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Il Sacerdote non si appartiene, di Mons. Fulton Sheen: 15° parte

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di mercoledì 16 giugno 2021

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

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Il Sacerdote non si appartiene, di Mons. Fulton Sheen: 15° parte

Eccoci giunti a mercoledì 16 giugno 2021. Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla Seconda Lettera ai Corinzi capitolo IX, versetti 6-11. 

“Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia”

Il Signore non vuole, non si aspetta certamente da noi che facciamo anche solo un passo per forza. Gli sforzi fanno male al corpo e all’anima, e sono ben diversi dall’impegno; purtroppo spesse volte gli sforzi sono accompagnati da poco amore, da poca voglia, poco desiderio, si fanno perché si devono fare, e se c’è uno che assolutamente non ha fatto mai neanche un’Ave Maria senza mettere dentro tutta la larghezza del suo cuore e della sua anima, questo è stato Padre Pio da Pietrelcina, del quale oggi ricordiamo la canonizzazione, lui fu canonizzato nel 2002. Una grande grazia questo Santo Sacerdote, questo Santo frate cappuccino, è stato una grandissima grazia per tutta la Chiesa. 

Noi al Signore vogliamo dare con gioia. Se non diamo con gioia è meglio non dare, se devi andare in Confessionale con il groppone in gola perché dici: “Quel peccato non lo voglio dire, non riesco a dirlo, lo nascondo.” Non lo fai con gioia, allora non andare. Questo vale per tutto.

La gioia da dove viene? Dall’aver capito che… 

Uno, quando studia con gioia? Quando ha capito che… 

Uno, perché non ruba? Non solo perché c’è una legge, le leggi poi si infrangono, uno non ruba perché ha capito che… 

Giuda perché tradisce? Perché non ha capito e non ha voluto capire. 

Siccome noi vogliamo capire e vogliamo dare con gioia, continuiamo la nostra lettura del testo del Venerabile Fulton Sheen “Il Sacerdote non si appartiene”, stiamo vedendo proprio la figura di Giuda.

“Una delle più cocenti espressioni di dolore che siano mai uscite dalle labbra di Gesù fu pronunciata per esprimere il suo amore per Giuda e per lamentare la decisione presa dall’apostolo rinnegato di peccare con tutta libertà.

… Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà» (Gv 13, 21).

Come reazione vi furono dodici domande. Dieci degli Apostoli chiesero: «Sono forse io, Signore?».”

Questo dolore misto a profondissima commozione esce dalle labbra di Gesù per dire ancora una volta il suo amore per Giuda.

Dieci degli Apostoli chiesero: «Sono forse io, Signore?».

“Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?» (Mt 26, 22)

Tuttavia, uno chiese: «Signore, chi è?» (Gv 13, 25).

Questi fu lo stesso Giovanni. Il dodicesimo non aveva scelta: doveva continuare la simulazione:

Giuda, il traditore, disse: «Rabbi, sono forse io?» (Mt 26, 25).”

Vi siete accorti la differenza? 

Sembra impercettibile ma non lo è. 

“Vediamo dunque che undici Lo chiamarono «Signore», Giuda invece lo chiamò «Rabbi». Ed è questa una perfetta prova dell’affermazione di Paolo che «nessuno può dire “Gesù è Signore!” se non per ispirazione dello Spirito Santo» (lCor 12, 3). Siccome lo spirito di cui Giuda era pervaso era satanico, egli Lo chiamò «Maestro»; gli altri Lo chiamarono «Signore», professandone pienamente la divinità.”

Noi magari queste sottigliezze non le vediamo, quando meditiamo la Parola di Dio, sono sottigliezze che nascondono mondi di riflessione teologica e spirituale.

“Maestro” ma non “Signore”, dice Giuda, perché? Perché il demonio non serve, lo può anche chiamare Maestro ma Signore mai! Non può, non vuole e non era neanche in grado di riconoscerne pienamente la divinità e quindi non può professare questo riconoscimento. Riconoscere che Gesù è Dio, per Satana è la cosa più inconcepibile, potremmo dire che è il fuoco dell’inferno per lui. Il fuoco dell’inferno consiste proprio nell’umanità della Seconda Persona della Trinità, nella Divinità della Persona Umana di Gesù. Questo rappresenta l’unica ragione, il tormento e l’unica ragione della sua radicale ribellione al progetto di Dio Padre. E Giuda che ne è pervaso non può dire: “Signore”, può dire solo “Maestro”.

“Durante la prima parte di quella cena pasquale, tanto il Signore quanto Giuda avevano attinto al medesimo piatto. Il fatto stesso che Nostro Signore scegliesse il pane come simbolo del tradimento può avere richiamato alla mente di Giuda il pane promesso a Cafarnao. Umanamente parlando, può sembrare che Nostro Signore avrebbe dovuto, con voce tonante, denunciare Giuda; al contrario, in un ultimo tentativo per salvarlo, Egli usò il pane dell’amicizia.”

Lo abbiamo già detto ieri: quando uomo ha deciso di tradire qualunque manifestazione, qualunque prova di amicizia, qualunque atto di amore, non produce niente.

“Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!» (Mt 26, 23-24).”

Gesù le prova tutte.

“Alla presenza della divinità, chi può essere sicuro della propria innocenza? Era ragionevole che ciascuno dei discepoli chiedesse se non fosse stato lui. L’uomo è un mistero persino per se stesso. Egli sa di avere nel cuore dei serpenti assopiti che in qualunque momento possono svolgere le spire e scattare, pungendo e iniettando il loro veleno in chi sta loro accanto, fosse anche Dio. Nessuno di loro poteva avere la certezza di non essere il traditore, anche se nessuno era conscio di un’eventuale intenzione di tradirLo.”

Tutti dobbiamo essere pronti perché tutti possiamo tradirlo, però nessuno di loro era conscio.

“Solo Giuda sapeva come stavano le cose. Persino quando Nostro Signore rivelò di conoscere il tradimento, Giuda non recedette dalla decisione di compiere il male. Sebbene il suo crimine fosse stato scoperto e il male messo a nudo, non sentì la vergogna che avrebbe dovuto farlo desistere.”

Non sentì vergogna. Mi ricordo che un giorno a una persona dissi: “Ma dopo quello che hai detto, dopo le frasi che tu hai appena detto, tu riesci a dormire la notte?”

La risposta fu: “Sì, benissimo”.

“Non sentì la vergogna che avrebbe dovuto farlo desistere. Sebbene il suo crimine fosse stato scoperto e il male messo a nudo”

Sentite:

“Alcuni si ritraggono inorriditi quando vengono messi di punto in bianco davanti ai loro peccati, ma per quanto Giuda vedesse la propria perfidia descritta in tutta la sua bruttura, all’atto pratico egli dichiarò, nel linguaggio di Nietzsche: «Male, sii tu il mio bene».”

È terribile. Nella vita tutti noi possiamo fare tanti sbagli, e possiamo fare anche i peccati più terribili, ma non riconoscerli, non provare vergogna, spavento, angoscia, pentimento, rimanere come cristallizzati, come bloccati dentro al nostro male è terribile. 

Ma alzati in piedi! Ma vai a parlare con quella persona! Vai a parlare con Dio! Perché stai lì tutto chiuso e sigillato, incartapecorito, mummificato dentro al tuo male?

È una cosa che trovo così incomprensibile, così assurda, non ce n’è ragione. Perché devi vivere una vita così? Cosa ci guadagni? Per non fare un passo? Per non dire: troviamo una via di soluzione? Per non dire: sì hai ragione, in questa cosa hai ragione? Soprattutto se mi portano le prove provanti che mi fanno vedere che io ho fatto quella cosa e ho le prove sotto gli occhi.

Una volta ricevetti questa risposta, davanti alle prove provanti, dopo un’ora di spiegazione, scritte nero su bianco, le avevo in mano, mi fu risposto: “La vita non è nero o bianco, è fatta di sfumature, e dipende dai contesti”. Detto questo, fine. 

Voi vi immaginate, ad esempio, uno che viene sorpreso a fare una rapina, lo portano in prigione, diretto, questo va davanti al giudice e il giudice gli dice: “Lei ha rapinato a mano armata una mamma incinta, con un altro neonato nel passeggino. Si rende conto? Lei fa una rapina del genere?”

Risposta del delinquente: “Ma signor giudice lei non deve vedere la realtà bianca o nera, ci sono le sfumature!”

Ho capito, ma tu sei un ladro! Che sfumature vuoi mettere? Non è questione di sfumature.

 Santa Gemma Galgani diceva: “Per me o è bianco o è nero, le sfumature non esistono!”. Infatti è diventata Santa. 

Quando inizio a mettere le sfumature, inizio a dire: “Ma non era proprio una rapina! Era un consenso informato forzato”

Quella povera donna ha rischiato l’aborto per lo spavento che ha preso! 

“Ma è colpa sua che si è spaventata! Che colpa ne ho io?”

Ma tu sei andato davanti a lei con una pistola!

Capite cosa succede quando parliamo di sfumature? Che quella rapina non è più una rapina, è un consenso informato forzato. 

“Se tu non mi dai la borsetta ti sparo e ammazzo i bambini, però non è che ti voglio sparare! Tu dammi la borsetta che io non ti sparo”.

Capito? Non è bianco o nero, è una sfumatura.

Non è una sfumatura, questo è un delinquente, un assassino in potenza, ha tentato un omicidio e ha aggredito una persona assolutamente indifesa. Questo o è bianco o è nero, ed è nero! E tu vai in galera.

“Dipende dai contesti”

No. Il male è male. Il male non diventa bene in relazione al contesto. 

“No ma io quel giorno avevo bisogno di soldi”

Ma questo è un problema tuo. Tu non è che prendi una pistola e vai a minacciare una persona perché tu hai bisogno di soldi. 

“Sì ho mormorato, ho calunniato, però dipende dal contesto”.

Ma quale contesto? Tu hai diffamato una persona, tu l’hai calunniata, hai detto il falso su quella persona.

“Ma era per gioco”.

Ma questo non toglie niente alla gravità del tuo atto. Tu hai tolto la fama. Hai detto il falso. Se volevi giocare perché non hai diffamato te stesso? Insulta te stesso, dì ogni cosa possibile su te stesso, gioca con te stesso.

“No ma era un contesto giocoso, scherzoso”

No, il male è male e resta tale, senza “se” e senza “ma”, così è. Poi, per amore del cielo, le attenuanti ci saranno sempre per ciascuno di noi, ce ne saranno mille, ma quel male è male e si chiama male e rimane male e va riconosciuto come tale, non posso dire “ma sfumiamo, non è bianco e nero, dipende dal contesto”. No.

Ricordate quello che diceva San Tommaso: “Non ci può essere carità se prima non c’è giustizia”. Prima devi fare giustizia, che vuol dire chiamare le cose col loro nome e dare a ciascuno le sue responsabilità. Dopo facciamo la carità, viviamo la fraternità e facciamo comunione, ma prima devo riconoscere le mie colpe. 

Natan disse a Davide: “Tu sei quell’uomo” e Davide risponde: “Sì ho peccato”. Viene perdonato il peccato però suo figlio deve morire. Cosa c’entra quel povero bambino? Ma qual è la logica? Che il mio male, il male che io ho fatto, non lo cancello con una spugna e va via, anche quando è perdonato resta una conseguenza. 

Ecco tutto il significato delle pene che noi dovremo purificare in Purgatorio, è questo, con la Confessione vengono tolte le colpe, ma la pena del mio peccato resta. Perché? Perché i miei atti sono storicamente connotati, entrano nella storia, e una volta che sono entrati nella storia, nel bene e nel male, non è che posso tornare indietro e cancellarli. 

Quelli che hanno ascoltato la diffamazione e la calunnia che ho fatto ormai l’hanno ascoltata; quella mamma che io ho rapinato, se ha perso il bambino per lo spavento, non riavrà più il suo bambino. Lo shock, il trauma che tu hai creato in quell’anima, in quella persona, anche se tu ti penti amaramente, non glielo togli più. Se hai ammazzato il figlio di quella persona, se hai ammazzato il giudice Falcone e Borsellino, anche se ti penti non torni indietro più. Quando ero piccolo ho visto in televisione il funerale delle vittime della strage di Capaci. Anche se ero piccolo mi è rimasto impresso. Vi ricordate quando la moglie di quella guardia del corpo, credo di Borsellino, alla fine della Messa legge un testo sconvolta, piangendo, e dice: “Io vi perdono però vi dovete pentire”. 

Poi si ferma, si rivolge al Sacerdote che c’è lì e dice:

“Loro non si pentiranno mai! Non si pentiranno mai!”

Non si sono pentiti e se anche si fossero pentiti, il marito a lei non glielo ridà più nessuno. Questo è il dramma dei nostri peccati. Altro che “dipende dal contesto”, “non è né bianco né nero”. Vai a dirlo all’offeso, alla vittima.

Dicono di me che sono rigido, quegli altri che sono “molli”, il contrario di rigido è molle, sono poi quelli che quando voi gliene fate tanto così, un millimetro, cari miei, sono i primi che sono permalosi, che si risentono, che ti giurano vendetta, perché non hanno la giustizia. Quando io non vivo di giustizia, allora io vivo di vendetta. Quando io non vivo di umiltà allora vivo di permalosità. Quando non riconosco il mio peccato, non so neanche perdonare il peccato dell’altro perché non ho mai fatto esperienza del perdono veramente, e quindi sono lì a piangermi addosso e rosicchiarmi le unghie, e passano gli anni e i decenni. Cosa aspetti, di morire? Quando quella persona sarà morta, tu non potrai più fare niente. Avrai per sempre su di te, il peso di tutto quanto è accaduto e di non aver riconciliato la situazione, per quanto era possibile, perché non hai sentito la vergogna che ti avrebbe dovuto far desistere, e riconoscere il tuo peccato, come Giuda.

«Male, sii tu il mio bene». Scrive Nietzsche.

Prosegue:

“Il Signore gli diede un avvertimento. In risposta alla domanda degli Apostoli: «Sono forse io, Signore?», Egli dichiarò:

«È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone (Gv 13, 26).

Che Giuda abbia commesso liberamente il peccato… ”

Questo gravissimo peccato mortale, più grave di questo non esiste, perché è contro Dio, non esiste un peccato più grave di questo.

“Che Giuda abbia commesso liberamente il peccato è dimostrato dal susseguente rimorso. Altrettanto libero era il Cristo di fare del tradimento la condizione della sua Croce. Gli uomini malvagi sembrano opporsi all’economia divina, sembrano essere fili sbagliati nell’arazzo della vita; eppure, tutti quanti hanno il loro posto nel piano divino. Se il vento di tempesta ulula irrompendo in basso dai cieli neri, da qualche parte vi è una vela che lo fermerà e lo piegherà al servizio e all’utilità dell’uomo.”

È stato un peccato liberamente e volutamente scelto, dopo a lui viene il rimorso e va a consegnare i trenta denari, ma non va da Gesù, perché non era un vero pentimento umile, era un rimorso amaro della sua coscienza, che non ha niente a che vedere con l’amore.

Mi fermo qui.

 

Tema: Cuore desideroso di parlare alle anime.

Fioretto: Rinnovate spesso le vostre promesse battesimali, proponendo di vivere sempre fedelmente la vostra incorporazione a Cristo.

Dobbiamo fare questa pratica bellissima, l’Atto di consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del Montfort ripete proprio le promesse battesimali.

Ossequio: Accostatevi alla santa Comunione per aderire sempre più al Cuore Eucaristico di Gesù.

Giaculatoria; Cuore Eucaristico, – amor verace In Te si stringano, – gli uomini in pace.

Siamo in pace se ci stringiamo al Cuore Eucaristico.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus. Amen. Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.

 

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

 

Mercoledì della XI settimana del Tempo Ordinario

PRIMA LETTURA (2Cor 9, 6-11)
Dio ama chi dona con gioia.

Fratelli, tenete presente questo: chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia.
Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti:
«Ha largheggiato, ha dato ai poveri,
la sua giustizia dura in eterno».
Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro.

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