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Ciclo di catechesi – La sacralità e il rispetto dovuti a Dio (2Sam 6) Lezione 23

Catechesi La Fede 2017-18

Catechesi di lunedì 26 febbraio 2018

Ciclo di catechesi “La Fede: dubbio o Abbandono? La Scelta di una vita

Relatore: p. Giorgio Maria Faré

Ascolta la registrazione della catechesi:

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Brani commentati durante la catechesi:

Secondo libro di Samuele, Capitolo 6

1 Davide radunò di nuovo tutti gli uomini migliori d’Israele, in numero di trentamila. 2 Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baala di Giuda, per trasportare di là l’arca di Dio, che è designato con il nome, il nome del Signore degli eserciti, che siede su di essa sui cherubini. 3 Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadab che era sul colle; Uzza e Achio, figli di Abinadab, conducevano il carro nuovo: 4 Uzza stava presso l’arca di Dio e Achio precedeva l’arca. 5 Davide e tutta la casa d’Israele facevano festa davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali. 6 Ma quando furono giunti all’aia di Nacon, Uzza stese la mano verso l’arca di Dio e vi si appoggiò perché i buoi la facevano piegare. 7 L’ira del Signore si accese contro Uzza; Dio lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. 8 Davide si rattristò per il fatto che il Signore si era scagliato con impeto contro Uzza; quel luogo fu chiamato Perez-Uzza fino ad oggi. 9 Davide in quel giorno ebbe paura del Signore e disse: “Come potrà venire da me l’arca del Signore?”. 10 Davide non volle trasferire l’arca del Signore presso di sé nella città di Davide, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat. 11 L’arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa. 12 Ma poi fu detto al re Davide: “Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio”. Allora Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di Davide, con gioia. 13 Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un bue e un ariete grasso. 14 Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. 15 Così Davide e tutta la casa d’Israele trasportavano l’arca del Signore con tripudi e a suon di tromba. 16 Mentre l’arca del Signore entrava nella città di David, Mikal, figlia di Saul, guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore, lo disprezzò in cuor suo. 17 Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide aveva piantata per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. 18 Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti 19 e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua. 20 Ma Davide che tornava per benedire la sua famiglia, uscì incontro a Mikal figlia di Saul e gli disse: “Bell’onore si è fatto oggi il re di Israele a mostrarsi scoperto davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe un uomo da nulla!”. 21 Davide rispose a Mikal: “L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; ho fatto festa davanti al Signore. 22 Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò vile ai tuoi occhi, ma presso quelle serve di cui tu parli, proprio presso di loro, io sarò onorato!”. 23 Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte.

Testo della catechesi

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Benvenuti e ben ritrovati, questa sera affronteremo un nuovo testo della Sacra Scrittura che è tratto dal Secondo libro di Samuele, capitolo 6.

1Davide radunò di nuovo tutti gli uomini migliori d’Israele, in numero di trentamila. 2Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per trasportare di là l’arca di Dio, sulla quale è invocato il nome, il nome del Signore degli eserciti, che siede in essa sui cherubini.

Non so se vi ricordate come è fatta l’arca: è un parallelepipedo e ha due anelli dove si inseriscono le stanghe — perché non poteva essere toccata, se non dai sacerdoti — e, sopra l’arca, stavano i Cherubini, che si guardavano frontalmente, con le ali che coprivano l’arca. Dentro l’arca erano custodite le tavole della legge cioè, le due tavole dei dieci comandamenti, scritte col dito di Dio, ricevute da Mosè.

3Posero l’arca di Dio sopra un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle;

Quindi voi pensate che quest’arca ha sempre accompagnato il popolo di Israele in tutta la sua peregrinazione, per tutto il tempo dell’esodo. L’arca stava nella tenda del convegno, dove Mosè entrava e usciva per parlare con Dio, e dove scendeva la gloria di Dio, che era la nube.

Uzzà e Achìo, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo: 4Uzzà stava presso l’arca di Dio e Achìo precedeva l’arca. 5Davide e tutta la casa d’Israele facevano festa davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali.

Quindi, davanti al Signore si vive e si sta con questo grande atteggiamento di festa, ma non nel senso pagano e sguaiato, ma proprio di festa liturgica. Quello che loro stanno facendo, secondo il loro canone, è una festa liturgica, che dice la loro gioia di avere con loro l’arca dell’alleanza.

6Ma quando furono giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio e vi si appoggiò perché i buoi la facevano piegare. 7L’ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. 8Davide si rattristò per il fatto che il Signore si era scagliato con impeto contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Perez-Uzzà fino ad oggi. 9Davide in quel giorno ebbe paura del Signore e disse: «Come potrà venire da me l’arca del Signore?». 10Davide non volle trasferire l’arca del Signore presso di sé nella città di Davide, ma la fece portare in casa di Obed-Edom di Gat. 11L’arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa.

Allora, già so che nella vostra testa è partito un protocollo di domande che hanno un po’ tutte questo sottofondo: perché il Signore ha fatto morire Uzzà, che non ha semplicemente fatto altro che impedire che il carro si rovesciasse? Lui ha visto che i buoi che tiravano il carro facevano fatica, che il carro era inclinato e si stava un po’ sbilanciando, e gli è venuto spontaneo mettere una mano per impedire il rovesciamento; e perché è morto? Perché la Scrittura dice: «Dio lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio»? Qual è la sua colpa?

La fatica che noi facciamo di cogliere qual è la colpa di Uzzà — e, quindi, il fatto che noi vediamo, nel comportamento di Dio, un comportamento sbagliato, ingiusto e sicuramente eccessivo — ci dice quanto noi siamo lontani dalle cose di Dio, quanto la logica di Dio, il senso di Dio, il senso del sacro, il senso della Santità di Dio è molto lontano dalla nostra vita per noi, per i quali non esiste più spazio sacro.

Non c’è più nessuno spazio sacro, niente per noi è sacro; infatti, per noi, anche in chiesa non c’è uno spazio sacro; semplicemente noi entriamo in chiesa, entriamo così come siamo e facciamo quello che dobbiamo fare. Non avvertiamo la sacralità del luogo! Se dobbiamo passare sul presbiterio, per andare da una parte all’altra della chiesa, lo facciamo: si sale, si scende… Si chiama presbiterio perché c’è sopra un presbitero, e noi saliamo e scendiamo senza problemi. Questo tema della sacralità, effettivamente, è stato ampiamente rimosso — ed è continuamente rimosso — dalla nostra coscienza, perché abbiamo l’idea sbagliata che, creando un ambiente dove l’uomo è al centro e dove al centro sta il nostro volerci bene, l’andare d’accordo e creare rapporti di familiarità, in questa maniera avviciniamo l’uomo a Dio, ma in realtà lo allontaniamo, perché lo rendiamo alieno di quello che è il senso di Dio e di quello che si chiama “il sacro”, lo spazio sacro.

In questo, la prefazione che ha scritto il Cardinal Sarah al libro di don Federico Bortoli, sul tema della comunione in ginocchio, che vi invito ad andare a leggere, e diverse parti del libro del Cardinal Sarah (prefetto della Congregazione per il Culto Divino e Disciplina dei Sacramenti) La forza del silenzio, non fanno altro che sottolineare proprio questo tema della rimozione della sacralità e dell’importanza della sacralità per vivere un corretto rapporto con Dio.

Uzzà ha violato la sacralità. Non c’è mai una ragione buona per violare la sacralità; ci saranno tante ragioni per farlo, ma nessuna di esse è buona. Ciò che è sacro è sacro; ricordiamo anche quando nel roveto ardente Dio disse a Mosè: “Mosè togliti i sandali dai piedi, perché la terra sulla quale tu stai è sacra”. Alla presenza di Dio ci si toglie i sandali, perché sei su una terra in quel momento resa sacra dalla presenza di Dio. Ora, voi capite che, se a Uzzà capita di essere percosso e di morire per aver toccato la parte esterna dell’arca — che era un parallelepipedo contenente due pezzi di pietra, scritti col dito di Dio, con su il decalogo che è bellissimo, una cosa importantissima, stupenda, meravigliosa e preziosissima, ma sempre due pezzi di pietra rimangono — cosa dovrebbe succedere con l’Eucaristia, che è il Corpo di Cristo, figlio di Dio, seconda ipostasi della Trinità? Chissà… E pensiamo al nostro modo di andare a ricevere l’Eucarestia! Pensiamo alla nostra impreparazione, spesse volte! Pensiamo, Dio non voglia, a come, non poche volte, andiamo a ricevere l’Eucarestia con la coscienza non a posto, non pulita, non in ordine; oppure, senza essere concentrati sulla consapevolezza che stiamo andando a ricevere il Signore. Essere coscienti di quello che stiamo andando a fare è una delle condizioni richieste per accostarci all’Eucarestia.

Il Cardinal Sarah, in questa prefazione al libro di Don Bortoli, dice che andare a ricevere la comunione in bocca e in ginocchio, questo, senza dire una parola, è un atto di professione di fede; così come, invece, non lo è riceverla sulla mano; e lui lo spiega, dicendo che questo comporta sempre la perdita di frammenti. Viene meno questa concezione della sacralità. È un testo che veramente vi invito ad andare a leggere, perché è proprio tanto importante, soprattutto in riferimento a questo passo che stiamo meditando adesso, dove ci viene mostrato che il Signore sta attento a tutte le piccole cose e cura il fatto che queste piccole cose vengano gestite nel modo migliore. Uzzà muore proprio per aver fatto un gesto che non doveva essere compiuto.

In questa prefazione, il cardinale spiega molto bene che quel pezzetto di pane non è un pezzetto di pane, e questa è la prima considerazione. Ed è fondamentale inginocchiarsi davanti a questo pezzetto di pane perché è il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo. Quel gesto di inginocchiarsi — afferma il cardinale — dice tutta la professione di fede che io ho nel Vangelo; cioè, io testimonio il Vangelo, senza parlare, attraverso quel gesto. Il cardinale ricorda l’apparizione di Fatima: quando l’angelo della pace (che si presume fosse S. Michele arcangelo) appare ai tre pastorelli e dà la Comunione e insegna la preghiera da recitare davanti al Tabernacolo, insegna ai pastorelli a mettere la testa sul pavimento, sulla terra; devono pregare prostrati con la testa a terra davanti all’Eucarestia. Lo fa lui e i pastorelli con lui fanno la stessa cosa. Il cardinale dice: se lo fa l’arcangelo Michele e lo insegna ai tre pastorelli, è presumibile che noi non siamo di più dell’arcangelo Michele; ed è presumibile che l’arcangelo Michele, che con Gesù ha un certo tipo di rapporto un po’ più diretto del nostro, sappia meglio di noi la teologia sacramentaria, quindi sappia meglio di noi che cos’è l’Eucaristia. E, se lui fa così, vuol dire che anche noi dobbiamo imparare a fare così.

Noi abbiamo ridotto l’Eucaristia al pane del cammino, ma l’Eucaristia non è un pane benedetto! L’Eucaristia è il Corpo di Cristo e, nel momento in cui io lo ricevo in mano, spesse volte molti frammenti cadono per terra. In ogni frammento dell’Eucarestia è contenuto tutto Dio, e quel tutto Dio che va per terra, lo calpesto; in questo sta la prefazione del cardinale. Tra l’altro, il cardinale cita due santi, che sono Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II e, citando quest’ultimo dice: ma vi siete mai resi conto che il papa agonizzante è sempre stato in ginocchio davanti all’Eucaristia? E che ha fatto in ginocchio tutta la processione del Corpus Domini, anche l’ultima processione, dove non riusciva neanche a mettersi in ginocchio e non riusciva neanche a sollevarsi? Hanno dovuto metterlo in ginocchio e hanno dovuto tirarlo in piedi e ha fatto così tutta la processione. Il cardinale dice: “Beh, questo dice qualcosa!” Nessuno può mettere un dubbio sulla santità di Giovanni Paolo II; nessuno: il “santo subito” per eccellenza! Poi anche Madre Teresa di Calcutta, nessuna più di lei è stata la donna dei poveri; se voi andate da chiunque e gli dite: “Madre Teresa di Calcutta ha vissuto il Vangelo?”. Nessuna più di lei è stata attaccata al Vangelo, amante dei poveri, eppure Madre Teresa di Calcutta diceva che ciò che le dava un grandissimo dolore era proprio la ricezione della comunione sulla mano.

Noi già abbiamo fatto il corso inerente a questo tema dell’Eucaristia in mano e dell’Eucaristia in bocca, quindi vi ricordate molto bene tutto quello che abbiamo spiegato, ma, leggendo questa prefazione, abbiamo effettivamente la possibilità, in modo sintetico, di capire ancora meglio il valore. Poi la Chiesa lascia liberi, c’è questa libertà della ricezione, ma almeno che sia consapevole. Cioè, che ci sia più consapevolezza, che noi sappiamo cosa vuol dire ricevere la Comunione in ginocchio e in bocca e che cosa vuol dire ricevere la Comunione in mano. Sapere la differenza tra i due e sapere, quando vado a fare la Comunione, che cosa sto ricevendo e, soprattutto, chi sto ricevendo; e questo non emerge molto.

Dell’introduzione del Cardinal Sarah al libro di Don Bortoli, quello che volevo leggervi era questo:

Vediamo ora come la fede nella presenza reale può influenzare il modo di ricevere la Comunione, e viceversa. Ricevere la Comunione sulla mano comporta indubbiamente una grande dispersione di frammenti; al contrario, l’attenzione alle più piccole bricioline, la cura nel purificare i vasi sacri, non toccare l’Ostia con le mani sudate, diventano professioni di fede nella presenza reale di Gesù, anche nelle parti più piccole delle specie consacrate: se Gesù è la sostanza del Pane Eucaristico, e se le dimensioni dei frammenti sono accidenti soltanto del pane, ha poca importanza quanto un pezzo di Ostia sia grande o piccolo! La sostanza è la medesima! È Lui! Al contrario, la disattenzione ai frammenti fa perdere di vista il dogma: pian piano potrebbe prevalere il pensiero: “Se anche il parroco non fa attenzione ai frammenti, se amministra la Comunione in modo che i frammenti possano essere dispersi, allora vuol dire che in essi non c’è Gesù, oppure c’è ‘fino a un certo punto’”.

Nella Scrittura — e il Cardinal Sarah lo evidenzia — tutte le volte che Gesù risorto appare, come ad esempio quando incontra le donne al sepolcro, le persone cadono per terra prostrate. E anche quando nel Vangelo di Giovanni, vanno a catturare Gesù e Lui dice: “Io sono”, per due volte i soldati cadono di fronte al nome di Dio. Poi, il Cardinal Sarah fa notare che la tomba vuota di Gesù era vegliata da due angeli, eppure Gesù non c’era più e, quindi, il cardinal Sarah dice: immaginiamoci cosa succede quando c’è l’Eucarestia! Se due angeli vengono deputati per vegliare la tomba vuota di Gesù, che cosa ci dovrebbe essere quando c’è Gesù (nell’Eucarestia)? Anche santa Teresa di Gesù Bambino scrive delle cose sull’Eucarestia che uno, quando le legge, non è che cade in ginocchio, va direttamente in cielo. Santa Teresa di Gesù dice: “Io mi stupisco che, accanto ai nostri Tabernacoli, non ci siano schiere di soldati a loro difesa!”, e aggiunge: “Mi stupisco che, se noi crediamo che lì c’è veramente Gesù, non si faccia fatica a tener chiuse le porte, perché ci sono tutti i fedeli che vogliono entrare”.

Il ragionamento del Cardinal Sarah è un ragionamento molto importante che, di fatto, mette comunque un accento su tutti noi, anche su chi fa la Comunione in ginocchio; infatti, non è consequenziale il fatto che se faccio la Comunione in ginocchio, io credo; non è detto, perché magari mi sono abituato a farla. A me sembra che il punto del Cardinal Sarah sia: “Tu devi valutare bene, quando vai a ricevere il Signore, con che consapevolezza, con che coscienza, lo fai. Quando tu entri in chiesa, il tuo comportamento che cosa rivela, circa la tua fede, sulla presenza reale di Gesù?”. Questo è importantissimo. Poi, sapete, ognuno ha una coscienza e, in base ad essa, prende le sue decisioni.

L’importante è conoscere, l’importante è non andare avanti in maniera ideologica, da persone che hanno la loro idea e quell’idea non può essere toccata da nessuno, perché “quello che penso io è Dio”. No, quello che penso io non è Dio! Io penso e devo aprirmi a un confronto, devo essere disponibile a confrontarmi. Quindi, l’importante è conoscere, l’importante è sapere. Poi, in base a questa conoscenza, prendo le mie decisioni; decisioni che poi sarò chiamato anche a motivare, a giustificare e a sottolineare davanti a Dio. Tutti noi un giorno andremo davanti a Dio, e tutto questo sarà motivo, da parte nostra, di spiegazione: io, nella mia vita, ho deciso di comportarmi così, piuttosto che cosà, e spiegherò il perché. È importante che noi non rimaniamo dispersi; bisogna sapere, essere informati, e certamente, questo testo del Cardinal Sarah è un testo autorevole, è un testo che ci chiede una riflessione seria su un argomento serio, qual è l’Eucaristia. 

Certamente fa riflettere che Uzzà, per aver toccato l’arca, muoia lì. E, quindi, sicuramente, vale la pena di recuperare questo concetto della sacralità.

Ora, di fronte a questa scena di Uzzà e dell’arca, Davide si spaventa e decide di non far venire l’arca nella sua casa, ma di mandarla altrove. Questo è un atteggiamento tipico nostro: quando accade qualcosa, anche nella nostra coscienza o attorno a noi, che desta spavento o disappunto, la prima cosa che noi facciamo è dare la colpa a qualcuno. Caso tipico: ci sono i campi di sterminio; domanda: se Dio esiste, perché li ha permessi? Ma scusate, ma cosa c’entra Dio? L’uomo è libero? Se l’uomo fa il male, perché Dio deve sostituirsi all’uomo? Se l’uomo decide il male, perché Dio deve sostituirsi alla sua libertà? Dio ha creato l’uomo libero! L’uomo ha deciso di ammazzare sei milioni di persone? Questa è la libertà dell’uomo! Noi, invece, cosa facciamo? Quando vediamo che le cose vanno male, la colpa è di Dio e allora mi viene paura di Dio. Ma perché devo aver paura di Dio? Perché devo porre la domanda su Dio? Cosa c’entra Dio? La domanda la devo porre su di me. Quindi la questione non doveva essere: io mi spavento di Dio, perché è successo questo fatto inerente all’arca. Ma la questione è: se l’Arca non era da toccare, non era da toccare, punto. La colpa non è di Dio; se c’è una colpa, questa è quella di chi ha fatto qualcosa che non doveva fare.

Nella nostra mentalità, questa cosa non esiste, perché io posso fare tutto e, se sbaglio a fare qualcosa, pazienza, porremo un cerotto. Ma la logica del cerotto non si sposa con la logica della libertà, la libertà è veramente un fatto sacro. La libertà è veramente importante; per Dio, la libertà è fondamentale. La possibilità che ha l’uomo del suo libero arbitrio — quindi di poter decidere di sé in relazione al mondo che lo circonda — per Dio è un fatto importantissimo e non c’è un fatto più importante.

Nella nostra vita non succederanno, probabilmente, fatti eclatanti come quello di Uzzà, va bene, ma succederanno altri fatti e, allora, stiamo attenti a non scaricare le nostre responsabilità su Dio. Il frutto delle mie scelte è legato alle mie scelte, non a Dio e, se qualcosa va storto, è perché io ho scelto male, non perché Dio è cattivo, non perché Dio è ingiusto, Dio è Dio. La qualità delle mie scelte la devo valutare molto bene. E non è vero che una scelta vale l’altra, e non è vero che tanto se sbaglio posso rimediare; dipende, alle volte sì, alle volte no: se io ammazzo un uomo, non posso rimediare, perché quell’uomo è morto. Posso fare tante cose, ma la vita a quell’uomo non gliela do più, e questa non è una cosa da poco.

Allora Davide manda l’arca da Obed-Edom di Gat; ma cosa succede a Obed-Edom di Gat? Obed-Edom di Gat riceve l’arca per tre mesi e la sua casa viene benedetta. Ma allora il problema non è l’arca! Hai visto? Il problema non è l’arca, come tu pensavi, caro Davide, il problema sei tu! Il problema è che Uzzà ha fatto quello che non doveva fare, perché l’arca, di per sé, non fa male a nessuno, se tu la tratti come deve essere trattata. Che grande scoperta! Davide impiega tre mesi per fare una grande scoperta…

Dalla festa grandiosa verso l’arca, che nascondeva però una concezione di Dio errata, passiamo al momento in cui “Dio non lo voglio più”. Interessante, questo passaggio: prima festa, cembali, timpani, sistri, cetre e arpe; poi la vicenda di Uzzà, allora: scandalo, Dio è cattivo; prendo l’arca e la mando da un altro. Però Dio benedice quella casa dove Davide ha mandato l’arca e allora lui la va a riprendere! E ancora, ricomincia la festa, i salti, i balli, le danze. Non è una gran fede, questa… Se per fede intendiamo un rapporto d’amore, come abbiamo imparato a vedere in questo anno, se per fede intendiamo un rapporto di fiducia di conoscenza e di intimità, questa non è una gran fede. È una fede altalenante, che si muove in relazione agli effetti che ho; ma la fede non si può muovere in relazione gli effetti che ho; non è che se improvvisamente vedo un volto di Dio che non mi piace, io lo scarico da qualche parte, perché non so farmi un esame di coscienza corretto. Perché vedete, il nocciolo della questione, gira tutto qui attorno; come diceva Santa Teresa di Gesù: “Siamo capaci di fare una lettura introspettiva di noi stessi?” Santa Teresa continuamente ripete: “devi conoscere te stesso” perché, senza questa conoscenza, non ci può essere un cammino spirituale; che non è una seduta psicanalitica, ma è il conoscermi, l’ascoltarmi, quella frequentazione assidua di me stesso per cui imparo a sentirmi; non vado continuamente a distrarmi e a stordirmi, pur di non sentire la voce che mi porto dentro, la mia coscienza che mi porto dentro. Davide non l’ha fatto, esattamente come Saul la volta scorsa, che fino a quando non è arrivato al culmine, ha continuato a dire: “Non c’entro niente, non c’entro niente; la colpa non è mia, la colpa non è mia, io ho obbedito al Signore, non è vero che ho disobbedito”. Il tema dell’esame di coscienza, cioè, del porre la mia vita davanti a Dio e, quindi, di saper dare una lettura intelligente di quello che io sono, non è una banalità! A questo si lega a doppio filo il tema della santità e di un rapporto con Dio vero, perché, se sbaglio questo, sbaglio proprio il rapporto. E, infatti, con Davide si vede: lui ha proprio sbagliato, perché ha dato la colpa a Dio, ha avuto paura di Dio. Io, invece, devo aver paura della mia stupidità, devo aver paura della mia superficialità, devo aver paura del fatto che non ho saputo considerare sacro ciò che era sacro; di questo devo aver paura, non di Dio!

L’atteggiamento nostro qual è, alla fine? Siccome non riusciamo ad addomesticare Dio, allora lo riempiamo di melassa, lo facciamo diventare una roba sdolcinata, in modo tale che a Dio, qualunque cosa noi facciamo, va sempre bene. Ma esiste una persona, a questo mondo, alla quale qualunque cosa noi facciamo vada sempre bene? Io non la conosco. Abbiamo tutti le nostre belle idee, i nostri bei gusti, e stiamo attenti a non andare troppo fuori dalle righe, perché sennò facciamo in fretta a stressarci, facciamo in fretta ad essere insofferenti. Già noi, a sentire qualcosa che non ci non ci convince, cominciamo a bollire sulla sedia; immaginatevi se qualcuno ci fa qualcosa che non ci gira giusto. Ma Dio, che è Dio, invece, deve essere diverso: a Lui deve andare bene tutto, Lui deve approvare tutto, tutto quello che noi pensiamo, facciamo e vogliamo. La Scrittura ci dice che non è così, che ci piaccia o non ci piaccia.

12Ma poi fu detto al re Davide: «Il Signore ha benedetto la casa di Obed-Edom e quanto gli appartiene, a causa dell’arca di Dio». Allora Davide andò e trasportò l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di Davide, con gioia. 13Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un bue e un ariete grasso. 14Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Ora Davide era cinto di un efod di lino. 15Così Davide e tutta la casa d’Israele trasportavano l’arca del Signore con tripudi e a suon di tromba.

Siamo tornati alla fase di prima, è ritornata la gioia. Certo, è ritornata la benedizione e quindi, allora, “me la riporto a casa io l’arca!”. Dentro a questa storia, ne succede un’altra molto interessante.

16Mentre l’arca del Signore entrava nella città di David, Mikal, figlia di Saul, guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore, lo disprezzò in cuor suo. 17Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, in mezzo alla tenda che Davide aveva piantata per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. 18Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti 19e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua. 20Ma quando Davide tornava per benedire la sua famiglia, Mikal figlia di Saul gli uscì incontro e gli disse: «Bell’onore si è fatto oggi il re di Israele a mostrarsi scoperto davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe un uomo da nulla!».

L’efod di lino era praticamente un perizoma, era una veste sacerdotale ridotta, perché Davide doveva compiere i sacrifici per il Signore; però lo lasciava tutto scoperto. C’è sempre una Mikal nella vita di tutti!

21Davide rispose a Mikal: «L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre — questo si chiama parlar chiaro, questo si chiama non parlare politicamente corretto: pane al pane, vino al vino; chiamiamo le cose col loro nome: “io sono re al posto di tuo padre”, punto — e di tutta la sua casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; — è la verità — ho fatto festa davanti al Signore. 22Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò vile ai tuoi occhi, ma presso quelle serve di cui tu parli, proprio presso di loro, io sarò onorato!». — vero — 23Mikal, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte.

Primo punto: impariamo, prima di parlare, a pensare bene quello che dobbiamo dire, perché la parola ha un valore non da poco, la parola conta. Secondo: questa donna non ha minimamente considerato l’arca del Signore che, in questo testo, è il tema centrale. Prima Uzzà ci mette sopra le mani, adesso Mikal ci mette sopra la lingua, in entrambi i casi succede qualcosa di non bello. Nel linguaggio biblico, non avere figli tutta la vita voleva dire che Dio non l’aveva benedetta, perché quello che lei ha fatto è male agli occhi del Signore; lei ha preso in giro il re Davide, il quale non ha nessuna colpa in questo caso, anzi ha un onore, quello di aver fatto festa davanti al Signore. E al re Davide sentirsi dire: “Tu ti sei umiliato”, non fa né caldo né freddo, lui dice: “Bene, mi umilierò ancora di più”. Ma quando mi umilio davanti al Signore per il Signore, anche se, al momento, agli occhi degli uomini, io sono umiliato, stai tranquillo che un giorno sarò esaltato, perché il Signore esalterà il suo servo che, per amore Suo, si è umiliato. Ecco perché Davide dice: “Presso quelle serve io sarò onorato”; e sarà così, perché re Davide diventerà il grande re Davide.

Questo atteggiamento di onore, di amore — anche se può essere ancora immaturo e può essere ancora un po’ fragile — però è sincero; lui queste cose che compie le fa col cuore, le fa con sincerità, e quello che accade è che il Signore lo approva, il Signore lo benedice e non benedice Mikal. Noi troppo spesso siamo attenti a quello che pensa la gente e alle figure che noi facciamo davanti alla gente, ma non pensiamo a quello che pensa Dio e alle figure che facciamo davanti a Dio. Il santo Curato d’Ars diceva che tu non devi avere a cuore né di piacere, né di non piacere alla gente. Tu non devi avere a cuore il giudizio della gente. Tu devi avere a cuore il giudizio di Dio, cioè cosa pensa Dio di te in relazione al tuo comportamento, a quello che tu hai scelto.

Ecco che, magari, un po’ troppo spesso si sente fare ragionamenti strani, del tipo: “Ho vergogna”, “Ho paura di che cosa pensa quello”, “Ho paura di cosa dice quello”, “Ho paura che poi, se faccio questo, quell’altro poi mi sgrida”. Ma provate a pensare: un giorno moriremo tutti e ci troveremo davanti alla verità. Non so se abbiamo idea di cosa voglia dire questa cosa: noi moriremo nella verità, davanti alla verità, non c’è spazio per i “se” e per i “ma”; non c’è spazio per “ma io”, “ma noi”, “ma loro”, “ma voi”… Ci sarà spazio solo per ciò che è vero. E noi, che verità custodiamo dentro la nostra storia? Dentro alla nostra vita, noi, che verità portiamo? Speriamo di non essere dei Mikal, ma di essere dei Davide, in questo contesto.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Informazioni

Padre Giorgio Maria Faré ha tenuto queste catechesi tutti i lunedì alle ore 21 presso il Convento dei Padri Carmelitani Scalzi di Monza.

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