

Catechesi di lunedì 2 ottobre 2017

Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione della catechesi:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

Brani commentati durante la catechesi:

Genesi 25, 29-34

29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un pò di questa minestra rossa, perché io sono sfinito” – Per questo fu chiamato Edom -. 31 Giacobbe disse: “Vendimi subito la tua primogenitura”. 32 Rispose Esaù: “Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?”. 33 Giacobbe allora disse: “Giuramelo subito”. Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.

Genesi 27, 1-43

1 Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: “Figlio mio”. Gli rispose: “Eccomi”. 2 Riprese: “Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. 3 Ebbene, prendi le tue armi, la tua farè tra e il tuo arco, esci in campagna e prendi per me della selvaggina. 4 Poi preparami un piatto di mio gusto e portami da mangiare, perché io ti benedica prima di morire”. 5 Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. 6 Rebecca disse al figlio Giacobbe: “Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: 7 Portami la selvaggina e preparami un piatto, così mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della morte. 8 Ora, figlio mio, obbedisci al mio ordine: 9 Và subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io ne farò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. 10 Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà, perché ti benedica prima della sua morte”. 11 Rispose Giacobbe a Rebecca sua madre: “Sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. 12 Forse mio padre mi palperà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione”. 13 Ma sua madre gli disse: “Ricada su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu obbedisci soltanto e vammi a prendere i capretti”. 14 Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. 15 Rebecca prese i vestiti migliori del suo figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; 16 con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. 17 Poi mise in mano al suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. 18 Così egli venne dal padre e disse: “Padre mio”. Rispose: “Eccomi; chi sei tu, figlio mio?”. 19 Giacobbe rispose al padre: “Io sono Esaù, il tuo primogento. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica”. 20 Isacco disse al figlio: “Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!”. Rispose: “Il Signore me l`ha fatta capitare davanti”. 21 Ma Isacco gli disse: “Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no”. 22 Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò e disse: “La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù”. 23 Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e perciò lo benedisse. 24 Gli disse ancora: “Tu sei proprio il mio figlio Esaù?”. Rispose: “Lo sono”. 25 Allora disse: “Porgimi da mangiare della selvaggina del mio figlio, perché io ti benedica”. Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. 26 Poi suo padre Isacco gli disse: “Avvicinati e baciami, figlio mio!”. 27 Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l`odore degli abiti di lui e lo benedisse: “Ecco l`odore del mio figlio come l`odore di un campo che il Signore ha benedetto. 28 Dio ti conceda rugiada del cielo e terre grasse e abbondanza di frumento e di mosto. 29 Ti servano i popoli e si prostrino davanti a te le genti. Sii il signore dei tuoi fratelli e si prostrino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedetto!”.
30 Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isacco, quando arrivò dalla caccia Esaù suo fratello. 31 Anch`egli aveva preparato un piatto, lo aveva portato al padre e gli aveva detto: “Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio, perché tu mi benedica”. 32 Gli disse suo padre Isacco: “Chi sei tu?”. Rispose: “Io sono il tuo figlio primogenito Esaù”. 33 Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: “Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l`ha portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, poi l`ho benedetto e benedetto resterà”. 34 Quando Esaù sentì le parole di suo padre, scoppiò in alte, amarissime grida. Egli disse a suo padre: “Benedici anche me, padre mio!”. 35 Rispose: “E` venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la tua benedizione”. 36 Riprese: “Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!”. E soggiunse: “Non hai forse riservato qualche benedizione per me?”. 37 Isacco rispose e disse a Esaù: “Ecco, io l`ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l`ho provveduto di frumento e di mosto; per te che cosa mai potrò fare, figlio mio?”. 38 Esaù disse al padre: “Hai una sola benedizione padre mio? Benedici anche me, padre mio!”. Ma Isacco taceva ed Esaù alzò la voce e pianse. 39 Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse: “Ecco, lungi dalle terre grasse sarà la tua sede e lungi dalla rugiada del cielo dall`alto. 40 Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello; ma poi, quando ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo”. 41 Esaù perseguitò Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: “Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe”. 42 Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed essa mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: “Esaù tuo fratello vuol vendicarsi di te uccidendoti. 43 Ebbene, figlio mio, obbedisci alla mia voce: su, fuggi a Carran da mio fratello Labano.

Testo della catechesi

Scarica il testo della catechesi in formato PDF

Continuiamo la nostra catechesi sul tema della fede, che stiamo affrontando attraverso questo testo dell’Antico Testamento, il capitolo 25 del Libro della Genesi. Siamo a questa vicenda di Esaù che vende la sua primogenitura. La volta scorsa abbiamo affrontato una parte, adesso affronteremo l’altra. Rileggiamo il testo per la parte che ci interessa trattare ora.

Genesi 25, 29-34.

29 Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. 30 Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. 31 Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». 32 Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?». 33 Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe. 34 Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.

Esaù arriva dalla campagna ed è sfinito, ha fame. È sfinito perché ha cacciato; quando si caccia, si fa tanta fatica. Si trova però di fronte ad una scelta: la sua fame e la sua primogenitura. Esaù e Giacobbe sono gemelli, Esaù è il primo dei due e si trova davanti a questa scelta: vendere la propria identità profonda, genetica, proprio quella legata alla nascita, il suo essere nato così, per avere in cambio un piatto di lenticchie. Tutti abbiamo mangiato un piatto di lenticchie: è la cosa più misera possibile, cioè proprio niente. E allora Giacobbe gli dice: vendimi la tua primogenitura.

La Sacra Scrittura ci consegna il ragionamento infelice e tristissimo che fa Esaù, che dice: “Ecco, sto morendo”. Ma come, sto morendo? Tutti i giorni andava a cacciare! Perché se non avessi cacciato saresti morto, non c’era la macelleria! Esaù dice: «Sto morendo», ma non è vero che sta morendo, ha solo fame, ma non sta morendo. Solo che lui ha questa percezione falsa, falsissima, che sta morendo, ma non è vero; ha una grande fame.

Vedete come è facile confondere i nostri reali bisogni? Lui non aveva il bisogno di un uomo che sta morendo, lui aveva il bisogno di un uomo che ha fame, ma lui esagera questo bisogno perché, in questo modo, trova la giustificazione all’empietà che sta per compiere. Lui vuole mangiare, lui non vede altro che il mangiare, lui deve mangiare. E per dire che deve mangiare, deve dire che sta morendo. Cioè, deve mangiare a qualunque costo. Questa fame non può avere un limite, deve essere esaudita totalmente. Ma non può semplicemente dire che ha fame, prima dice che è sfinito, che è distrutto e, poco prima di compiere il passo della vendita, dice che sta morendo. Ma è tutto falso, è la stanchezza di sempre, è la fame di sempre, non è cambiato niente. Non è dovuto andare a fare la caccia grossa del rinoceronte rispetto alle altre volte che invece andava a cacciare i cagnolini! È la fame di sempre, ma questa fame, oggi, è la fame delle fami.

«Sto morendo: a che mi serve la primogenitura?»

Ecco, qui abbiamo toccato veramente il fondo del barile, siamo nella parte più bassa dell’umanità, anzi, meglio dire della disumanità. Ma da quando si può applicare un concetto di mercato, un concetto utilitaristico sulla propria identità, sull’elezione, sulla primogenitura? È possibile applicare un concetto di mercato? Esaù dice: “a cosa mi serve…”; ma come, a cosa mi serve? Ma sei tu! La primogenitura sei tu! Cosa vuol dire: “a cosa mi serve?” 

Esaù non ha capito niente dei doni di Dio, ma proprio niente! Lui pensa ai doni di Dio dentro a una logica di uso e consumo e abuso, non nella logica della comprensione, cioè: voglio comprendere la portata del dono di Dio, voglio comprendere lo stato di grazia che Dio mi ha fatto. Non lo comprendo totalmente oggi, certo, lo comprenderò totalmente forse alla fine della vita, può darsi, ma di sicuro, giorno dopo giorno, comprenderò sempre di più qualcosa. Di certo non posso pensare che il dono di Dio mi debba servire; è assurdo! Il dono di Dio, ciò che noi abbiamo ricevuto da Dio, non è che mi serve, sono io che servo Dio, è diverso. Quando noi entriamo in questa dimensione, in questa logica del “a cosa mi serve”, l’abbiamo già perso, il dono di Dio. 

Quante volte noi, nella nostra giornata e nella nostra vita, pensando a noi, ai doni di Dio, li pensiamo in una logica di “uso e consumo”, cioè: a cosa mi giova? Quanto bene ne ricavo io? Quanto serve a me? Quanto utile mi dà questo dono di Dio? Saltando completamente a piè pari la possibilità di pensare che questo dono di Dio, in realtà, è una responsabilità per me da esercitare verso Dio e verso gli altri. Questo è il senso del dono, non a cosa mi serve.

Per cui, ritornando al tema del digiuno (ho sentito che qualcuno di voi ha provato a fare questo esperimento in questa settimana) voi avete visto che, facendo l’esperienza del digiuno, avete proprio toccato con mano quanto si può essere come Esaù, cioè il pensare: “Sto morendo, sto per morire. Mi sento morire, mi sento venir meno, non ce la faccio. Non ce la posso fare! Questo digiuno a pane acqua mi uccide, devo mangiare”; ma non è vero! Questa cosa è falsa, è la suggestione che noi proviamo perché il nostro bisogno rimane frustrato, perché noi diciamo di no al delirio di onnipotenza che è scritto nei nostri bisogni, quindi al nostro egoismo; allora noi abbiamo tutta la manifestazione della potenza che sta scritta dentro al bisogno. Infatti, per esempio, crediamo di essere noi a dominare la gola, di essere noi che decidiamo, in realtà è la gola che determina noi e decide per noi.

E questo lo potete applicare, come abbiamo visto la volta scorsa, sul digiuno a tutto tondo cioè, su qualunque oggetto cada sotto la categoria “digiuno”; può essere il cibo, possono essere gli affetti, può essere una cosa sul tempo, può essere il sonno, quello che volete. Quando noi andiamo a toccare il tema dei bisogni, soprattutto se poi riguardano i bisogni primari, se noi facciamo questo salto di fede, la nostra fede viene immediatamente smascherata. La domanda profonda che bisognava farsi, che i nostri Esaù avrebbero dovuto farsi, avrebbe dovuto essere: “Ma se io mi trovo in questa condizione, qual è la ragione? Per chi lo sto facendo? La primogenitura chi me l’ha data? Me l’ha data Dio. Posso pensare che Dio mi sostenga, nonostante io senta che sto per morire? E non sia costretto a venderla per un piatto di lenticchie? Posso pensare che sto facendo il digiuno per il Signore e il Signore mi sosterrà in quel digiuno, e non è vero che sto morendo, e non è vero che se vado avanti muoio, ma che il Signore, veramente, mi aiuterà a portarlo a termine? Posso pensare questo?” Devi pensare questo! Perché è così! La Provvidenza di Dio, se tu fossi andato fino in fondo o se tu l’hai fatto, se tu sei effettivamente arrivato fino in fondo, ti mostrerà esattamente questo: che era tutto un inganno, era falso.

Questo è il potere diabolico della suggestione; quella fame non era reale, era tutta indirizzata a farti trasgredire il digiuno. Questa è la parabola che accade nella vita del credente quando si mette nel deserto seguendo Gesù! Purtroppo, succede questo! Succede il momento della prova, dove tu sei chiamato a dire cosa scegli: ti fidi che Dio non ti lascia in quel momento, oppure tu pensi che il Signore ti ha ingannato e ti ha messo in una condizione impossibile? Questo è esattamente il peccato di Adamo ed Eva. 

Questo lo potete applicare alla purezza; ci sono quelli che vengono a dire: “No padre, non ce la faccio più, mi sento scoppiare, è un’esigenza fisica, ho dolore!” Ma non è vero, cioè: è vero che tu hai quella percezione, ma quella percezione non corrisponde a un vero bisogno, corrisponde a una suggestione. E via di seguito. Di queste cose ce ne sono mille; tutte le volte che noi entriamo in questa dimensione del digiuno. Voi lo potete applicare al terzo comandamento, lo potete applicare a rubare, lo potete applicare a frodare, lo potete applicare alla bestemmia, lo potete applicare alla Messa, alle confessioni, alla preghiera quotidiana, a qualunque cosa. Per esempio: “Non posso andare a Messa tutti i giorni” — Perché? — “Perché non ce la faccio”. Ma non è vero! Oppure: “Non posso svegliarmi prima, perché sennò muoio dal sonno” — Ma non è vero. Non è vero! Tu devi metterti nella logica dell’idea che il Signore non abbandona coloro che si affidano a lui. E quello che tu fai per lui, in funzione di un’adesione a lui, in funzione della santità, il Signore non ti lascia, non ti può abbandonare; solo che tu ci devi credere davvero e ci devi dare dentro.

Esaù vende la primogenitura perché non sa cos’è, non ha capito che cos’è; Giacobbe sì. Poco prima, la Scrittura scrive che Esaù era sempre in giro a cacciare ed era il prediletto di Isacco, mentre Giacobbe stava sempre tra le tende ed era il prediletto di Rebecca, la mamma. Giacobbe era un tipo evidentemente più pacato, più meditabondo, più interiore, più spirituale. Quell’altro, invece, era un po’ più praticone. Solo che Rebecca — la mamma — e il figlio Giacobbe, avevano capito bene cos’era la benedizione, l’avevano intesa bene. E quindi, conoscendo il soggetto (Esaù), han pensato bene di fare quello che avevano in mente. Perché, capite, quando noi disprezziamo un dono, il Signore lo dà a un altro; i doni passano, trafficano. Nella misura in cui tu non lo capisci, non lo sai apprezzare, basta; i doni si perdono. E certi doni, quando si perdono, si perdono per sempre.

La Scrittura dice che Esaù vende a Giacobbe la primogenitura, mangia, beve, si alza e se ne va. Esaù, probabilmente, neanche ha pensato, andandosene via, a quello che aveva fatto, aveva la pancia piena… Era saziato nel suo bisogno, era a posto. La Scrittura dice:

A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura.

Fare questo scambio iniquo vuol dire disprezzare sé stessi e Dio, vuol dire disprezzare i doni di Dio; non si può scambiare la primogenitura con le lenticchie, non è possibile.

E allora vediamo che cosa quest’uomo ha perso; perché, vedete, non ha perso semplicemente la primogenitura, perché quando si perde a questi livelli, non si perde qualcosa, si perde tutto! E adesso la storia mostrerà a lui, e a noi, che cosa Esaù ha perso, fin dove è arrivata questa perdita, cioè lo spessore della perdita. Adesso vediamo la perdita che ritroviamo in Genesi 27, che ci narra un evento molto articolato, complesso e interessante, che va letto, perché sennò non si capisce.

1 Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti che non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore, Esaù, e gli disse: «Figlio mio». Gli rispose: «Eccomi». 2 Riprese: «Vedi, io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene, prendi le tue armi, la tua farètra e il tuo arco, esci in campagna e prendi per me della selvaggina. Poi preparami un piatto di mio gusto e portami da mangiare, perché io ti benedica prima di morire».

Da qui capite proprio che il tema del cibo è essenziale, le cose più importanti, chissà come mai, sono legate alla mensa.

 5 Ora Rebecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di selvaggina da portare a casa. 6 Rebecca disse al figlio Giacobbe: «Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: 7 Portami la selvaggina e preparami un piatto, così mangerò e poi ti benedirò davanti al Signore prima della morte. 8 Ora, figlio mio, obbedisci al mio ordine: 9 Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io ne farò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. 10 Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà, perché ti benedica prima della sua morte». 11 Rispose Giacobbe a Rebecca sua madre: …

Ci sono sempre i Giacobbe di turno, che dicono: “Eh, perché? Ma no, ma qua, ma la…”. Ci sono sempre i sapientoni del momento, quelli che vengono fuori con le super idee, non è che si fidano di Rebecca, figurati! “Lui ne sa di più”!

11 Rispose Giacobbe a Rebecca sua madre: «Sai che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. 

Certo che Rebecca lo sa, sono i suoi figli! Cioè, capite fin dove arriva la superbia?

12 Forse mio padre mi palperà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione».  

È arrivato il sapientone di turno… Giacobbe sta prendendo tempo.

13 Ma sua madre gli disse: «Ricada su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu obbedisci soltanto e vammi a prendere i capretti». 

Questa obbedienza bella del: “Sì, lo faccio”, è rara. La Vergine Maria è un esempio unico, in questo.

 14 Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. 15 Rebecca prese i vestiti migliori del suo figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; 16 con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo.

Giacobbe aveva pensato solo alle braccia, ma Rebecca anche al collo, perché, quando uno ti abbraccia, lo sente se tu non sei peloso sul collo!

17 Poi mise in mano al suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato.

Fa tutto Rebecca!!

18 Così egli venne dal padre e disse: «Padre mio». Rispose: «Eccomi; chi sei tu, figlio mio?». 19 Giacobbe rispose al padre: «Io sono Esaù, il tuo primogenito. 

E io già sento le pie donne che dicono: “Sta ingannando suo padre!” Certo, certo… è così. Quanto la nostra idea di Dio deve mettersi al posto giusto! E invece noi siamo dei bigotti che non capiscono niente.

«Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Alzati dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica». 20 Isacco disse al figlio: «Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!». Rispose: «Il Signore me l’ha fatta capitare davanti».

Gliela ha fatta trovare il Signore, dice Giacobbe, chiama in causa tutti; una menzogna dopo l’altra!

21 Ma Isacco gli disse: «Avvicinati e lascia che ti palpi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no». 22 Giacobbe si avvicinò ad Isacco suo padre, il quale lo tastò e disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù».

Nel dubbio, Isacco avrebbe potuto anche non fare niente; nel dubbio, poteva dire: a me sembra l’uno e anche l’altro, di figli ne ho due, se tu sei Esaù, allora vai a chiamare Giacobbe. Io avrei fatto così, avrei pensato: io ho due figli, li chiamo tutti e due, li palpo per capire chi sono. Ma sapete, il Signore rema contro a coloro che sono iniqui. Allo stesso modo, Giacobbe avrebbe potuto dire a sua madre Rebecca: ma scusa, vado là, mi metto su le pelli, faccio tutto quello che vuoi, però se lui mi dice di andare a chiamare mio fratello, io cosa faccio? La maledizione mi cade addosso lo stesso! Il prezzo è molto alto perché, se poi quello mi maledice, cosa faccio? Se non faccio questo, non ho niente, ma se quello mi scopre?

23 Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e perciò lo benedisse. 24 Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mio figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». 25 Allora disse: «Porgimi da mangiare della selvaggina del mio figlio, perché io ti benedica».  Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. 26 Poi suo padre Isacco gli disse: «Avvicinati e baciami, figlio mio!». 27 Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’odore degli abiti di lui e lo benedisse:

Adesso sentite cosa Esaù ha perso per un piatto di lenticchie…

«Ecco l’odore del mio figlio
come l’odore di un campo
che il Signore ha benedetto.
28 Dio ti conceda rugiada del cielo
e terre grasse
e abbondanza di frumento e di mosto.

29 Ti servano i popoli
e si prostrino davanti a te le genti.
Sii il signore dei tuoi fratelli
e si prostrino davanti a te i figli di tua madre.
Chi ti maledice sia maledetto
e chi ti benedice sia benedetto!».

Stava proprio morendo di fame Esaù, vero? Poverino …

30 Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isacco, quando arrivò dalla caccia Esaù suo fratello. 31 Anch’egli aveva preparato un piatto, poi lo aveva portato al padre e gli aveva detto: «Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio, perché tu mi benedica». 32 Gli disse suo padre Isacco: «Chi sei tu?». Rispose: «Io sono il tuo figlio primogenito Esaù». 33 Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: «Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l’ha portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, poi l’ho benedetto e benedetto resterà». 34 Quando Esaù sentì le parole di suo padre, scoppiò in alte, amarissime grida. Egli disse a suo padre: «Benedici anche me, padre mio!». 35 Rispose: «È venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la tua benedizione». 36 Riprese: «Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già due volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!». Poi soggiunse: «Non hai forse riservato qualche benedizione per me?». 37 Isacco rispose e disse a Esaù: «Ecco, io l’ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l’ho provveduto di frumento e di mosto; per te che cosa mai potrò fare, figlio mio?». 38 Esaù disse al padre: «Hai una sola benedizione padre mio? Benedici anche me, padre mio!». Ma Isacco taceva ed Esaù alzò la voce e pianse. 39 Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse:

«Ecco, lungi dalle terre grasse
sarà la tua sede
e lungi dalla rugiada del cielo dall’alto.
40 Vivrai della tua spada
e servirai tuo fratello;
ma poi, quando ti riscuoterai,
spezzerai il suo giogo dal tuo collo».

41 Esaù perseguitò Giacobbe per la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: «Si avvicinano i giorni del lutto per mio padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe». 42 Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù, suo figlio maggiore, ed essa mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: «Esaù tuo fratello vuol vendicarsi di te uccidendoti. 43 Ebbene, figlio mio, obbedisci alla mia voce: su, fuggi a Carran da mio fratello Làbano.

Giacobbe non ha capito niente! Esaù gli ha venduto la primogenitura per un piatto di lenticchie; ma non stava morendo di fame? Adesso cosa vuoi, Esaù? Hai fatto la tua scelta, vattene. Hai venduto tutto! Hai perso tutto! E, dove sono finite le lenticchie? Nella fogna. E la primogenitura? Sulla testa di tuo fratello Giacobbe. E tu? Vivrai di spada e farai il servo tuo fratello, e non avrai né terre grasse, né rugiada dal cielo. Hai perso tutto, tutto, tutto. Ma siccome lui neanche aveva quell’umiltà minima di dire: «è vero, è colpa mia», a peccato terribile si aggiunge peccato: la gelosia, l’invidia, l’omicidio. E anche se Giacobbe l’ha fatto con inganno, tu gliela avevi venduta la primogenitura, quindi di diritto gli spettava. 

Giacobbe ha ingannato l’uomo, perché suo padre non l’avrebbe mai permesso, in quanto preferiva Esaù, ma nei confronti di Dio era a posto. Perché? Perché Dio è giusto ed imparziale, ed Esaù ha venduto tutto e quindi lui perde tutto.

Solo che la pancia poi si svuota, l’anima no. E quando Esaù si è svuotato la pancia, si è dimenticato le lenticchie, allora pretendeva di avere. Eh no! Perché quel che è fatto è fatto, non si torna indietro. Non si può sempre tornare indietro e non si può sempre mettere un cerotto. Quella benedizione ormai è andata, e lui ha perso tutto, ha perso il suo essere primogenito e ha perso anche l’essere fratello, tanto che vuole uccidere suo fratello Giacobbe.

In tutto questo, voi capite che il tema della fede, non è un tema che riguarda quante preghiere ho detto oggi, ma è un tema che riguarda la mia vita di tutti i giorni e il mio futuro. Perché Esaù ha mancato di fede, non è stato come suo nonno Abramo, Esaù è stato profondamente carnale, mondano e molto stupido, perché era rimbecillito dalla logica della carne e del mondo. Non ha saputo aver nessuna predilezione, nessuna cura dei doni spirituali. Ma i doni spirituali, primo, sono per sempre, e, secondo, sono dati, e quelli sì che hanno un riverbero sulla parte umana, carnale, mondana, nel senso che la illuminano, che la estendono, che la amplificano, che la abbelliscono. Quelli sì, ma non è vero il contrario. Il piatto di lenticchie non ha eliminato niente dello spirito di Esaù, niente ha portato, solo le tenebre di uno stupido che ha preferito il suo ventre alla sua identità, alla sua anima, al suo spirito. Per questo è importante essere uomini e donne di fede.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Informazioni

Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.

Post Correlati