Meditazione
Pubblichiamo l’audio di una meditazione di domenica 28 febbraio 2021
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Dodicesima Parte
Eccoci giunti a Domenica 28 febbraio 2021, seconda Domenica di Quaresima. Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal cap. XXII del Libro della Genesi, la famosa lettura del sacrificio che Abramo fa di suo figlio. Questo sacrificio lo fa, nel suo cuore, perché aveva deciso di farlo, poi non avviene nella concretezza, ma nel cuore di Abramo il sacrificio è avvenuto. Lui per Dio ha sacrificato tutto. Lui ha obbedito totalmente e ciecamente alla Voce di Dio.
E noi?
Il Vangelo della Messa di oggi è il Vangelo della Trasfigurazione, non dimentichiamoci che il Tabor è in vista del Calvario. Sul Tabor tutti dicono:
“È bello per noi stare qui, facciamo 3 tende, una per Te, una per Mosé e una per Elia”
Sul Calvario non ci vuole stare nessuno. Nessuno dice “facciamo 3 tende”, ma sono scappati tutti a parte Giovanni.
O entriamo nella dimensione della fede di Abramo, oppure, quando arriverà il momento del Calvario, anche noi non ci saremo.
Proseguiamo la nostra lettura del libro “L’inconscio Spirituale” del prof. Larchet, stiamo affrontando il paragrafo della sopravvalutazione dell’io che certamente col sacrificio di Abramo c’entra tanto.
“Essendosi con il peccato allontanato da Dio, con ciò stesso l’uomo ha smesso di tendere verso quella gloria cui la sua natura lo destina.”
Abramo ha ottenuto questa gloria meravigliosa, il giuramento bellissimo che fa Dio su Abramo, perché non si è allontanato da Dio.
“Ma siccome per natura continua a desiderare la gloria, è allora nel mondo sensibile, verso il quale si è rivolto, che egli cerca di soddisfare questa tendenza che c’è in lui. Ed è dunque nella gloria mondana – «secondo la carne» – che trova dei surrogati della gloria celeste e spirituale che ha perso di vista.”
Se noi non siamo come Abramo che cerca la gloria di Dio in Dio, allora la cerchiamo nelle cose del mondo, nelle cose carnali, materiali, perché abbiamo perso di vista le altre.
“È così che la ricerca della gloria mondana diventa il modo con cui l’uomo miserevolmente compensa in sé l’assenza della gloria celeste.”
Il problema del peccato qual è? È che ci piace, altrimenti non lo faremmo.
La presenza del peccato che cos’è? È l’assenza della Gloria celeste, è la compensazione dell’assenza di questa gloria, è il tentativo di riempire quel vuoto con il nulla, e quindi diventa ancora più vuoto.
“È dunque evidente che la vanagloria consiste in una perversione, cioè in uno stravolgimento patologico della tendenza naturale dell’uomo alla glorificazione e in un comportamento patologico di sostituzione provocato da una frustrazione ontologica.”
È una frustrazione dell’essere, è la frustrazione più profonda che ci possa essere, e a motivo di questa frustrazione entra in gioco la vanagloria che è la “gloria vana”. Mentre la Gloria [di Dio] è una cosa bellissima, “l’uomo è la gloria vivente di Dio dice Sant’Ireneo”. Noi dovremmo essere delle glorie. Ecco mi viene in mente questa immagine. Noi dovremmo essere delle “carteglorie”. Le avete mai viste?
Andate a cercare su internet la cartagloria, forse tanti di voi non sanno cos’è, semplicemente perché ormai non si vedono più. Sono delle carte bellissime, tutte dipinte con disegni meravigliosi, che si mettevano sull’altare. Nelle Messe in Rito Antico si mettono ancora al corno di sinistra e al corno di destra e poi al centro dell’altare. I corni dell’altare sono gli angoli. Noi dovremmo essere delle carteglorie, non delle vanaglorie.
A cosa servivano queste carteglorie? C’erano sopra scritte tutte le preghiere che servivano al Sacerdote da recitare durante la Messa. Siccome erano tutte da imparare a memoria, alcune venivano messe lì per averle sott’occhio. E noi dovremmo portare sulla nostra cartagloria qualcosa di bello di Dio. Ognuno di noi dovrebbe essere raffigurato da una preghiera, da un salmo, da una citazione biblica e portare sempre questa bellezza. La vanagloria invece è portare il nulla.
E una “frustrazione ontologica” vuol dire che è una frustrazione radicale della persona. Se io sono frustato nel mio essere, non c’è niente che mi da pace e c’è da impazzire.
“Che anche questa volta si tratti d’una medesima tendenza orientata in due sensi opposti – e non già di due essenze diverse che potrebbero coesistere indipendentemente l’una dall’altra – risalta con chiarezza da molteplici affermazioni dei Padri, quando dicono che la ricerca della gloria celeste e la vanagloria sono antagonisti – che fra loro e si escludono a vicenda, sì che lo sviluppo dell’una si traduce in un indebolimento dell’altra.”
Tanto più tu cerchi la Gloria Celeste, tanto meno sarai vanaglorioso. Tanto più sei vanaglorioso, meno cercherai la Gloria Celeste.
“La vanagloria fa finire l’uomo nell’illusione e nel delirio: è ·uno dei suoi effetti patologici fondamentali, che ben giustifica perché mai i Padri tanto spesso la chiamino una “follia”. Delirio o follia che può assumere gradi diversi, da forme banali a forme gravi (arrivando fino all’identificazione con una seconda personalità), attraverso tutta una serie di forme “medie” (come la mitomania). Da un punto di vista spirituale, la vanagloria rivela che l’uomo manca di fede in Dio, come fa capire questo rimprovero del Cristo: «Come potete credere, voi che ricavate la vostra gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?» (Giovanni 5,44). Al contrario di questo atteggiamento di fede in Dio, la vanagloria esprime un attaccamento al mondo: la persona che ne è malata si mette ad aver fede negli uomini, da cui si aspetta attenzione, stima, ammirazione, lodi, e in tutto ciò che può far nascere in essi simili atteggiamenti nei suoi riguardi. Per questo, i Padri chiamano la vanagloria un’idolatria.”
Sentite la campana che suona? Suona per me e per te. È la campana della coscienza, che mi dice: “stai attento!” perché l’idolatria non è solo farsi un bue di metallo fuso. C’è anche questa idolatria, che è più grave di quell’altra. Questa è la disgrazia peggiore che ci possa capitare, a me vien da dire che piuttosto di questo è meglio la morte. Io al Signore dico: piuttosto portami via. L’attaccamento al mondo, l’avere fede negli uomini, aspettare dagli uomini la stima, l’ammirazione, le lodi, è veramente una tragedia. Sapete che fatica, che instabilità, che precarietà? In quella condizione ci si sente sempre sbagliati, non va bene niente, è terribile. Chi vive in funzione di tutto questo, vive in funzione delle lodi dell’altro e del suo consenso. Ma bisogna allontanare da noi tutto questo, dobbiamo dire anche noi, per me, vivere è Cristo, ho ritenuto tutto questo spazzatura per amore di Cristo. Ma cosa ci interessa di cosa dicono gli uomini?
“All’origine della vanagloria c’è l’ignoranza. Il vanaglorioso, o vanitoso, ignora infatti il valore vero sia delle cose da cui ricava gloria sia della gloria in sé. Attribuisce a quelle cose una realtà e un’importanza che non hanno veramente. Si comporta come se avessero un valore assoluto e duraturo, mentre sono eminentemente fragili, provvisorie. Ignora che soltanto la gloria divina è perfetta ed eterna, e che i motivi spirituali di glorificazione in Dio sono i soli a essere autenticamente reali.”
Ho fatto questa esperienza nella mia vita sacerdotale. Quando si comincia a predicare, soprattutto agli inizi, quando sei giovane, se arrivano i complimenti all’inizio un po’ ti “ringalluzzisci”, un po’ come il pavone che apre tutte le piume. A me il Signore me l’ha fatta passare subito, perché mi sono reso conto che la stessa persona “X”, che oggi ti viene a fare i complimenti, domani te ne dice di tutti i colori, perché non hai detto quello che lei voleva, o l’hai detto in un modo che a lei non piace. Oggi ti dicono che sei un santo, domani che sei un demonio. Questo è il peso della parola dell’uomo, cioè uguale a zero. Non vale niente.
La parola dell’uomo è detta quasi sempre in funzione dell’io decaduto, in funzione del ritorno personale.
Quando invece un complimento o un riconoscimento hanno valore? Quando vengono fatti seguito di un serio rimprovero, allora quello è sicuro che ha valore. Se dopo aver rimproverato qualcuno ti senti dire “grazie”, allora questo ha valore perché è fatto nel momento più difficile possibile, altrimenti non conta niente.
È come quando ti dicono che sei un bell’uomo. Oggi te lo dicono perché sei giovane, perché hai tutti i capelli, perché sei tutto aitante. Ma domani quando sarai ingrigito, ingobbito, un po’… tondeggiante? Che valore hanno queste cose? Sapete quante volte nella mia vita mi è capitato di guardare il Signore e dire: “Ma quanto mi sento stupido, credevo di essere intelligente invece proprio non capisco nulla”. Cose che magari studi e approfondisci per anni e non ti dicono niente, poi un giorno arriva un bambino o un anziano e ti dice due parole e tu ti rendi conto che quella cosa non l’avevi mai pensata, mai vista. Non c’è proprio niente di peggio della vanagloria. È proprio vero che viene dall’ignoranza.
“L’etimologia della parola greca kenodoxìa ne esprime molto bene il carattere vano, futile, fragile, fugace, superficiale (kenos significa infatti, alla lettera, «vuoto», «senza fondamento»), che è anche la caratteristica del mondo, la cui figura passa (Prima lettera ai Corinzi 7,31), quel mondo da cui essa invece trae ciò che l’alimenta e che i Padri, sulla scia del profeta Isaia, paragonano al fiore dell’erba (Isaia 40,6-7) o anche al sogno, che non dura e non ha consistenza. Diventa chiaro allora che la vanagloria (kenodoxia) include una visione delirante della realtà, dato che, da essa dominato, l’uomo smette di attribuire realtà, valore e importanza a ciò che ne ha per conferire invece tutte queste qualità a ciò che non le possiede; il suo spirito sbaglia e non giudica correttamente le cose. Una siffatta delirante concezione della realtà, per effetto appunto della vanagloria, è molto spesso presente nella realtà più quotidiana e in forme sovente ben grossolane e rozze.”
Lasciamo che la gente ci veda. A volte ci dicono: “Stai attento a come esci, attento alle scarpe, attento ai capelli, attento a come hai la casa se viene un ospite a trovarti…”. Va bene la cura, le belle cose, … ma ci vuole aria e bisogna andare avanti. Invece noi siamo tanto condizionati dallo sguardo della gente. Quindi, per esempio, non facciamo il segno della croce in pubblico, il nome di Gesù non lo diciamo, in ginocchio non ci mettiamo, perché la gente ci guarda. Ma come la gente vede noi, noi vediamo loro. Tutto questo è collegato a questo discorso della vanagloria e dobbiamo un po’ superarla questa cosa.
Ricordate quando San Francesco ha mandato il suo frate nudo a predicare in Duomo? Poi si è pentito ed è andato a prenderlo, ma l’ha fatto per fargli superare la stima degli uomini, perché quel frate aveva paura di quello che la gente diceva. Queste sono un po’ esagerazione di Santi, ma questo serve per far capire quanto dobbiamo andare contro a questa cosa.
Chiediamo al Signore questa grazia grande di iniziare a combattere contro la vanagloria. Noi porteremo avanti questo tema perché vedo che il Prof. Larchet lo tratta ancora per un pochino e poi passeremo all’orgoglio, altro tema molto grosso. Vi auguro di cuore una santa domenica. E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO B)
PRIMA LETTURA (Gen 22,1-2.9.10-13.15-18)
Il sacrificio del nostro padre Abramo.
In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».