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La Santa Confessione e la direzione spirituale: parte ottava

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di venerdì 12 febbraio 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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LA SANTA CONFESSIONE E LA DIREZIONE SPIRITUALE – Ottava Parte

Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

Eccoci giunti a venerdì 12 febbraio 2021, abbiamo appena ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal cap. VII, vv 31-27 di San Marco.

«Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

Signore Gesù apri anche i nostri orecchi, sciogli il nodo delle nostre lingue, insegnaci ad ascoltare e a parlare correttamente. Anche noi abbiamo bisogno del nostro «Effatà».

Per fare questo stiamo meditando da un po’ di giorni il libro “L’inconscio Spirituale” del prof. Larchet, dove trattiamo il tema della Confessione e della Direzione Spirituale, e ultimamente il rapporto alla psicoanalisi.

Scrive il prof. Larchet:

“Le virtù del padre spirituale svolgono nella terapeutica un importante ruolo anche nella misura del loro valore esemplare, come norme di atteggiamenti e comportamenti ideali. I Padri ritengono che il vero padre spirituale, per esercitare la sua funzione, debba avere egli stesso raggiunto la sua sanità spirituale; in altre parole, deve aver raggiunto l’impassibilità (apatheia), senza la quale rischierebbe soltanto di essere «un cieco che guida altri ciechi» (Matteo 15,14; dr. Luca 6,39) e di aggravare le malattie di quelli che ha in cura, invece di guarirli.”

e cita Evagrio Pontico “La preghiera”, Isacco il Siro “Discorsi ascetici”.

È abbastanza immaginabile: se io vado da una persona che non è sana interiormente, sarà difficile che mi possa curare.

La guida spirituale, il Confessore, quello fisso, quello di cui stiamo parlando adesso, deve essere una persona che scegliamo con oculatezza dopo aver pregato, dopo averci pensato bene, dopo averlo conosciuto.

È vero quello che mi scrivono alcuni di voi: “per assaggiare un buon vino non bisogna berne una botte”. Se un vino è buono non devo bere una botte di vino per capirlo. Per sentire se una forma di grana è buona basta una punta, una porzione minima. È vero, ci sono delle “cartine tornasole” che fanno capire. Sant’Alfonso Maria de’ Liguori nel suo commento alla Santa Messa e alla recita dell’Ufficio afferma che da come un Sacerdote celebra si capiscono tante cose, perché lì emerge tutto. A vedere Padre Pio celebrare non c’era poi bisogno di fare chissà quale esame psicologico o quant’altro: vedevi Gesù, e chi non vedeva Gesù è perché non poteva vederlo. E questo era vero anche a vedere celebrare il Ven. Mons. Fulton Sheen, a vederlo pregare, a vedere celebrare il Card. Schuster o San Carlo o San Filippo Neri. Perché tutta la persona si manifesta sul presbiterio, tutta la sua fede, tutta la sua umanità, tutto emerge attorno all’altare.

Lex Orandi, Lex credendi: quello che tu credi, preghi e quello che tu preghi, credi. Emerge, si capisce, si vede. Dobbiamo sceglierlo bene. Piuttosto che accontentarsi è meglio restare senza.

“Tutte queste virtù e una tale perfezione non vengono affatto richieste allo psicanalista, al quale Freud chiede soltanto di essere stato prima egli stesso psicanalizzato, allo scopo principalmente di conoscere i propri complessi, di vincere anche le proprie resistenze al riconoscimento dell’inconscio e di tenere sotto controllo il contro-transfert (risposta ai sentimenti d’affetto e di aggressività del malato). Ma non gli chiede una perfetta buona salute. «È innegabile, scrive, che gli analisti non hanno completamente raggiunto, nella loro personalità, il grado di normalità psichica che vogliono far raggiungere al loro paziente.»

Il padre spirituale, invece, ha sempre, nella relazione con i suoi figli spirituali, una forte presenza come persona; una presenza tuttavia che, muovendo dalla sua carità e dalla sua umiltà, non ha niente di soffocante e si mostra pienamente rispettosa della libertà dell’altro. Pur senza erigersi direttamente a modello, il padre spirituale è di fatto modello per i suoi figli spirituali, dato che li ammaestra con gli atteggiamenti e i comportamenti non meno che con le parole.”

Il padre spirituale è, appunto, un padre, e un padre è un modello in tutto.

“Lo psicanalista rifiuta questa funzione di esemplarità. Coltiva, al contrario, una certa qual forma d’assenza personale, in maniera tale da essere come uno schermo vuoto che permetta ai pazienti di proiettarsi ed effettuare quel transfert che svolge un ruolo essenziale nella terapeutica psicanalitica. «All’analizzato, scrive Freud, il medico deve restare impenetrabile e, come uno specchio, limitarsi a riflettere ciò che l’altro gli mostra».”

Vedete: due realtà completamente diverse.

“Un’ultima differenza è che la psicanalisi e le altre psicoterapie si pongono su un piano esclusivamente naturale, mentre il terapeuta spirituale si pone anche su un piano soprannaturale, facendo cioè intervenire la grazia divina. Questa componente “soprannaturale” della terapeutica spirituale le infonde non soltanto una dimensione supplementare, ma anche una maggiore efficacia.

La confessione possiede due immensi vantaggi. In primo luogo, il peccatore che si pente ha la sicurezza della misericordia divina e del perdono delle sue colpe. L’assoluzione, effetto della grazia invocata dal confessore, permette l’oggettiva distruzione dei peccati commessi. Svolge un ruolo autenticamente liberatorio riguardo al peccato, ma anche riguardo al senso di colpa che a quello è legato, e riguardo anche al passato, da adesso non più subito come un peso e un implacabile determinismo. Come dice il formulario del sacramento, la confessione opera immediatamente una guarigione, insieme a un rinnovamento che permette al penitente di ripartire su nuove basi.”

Questo è un vantaggio enorme del Sacramento della Confessione. C’è la distruzione di tutti i peccati commessi. Mi fa piacere che alcuni di voi mi abbiano scritto: “dopo aver ascoltato queste meditazioni sono andato a fare una bella, vera e sana confessione, a chiedere perdono a Dio e cambiare radicalmente”.

Mi permetto di consigliarvi di andare a leggere — oggi o nei prossimi giorni — la bellissima scena dell’incontro tra l’Innominato e il Cardinal Federigo. Andate a leggere come il Manzoni descrive questo incontro meraviglioso. Vedrete come il Cardinal Federico, preciso, rigoroso, puntuale, è, allo stesso tempo e proprio in funzione di questo rigore, un uomo estremamente umano. Dolce, buono, ma soprattutto umano. Si respira umanità in quel testo. Abbiamo bisogno di respirare questa umanità. Ma la respiriamo nella misura in cui siamo sinceri, aperti, nella misura in cui ci confidiamo, siamo umili. Allora potremo sperimentare questa umanità che ci incontra fino nel profondo.

“Anche i carismi (doni dello Spirito Santo) che i migliori padri spirituali possiedono hanno una grande efficacia nella terapeutica sia delle malattie spirituali sia delle malattie psichiche che da quelle derivano.

Il carattere ispirato delle loro parole dà a esse un’efficacia che sorpassa quella delle parole ordinarie. Negli Apoftegmi accade frequentemente di vedere taluni, che ricorrono a padri spirituali ben noti per la loro santità, chiedere a essi: «Padre, dimmi una parola di salvezza», e molto spesso si vede che poche parole una semplice battuta, a volte hanno un effetto maggiore d’un lungo discorso; e ciò perché la parola dei santi è impregnata della forza dello Spirito. Accade anche ai nostri giorni: i racconti sui grandi padri spirituali della nostra epoca contengono esempi numerosi del carattere decisivo che certe loro parole ebbero sulla ristrutturazione delle personalità e sul cambiamento del modo di vita di quelli che le sentirono.”

È vero, ti cambia la vita e ti cambia la psiche.

Ricordo in carcere un ragazzo giovanissimo che, pensate, non riusciva a parlare, non riusciva a camminare in mezzo ad un corridoio, cioè doveva appoggiarsi al muro, ma non perché avesse dei problemi fisici: per problemi interiori che poi avevano un effetto sulla psiche. Non riusciva a guardarti in faccia, perché appena alzava gli occhi cominciava a piangere. Un dramma terribile. E tutto questo era legato al reato, al male che aveva commesso. Quando questo ragazzo è riuscito a trovare la forza, il coraggio di liberarsi, di tirare fuori tutto e di consegnarlo a Dio si è sentito meglio.

Badate: ho detto “consegnarla a Dio”, non a qualcuno in generale, perché solo Dio sa portare il male dell’uomo, solo Lui è morto in Croce. Non consegni te stesso al volto di un altro. Chi di noi è capace di portare il male dell’uomo? È solo il volto di Dio! Nessuno di noi è morto in Croce per un altro. Noi dobbiamo dare a Dio quello che è di Dio. Perché dobbiamo prenderci il merito di un altro?

Se sentono slogan del tipo: “Devi imparare a consegnare il tuo male al tuo fratello”… E cosa fa il mio fratello quando ha in mano il mio male? Rimane schiacciato come me! Cosa possiamo fare noi con il male dell’altro? Chi di noi è un supereroe? Ci crediamo Superman, siamo tutti Hulk… alla ricerca del male dell’altro come se fosse una cosa meravigliosa! “Che bello che mi affidi il tuo male”. Ma come?

Rendetevi conto che Gesù Cristo ha istituito un Sacramento per reggere la portata del male del cuore dell’uomo. Il Sacerdote media il perdono di Dio attraverso l’assoluzione — e per questo è richiesto l’ascolto del peccato — in funzione del suo potere Sacerdotale, solo in funzione del fatto che in quel momento lì è Gesù che assolve. Non è il prete in quanto uomo. Cosa volete che faccia come uomo?  È solo la Grazia di Stato, la Grazia data in virtù del suo stato, del suo essere Sacerdote, del suo essere Presbitero che gli permette di reggere tutto quel veleno, perché se no il male dell’uomo ti uccide, ti schiaccia, ti distrugge. Solo in funzione dell’Ordinazione Sacerdotale è possibile fare questo. Gesù ha creato un Sacramento per questo.

Noi invece andiamo avanti a slogan: “Condividiamo il nostro male, io porto il tuo male, tu mi consegni, mi affidi il tuo male” E tu cosa te ne fai del mio male? E cosa facciamo? Ce lo diciamo a vicenda? E dopo che ce lo siamo detti? Dove andiamo? Io resto sempre col mio male, il mio male è sempre lì. Se non arriva il potere di guarigione, di liberazione, di sanazione di Dio attraverso l’assoluzione, quel male continua a rimanere lì, non viene via solo perchè l’ho condiviso con un’altra persona.

Quel giovane carcerato che vi dicevo è stato veramente un esempio plastico di questa teoria. Nonostante tutti gli psicologi, psicoterapeuti, psichiatri che aveva visto era un disastro, non ne veniva fuori. Questo fino a quando, per varie vicissitudini, è riuscito a fare questo passo, ha potuto confessarsi e ha potuto essere seguito bene da un Sacerdote. Nel giro di un mese — non di un anno! — l’ho visto cambiare come dalla notte al giorno: un’altra persona! C’erano gli educatori e gli psicologi che erano a bocca aperta, sbalorditi. Quello che loro non erano riusciti a fare, l’aveva fatto Dio con il Sacramento della Confessione. Questo ragazzo è riuscito a dire tutto quello che aveva dentro, ha trovato dall’altra parte un Sacerdote che ha saputo mediare il perdono di Dio, l’ha saputo ascoltare e amare, l’ha fatto sentire uomo, uomo liberato, pieno di speranza, e questo in funzione del perdono di Dio. Lo ripeto ancora: in funzione del perdono di Dio! Non in funzione del fatto che “ti stimo, fratello”.

Ho bisogno di questo Infinito nel quale gettarmi e trovare la ragion d’essere della mia finitezza. Se mi butto in un altro “finito” cosa trovo? Niente.

Lui quindi è sbocciato ed è talmente sbocciato che da lì a breve si è iscritto, sempre in carcere, alle scuole superiori e nel giro di pochissimi anni ha raggiunto il diploma e deve aver anche iniziato un percorso universitario, se non ricordo male.

Se non l’aveste visto mi direste che è impossibile. Invece ciò che è impossibile agli uomini è possibilissimo a Dio.

Crediamo con tutto il cuore nel Sacramento della Confessione, gettiamoci in esso con somma fiducia, non rimandiamo a domani, facciamolo il prima possibile. Dobbiamo darci a questo Sacramento perchè ci rimette in piedi, è quello che ci dà la speranza, è quello che cancella l’ultima parola su di noi data dal male. Veramente Gesù ci ama talmente che ci ha riempito di doni di ogni specie e questo, unito all’Eucaristia è uno dei maggiori.

Noi invece facciamo mille difficoltà: ho paura, non so come dirlo, domani vediamo, adesso devo andare dalla parrucchiera, devo giocare a calcio…

Impariamo a darci a questo sacramento e noi sacerdoti impariamo ad essere così tanto umani da saper accogliere quelli che vengono e saper dare quelle parole… vedete il testo dice “dammi una parola di salvezza” — non di fede — di salvezza. Parole di salvezza che cambiano la vita delle persone. Può essere una parola di rimprovero, di correzione, di conforto, di incoraggiamento, ce ne sono tante ma almeno dammene una, una che mi cambi la vita, che sia per me una svolta.

Se dovessi darvi una parola di salvezza vi direi questo: impariamo a confessarci, impariamo a confessarci bene,  impariamo a confessarci frequentissimamente, impariamo ad avere con il Sacramento della Confessione un rapporto empatico bellissimo, profondo, sincero, trasparente, semplice e vedrete come come si cambia, e si cambia in bene.

Domani vi leggerò qualche passo della testimonianza di Carlo Campanini, l’attore figlio spirituale di Padre Pio, di quello che è successo nella sua coscienza. Lui si sentiva diviso dentro di sé: da un lato una voce che gli diceva: “Ma no, tu non sei un frate, non puoi fare quella vita che ti dice Padre Pio” dall’altra, una voce che lo spingeva ad ascoltare radicalmente quello che gli proponeva Padre Pio.
Lui era arrivato da Padre Pio spinto da un vuoto sempre più profondo, tanto da pensare al suicidio. All’apogeo del suo successo sentiva dentro di sé un vuoto tale da invidiare coloro che morivano.
Alla fine vinse la seconda voce, quella di Padre Pio. Così si convertì radicalmente, tanto che poi nel suo lavoro di attore rifiutava parti che non gli sembravano adatte dicendo: “io sono figlio spirituale di Padre Pio e queste parti non le faccio”.

Questo testo che stiamo leggendo spero faccia bene a voi ma vi assicuro che fa tanto bene anche a me, riceviamo entrambi questo bene, voi come penitenti laici, io come penitente innanzitutto e come confessore. Sono delle indicazioni veramente preziosissime.

Vi auguro di cuore una santa Giornata. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.

Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.

Venerdì della V settimana del Tempo Ordinario (Anno dispari)

VANGELO (Mc 7,31-37)
Fa udire i sordi e fa parlare i muti.

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

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