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La trappola della ricerca di sè e del proprio tornaconto

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Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di domenica 28 agosto 2016 (S. Messa del giorno).

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Testo della meditazione

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La trappola della ricerca di sè e del proprio tornaconto

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

Due mi sembrano i messaggi che il Signore Gesù in questo Vangelo ci dona, in questa domenica XXII del tempo ordinario.

Il primo riguarda l’umiltà, che poi è anche il tema della prima lettura.

Troppo spesso nella nostra vita facciamo pensieri e abbiamo anche desideri, e poi facciamo scelte, che sono superbi; facciamo calcoli per apparire, calcoli per essere stimati dagli uomini, per avere posti di onore, addirittura arriviamo ad identificare la nostra vita con il ruolo che ricopriamo.

È difficile andare a dire a qualcuno: «Guarda, adesso basta».

C’è un tempo per ogni cosa. Uno non può fare il professore per trecento anni, arrivato un certo momento, basta; uno non può fare il Superiore a vita; uno non può dirigere una azienda a vita…

C’è un tempo che è il tempo che ci è dato da Dio per essere usato al meglio, poi basta.

La nostra anima, la nostra vita interiore non dipende da quello che facciamo, ma da quello che noi siamo. Il sorriso di Gesù su di noi dipende dalla qualità del nostro cuore, non dal posto di onore che noi ricopriamo.

Ci sono persone che, siccome non hanno chissà quale posto di onore che vogliono avere, si incattiviscono, si inacidiscono, diventano proprio brutte, oppure che non lo vogliono lasciare, non c’è verso di far capire a queste determinate persone che basta, è tempo di cambiare.

Allora, per questa falsa idea di carità, diciamo: «Poverino, poverino, bisogna andargli incontro; bisogna mantenere il clima della pace (falsa, perché questa è una pace falsa)», allora bisogna inventarsi i sistemi più incredibili per trovare un nome, per trovare un posto, per trovare qualcosa, per metterlo lì, per fargli concludere la vita nell’illusione che sia qualcuno. Ma poi, quando ci presenteremo davanti al Giudizio di Dio, cosa faremo?

Andiamo lì davanti con tutte le nostre credenziali?

«Io nella vita sono stato… Io nella vita ho fatto… Io nella vita ero… Io nella vita…»

E allora?

Gesù ci risponderà: «Io nella vita non ero nessuno… quindi? Andiamo d’accordo? C’è uniformità? Io nella vita sono stato trent’anni nascosto nel silenzio di Nazareth e tu cosa hai fatto? Per quei tre anni, in cui ho parlato dicendo la verità, sono morto e tu?»

Capite che poi diventa complesso trovare una risposta, diventa molto difficile trovare un posto in quel Regno, che è esattamente il contrario di quello che abbiamo noi nella testa, di come noi progettiamo la vita, è un problema.

Ci mettiamo accanto a chi?

Ai Santi che sono stati nascosti al mondo, perseguitati, dimenticati, trattati male, ai Santi che hanno rinunciato a tutto per il Regno di Dio?

Difficile, molto difficile…

Oggi bisogna persino stare attenti anche in chiesa, tra di noi, a togliere un compito, qualunque possa essere, dal raccogliere le offerte, a fare la lettura, o a mettere a posto il quadro di San Giuseppe e così via.

«Dio me lo ha dato e guai a chi me lo tocca!»

Ma dai, siamo grandi! Su, cresciamo in queste cose!

Questo non è sintomo di umiltà, questo non è sintomo di distacco, di libertà interiore.

Nella vita, non attacchiamo il cuore a queste mondanità, andiamo oltre, siamo liberi da queste cose, altrimenti, chi si esalta sarà umiliato, perché chi vive così ha una vita brutta, perché chi ti guarda, anche se non te lo dice, pensa dentro di sé: «Che povero uomo… Che povera donna… Siamo proprio ridotti al fondo del barile, se ti basta così poco per sentirti a posto, siamo veramente arrivati alla fine».

Quindi, la prima cosa è l’umiltà, è chiedere al Signore la grazia di essere proprio distaccati da tutto, di desiderare con tutto il nostro cuore, come diceva Santa Teresa di Gesù Bambino, le cose più piccole, le cose più semplici, le cose che sceglierebbe Gesù e che ha scelto Gesù, non i posti di onore, per star seduti nelle piazze. Papa Francesco su queste cose ritorna in abbondanza.

Poi, il secondo invito: l’invito alla gratuità.

Chiaro che non è che apriamo la porta e troviamo un esercito di zoppi, un esercito di ciechi, un esercito di storpi, un esercito di…

Oggi, andare a cercare queste persone, magari non è proprio così semplice, ma il Signore non ci dice di andare a cercare nei vari luoghi queste persone e portarle a casa, il concetto non è così materiale, e sarebbe in un certo senso anche troppo facile, perché io anche da questi potrei aspettarmi un ricambio.

Quando andavo in carcere mi ricorderò sempre un carcerato che un giorno mi disse: «Sa Padre, io non capisco molto bene quelle assistenti volontarie lì (faceva riferimento ad alcune), che vengono qui a fare il servizio in carcere, vengono per noi o per loro stesse? Perché, quando vengono qua, si mettono a parlare e a raccontare i loro problemi, le loro questioni e, alla fine, finisce che devo essere io a consolare loro. Ma non dovrebbe essere il contrario? Non dovrebbero venire qui per aiutare me?»

Questa cosa qui non va bene, è una cosa contro natura, non è giusta.

Quindi, capite che anche con i poveri ci si può sguazzare dentro e trovare la propria gloria, trovare il proprio posto al sole, scusandosi, proteggendosi, parandosi dietro la schiena dei poveri. Anche lì si può trovare la propria gloria.

Il Signore ci chiama, invece, ad una gratuità assoluta, cioè, quello che facciamo nella quotidianità, nella normalità, deve essere libero dal ricambio, dal riconoscimento, dalla soddisfazione di sentirmi dire: «Bravo, grazie, complimenti… Come sei bravo… Come sei bello… Come sei intelligente… Come sei qui e come sei lì…»

Quello che facciamo deve essere libero da tutto questo.

La carità che noi facciamo per gli altri deve essere fine a sé stessa, cioè io devo fare la carità per amore della carità, per amore di Cristo, e quello che mi interessa è solo che questa carità sia una carità vera, una carità approvata da Gesù, che quindi sia solo Gesù a ricompensarla, perché Lui è il cuore, il centro di tutta la carità possibile.

Ecco, forse, nelle nostre relazioni, nel nostro fare, non si vede tanto questo, non sempre si vede molto questo, perché dobbiamo riconoscere che, spesse volte, il nostro fare è mosso molto dal riconoscimento degli altri e dall’aver qualcosa in cambio, non fosse altro che la simpatia, non fosse altro che la gentilezza, il sorriso, il riconoscimento.

Invece, facendo in modo gratuito, otterremmo molto di più, perché otterremmo la libertà di coscienza; avremmo una grande libertà interiore se facessimo così, se non stessimo lì a misurare col bilancino cosa ci torna in tasca.

Noi, quando facciamo i nostri conti (perché, dentro, tutti noi facciamo i nostri conti, quelli che non vede nessuno, se non Dio), li facciamo bene, poi li intortiamo un po’, come quando io prendo il pesce e lo butto nella farina. Quando lo tiro fuori dalla farina è bello, tutto bianco, ma sempre pesce è; non è che, siccome è bianco, diventa un’Ostia… no, quello, se lo metti vicino al naso, puzza, solo che con la farina è tutto bello intortato, tutto bello carino, ma sempre pesce rimane.

Le nostre azioni spesse volte vengono buttate dentro alla farina di queste pseudo ragioni che ci diamo, ma in realtà sono marce dentro, per i nostri conti. Noi facciamo le cose in base ai nostri conti, cioè in base a cosa noi ci muoviamo, progettiamo e studiamo?

In base al nostro interesse, questa è la ragione.

In base a quello che ci viene in tasca.

Non parlo di soldi, non sto parlando di soldi; parlo proprio di tutte quelle cose che vi ho detto prima, del gusto.

Pensate al gusto, a come il gusto ci condiziona…

«Mi piace… Non mi piace… Mi trovo bene… Non mi trovo bene… Sto bene… Sto male…»

Ecco, questa cosa qui: badare al gusto, alla compiacenza, al piacere.

Siamo tanto suscettibili se parliamo del piacere sessuale, allora subito ci viene in mente la purezza, la castità, i peccati mortali, ma il piacere non è solamente quello.

C’è un piacere quotidiano, che noi incontriamo costantemente, di fronte al quale, noi, che scelte prendiamo?

Troppo spesso noi scegliamo il piacere.

Ci sentiamo magari puri come gli Angeli, però poi, di fatto, nelle scelte di tutti i giorni concrete, noi ci muoviamo usando come criterio, non Gesù Cristo, non la carità, non la gratuità, non il sacrificio, non il rinnegare la propria vita, non il perdere la vita per il Vangelo, ma il piacere.

Se quella cosa mi piace, io opto per farla, per dirigermi a… per aprirmi a… Se non mi piace, mi allontano, mi chiudo il mio scudo o faccio in modo di non capitarci dentro.

Uno pensa: «Io quella cosa non l’ho fatta perché non è affar mio, non mi riguarda, non mi interessa, non ero chiamato in gioco, quindi…»

Ma è così che Gesù ci chiede di vivere?

«Ah… io non mi impiccio degli affari degli altri… Quella persona non mi è simpatica…»

È bello che ci sia questa idea di ospitare in casa l’immigrato, il povero (i poveri ci sono sempre stati, non è che sono arrivati adesso), poi arriverà Natale; quindi, inizierà tutta questa saga ideologica (come sempre, fin da quando ero piccolo io) dell’invitare un povero al pranzo di Natale, ma in tutti gli altri 364 giorni cosa facciamo?

Gli riempiamo la pancia un giorno all’anno, e quindi questo risolve il problema?

Vedete quanto siamo stupidi… questo vuol dire impanarci.

Stiamo attenti a quello che arriva da non so dove quel giorno e poi con la  persona che abbiamo accanto, che Dio ci ha messo accanto nella nostra vita, può essere la moglie, può essere il marito, possono essere i figli, può essere la nonna, il nonno, l’amico, il collega di lavoro, cioè le persone fisiche che vediamo tutti i giorni, che Dio ci ha messo lì… una miseria, una freddezza, una chiusura, alle volte un cuore talmente duro che non perdona manco a morire, che non è disposto a fare un passo indietro, che te la deve far pagare fino all’ultima goccia.

Questa non è la carità, questo non è seguire Gesù, non è essere convertiti, non è respirare con i sentimenti di Cristo, come dice il nostro Cardinale di Milano.

Avere i sentimenti di Cristo, avere i pensieri di Cristo vuol dire di necessità abbandonare questo stile. Per forza, bisogna abbandonarlo, bisogna rinnegarlo, e bisogna andare contro il proprio piacere, contro!

Io mi sono sempre chiesto: «Ma perché a questo mondo ci sono persone che non ti invitano mai, mai?»

La loro casa è chiusa, hanno tanta farina con cui impanare il proprio marciume, hanno tante ragioni farinose…

Non ti invitano mai, ma è possibile?

Possibile che nel tuo organigramma non ci sia un’ora di umanità al mese?

Abbiamo un’ora di tutto, anche per andare a laccarci i piedi, mettere le unghie nel fornetto, stirarci i capelli, ma io dico: «Non c’è un’ora di umanità al mese? Non c’è un’ora di umanità dove tu, in quell’ora, pensi alla persona più sola, alla persona che ha più desiderio di… alla persona più sofferente interiormente, alla persona che umanamente sta più male, che tu conosci?»

Non pensiamo solo alla pancia!

È possibile che non ti venga in mente il pensiero di dire: «Stasera, oggi, invito quella persona a stare un po’ insieme»?

No!

Guardate quel bellissimo film “Il pranzo di Babette”.

Tu, per chi hai mai fatto un pranzo così?

Per chi tu hai speso tutto, addirittura facendo il brodo di tartaruga?

Quando io ho visto nel film una tartaruga grossa così, ho detto: «Mamma mia, il brodo di tartaruga non sapevo neanche che esistesse!»

Questa donna ha speso tutto, tutto per fare questo grande pranzo, per questa grande riconoscenza, per questo grande donarsi.

Oggi, nel giorno in cui Papa Gregorio XVI fece, nella IV domenica di agosto, la memoria delle cinque Piaghe di Gesù (lui aveva istituito questa festa, che poi, col tempo, è stata tolta), potremo proprio ricordare le Piaghe di Gesù, ci fa sempre bene.

Speriamo che il Signore ci aiuti proprio a liberarci, a lavarci da tutto ciò che è piaga di egoismo, di mondo, di interesse, di narcisismo, di chiusura, di vendetta, di cattiveria, di cose brutte, e ad avere nel nostro animo solo le Piaghe di Cristo, che sono sempre aperte, sono sempre luminose, sono sempre datrici di vita.

Che chi ci incontra, incontri questo!

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

Letture del giorno

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

Prima lettura

Sir 3,19-21.30-31
Fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore.

Figlio, compi le tue opere con mitezza,
e sarai amato più di un uomo generoso.
Quanto più sei grande, tanto più fatti umile,
e troverai grazia davanti al Signore.
Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi,
ma ai miti Dio rivela i suoi segreti.
Perché grande è la potenza del Signore,
e dagli umili egli è glorificato.
Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio,
perché in lui è radicata la pianta del male.
Il cuore sapiente medita le parabole,
un orecchio attento è quanto desidera il saggio.

Salmo responsoriale

Sal 67

Hai preparato, o Dio, una casa per il povero.

I giusti si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome:
Signore è il suo nome.

Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.

Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.

Seconda lettura

Eb 12,18-19.22-24
Vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente.

Fratelli, non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola.
Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova.

Canto al Vangelo

Mt 11,29

Alleluia, alleluia.
Prendete il mio giogo sopra di voi, dice il Signore,
e imparate da me, che sono mite e umile di cuore.
Alleluia.

Vangelo

Lc 14,1.7-14
Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

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