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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 4

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione di sabato 4 giugno 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 4

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 4 giugno 2022.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XXI di San Giovanni, versetti 20-25.

Oggi è anche il primo sabato del mese e, tra le altre cose (anzi, non ultima, ma assolutamente importante), domani celebreremo la Solennità di Pentecoste, quindi, mi sembra che non ci sia modo più bello per prepararsi a una Solennità così importante come quella di Pentecoste che vivendo bene, in modo corrispondente a ciò che la Vergine Maria ha chiesto a Fatima, questo primo sabato del mese di giugno, recitando il Santo Rosario, tenendo compagnia alla Vergine Maria per un quarto d’ora nella meditazione dei Misteri del Rosario, confessandoci e offrendo la Confessione per riparare le offese al Cuore Immacolato di Maria, insomma, tutto quello che la Vergine Maria ha chiesto a Fatima per i primi cinque sabati.

Adesso continuiamo la nostra meditazione, la nostra lettura del testo di San Pietro Giuliano Eymard sulla Perfezione religiosa alla luce dell’Eucarestia.

Scrive San Pietro Giuliano Eymard:

“Non mi parlate dei religiosi che fanno del santo loro stato un mestiere. Loro preferisco i peccatori della via: in quattro giorni, quando ritornano a Dio, si fanno salire a quattro gradi di virtù; gli altri marciscono dinanzi al sole, prendono la muffa davanti a un gran fuoco, finché Nostro Signore non li scacci fuori: giacché necessariamente si giunge là.

Quanti religiosi molto anziani lasciano il Signore, a cui si erano dati, e ritornano nel secolo quali apostati! Se ne vanno da se stessi, senza essere rinviati, per la semplice conseguenza della loro trascuratezza, che è divenuta un’inveterata abitudine di peccare. Non erano peccati gravi, ma un vivere di consuetudine e di affetto al peccato veniale”.

Sono parole tanto vere… tanto vere, quanto drammatiche, proprio perché vere! Drammatiche perché fanno la fotografia, allora, come oggi, di quello che può accadere e di quello che purtroppo accade.

Il religioso, il Sacerdote, la suora, e mi vien anche da dire il marito, la moglie, il padre e la madre, possono fare del loro santo stato di vita (quindi appunto anche i coniugati, i genitori, così come i Sacerdoti e i religiosi) un mestiere… un mestiere.

Del nostro stato di vita noi possiamo fare un mestiere, un lavoro: si può arrivare ad essere padre e madre esattamente come si fa la cassiera, come si vende il pane, come si lavora in fabbrica o in ufficio… un mestiere, dove si fa il calcolo dei diritti e dei doveri, esattamente come al lavoro, dove si diventa noi stessi sindacati del nostro stato di vita, dove si fa lo sciopero, dove si fanno le pause, dove si pretende una retribuzione, dove si fa i furbi, dove ci si comporta male, e via di seguito… un mestiere. E lo si capisce…

Si capisce quando un Sacerdote è un Sacerdote, o quando è un mestierante del sacro, si capisce, lo capiscono tutti, anche le persone più semplici, anzi, soprattutto loro.

Quello del mestierante è uno stato di vita triste, vuoto, stanco, stanco ancora prima di iniziare; è uno stato di vita grigio, trascinato, insensato, senza senso, niente ha più senso.

Ecco perché San Pietro Giuliano Eymard dice: “Loro preferisco i peccatori della via”, perché questi, quando si convertono, si convertono.

I peccatori della strada, gli innominati, quando si convertono, si convertono; mentre gli altri, i mestieranti, “marciscono al sole”, come scrive, marciscono davanti a Gesù Eucarestia. Hanno “il Sole” nella loro vita, e marciscono.

Avete presente una medusa?

Provate a mettere una medusa al sole, e vedete cosa succede!

I mestieranti del sacro, i mestieranti possono anche stare davanti a Gesù Eucarestia, ma fanno la fine della medusa sulla roccia bollente al sole.

Fatelo questa estate!

Se trovate una medusa nel mare (lo dico per quelli che andranno al mare), fatelo pensando a questa meditazione: prendetela, mettetela sulla roccia bollente, e guardatela.

Prendono la muffa…”

Come si fa a prendere la muffa davanti al fuoco?

È impossibile, è una contraddizione (ma ciò che la natura non permette…), perché davanti al fuoco non esiste la muffa, perché la muffa ha bisogno di un ambiente umido, buio, brutto, di un ambiente sporco; davanti al fuoco non può esserci tutto questo, perché c’è calore, perché è asciutto il luogo, non si fa muffa in un ambiente caldo… ma noi sappiamo fare la muffa…

 “Finché il Nostro Signore non li scacci”… eh sì, succede poi così.

Quanti religiosi molto anziani lasciano il Signore” (non giovani, anziani), e quando ritornano nel mondo, “ritornano come apostati”, come coloro che effettivamente, realmente, rinnegano tutto ciò che hanno fin lì vissuto e a cui si sono dati, rinnegano Dio… è la fine… meglio la morte!

Meglio morire, che finire così male!

Se ne vanno da se stessi, senza essere rinviati…”

Perché se ne vanno?

Perché è una conseguenza della loro trascuratezza (è il contrario della delicatezza di coscienza), cioè della loro“inveterata abitudine di peccare”. Si sono abituati a peccare, si erano abituati a peccare… non peccati gravi, ma avevano preso questa consuetudine, questo “affetto al peccato veniale”, e quindi neanche più lo vedevano, ma non solo, lo giustificavano.

Quando noi non riusciamo a uscire da un peccato, abbiamo due soluzioni: o diventiamo più santi, o diventiamo marci, cioè prendiamo la muffa dell’autogiustificazione, prendiamo la muffa della consuetudine, dell’abitudine al male, del compromesso, del dire: «Vabbè… Ma io sono ferito…  Ma io sono debole… Ma io sono fragile…  Ma questo fa parte del mio limite…  Ma questo fa parte del mio essere uomo… Ma questo fa parte del mio bisogno di Dio, e quindi va bene così… Questa è l’esperienza del mio nulla, della mia attesa…», e tutti questi discorsi che io non riesco neanche a ripetervi, perché li trovo così ammuffiti, così marcescenti che non riesco neanche a ripeterveli, ma li sappiamo fare bene, li sappiamo fare molto bene, sappiamo essere anche convincenti.

Poi questa è la fine… questa poi è la fine…

Già ve lo dissi, è come quel tale Sacerdote (che adesso, ovviamente non lo è più; o meglio lo è, perché Sacerdoti si è per sempre, ma, appunto, ha lasciato e se ne è andato) che, ai tempi che furono (io ero ancora agli inizi del mio cammino, molto agli inizi), mi disse: «Giorgio, non ti puoi confessare così spesso, ormai tu sei uno studente di teologia, non hai più bisogno di chiedere consigli di qui e di là, adesso è giunto il tempo che tu faccia sintesi».

Non ho mai più dimenticato e non dimenticherò mai per tutto il resto della mia vita questa frase. Mi ricordo il momento, il luogo, la camera dove ero io, in piedi, tutto mi ricordo! Mi ricordo che era mattina e che c’era il sole… tutto ricordo di quel giorno!

«Devi fare sintesi…», che voleva dire: «Devi fare quello che vuoi, devi essere tu il criterio di discernimento, di valutazione, di verifica».

Eh, sì… lui ha fatto sintesi…

“Non dite: Io sono adoratore; sono in una vocazione sublime con gli angeli e i santi; sono della famiglia di Nostro Signore. E’ verissimo, ma i vostri doveri sono proporzionati all’altezza di questa vocazione”.

Abbiamo dei doveri, come Sacerdoti, come religiosi, come genitori, come marito, come moglie; abbiamo dei doveri proporzionati alla chiamata che abbiamo avuto, e noi dobbiamo corrispondere a questi doveri.

“Avete ben pesato questo? Ahimè, non vi si pensa nemmeno!”

Per questo, per questo è importantissima la pratica dei “Quindici venerdì” di Don Tomaselli, che Gesù chiede, perché in quel modo ci si confessa ogni settimana.

Con la pratica dei “Quindici venerdì”, che si fa due volte all’anno, ci si confessa ogni settimana: ecco perché è importante! È molto interessante questa cosa, e in questa maniera non ci si abitua assolutamente al peccato, perché costantemente lo si mette davanti a Dio; ma certamente questo lo può capire solamente chi vive dentro a questa logica, se no, cosa ti viene detto? «Sei scrupoloso, sei esagerato, non serve confessarsi spesso!»

Certo, perché tu non lo fai, e allora vuoi trascinare anche me nella follia della tua muffa.

Ecco, secondo me, è meglio stare lontano da chi non riesce a capire l’importanza di tutto questo.

Non metterei la mia anima nelle mani di chi non capisce”: era ciò che diceva San Giovanni Bosco, esattamente questo; era ciò che diceva San Giovanni Maria Vianney, esattamente questo; era ciò che diceva Santa Teresa d’Avila, esattamente questo.

Quindi, io non metterei la mia anima nelle mani di un mestierante del sacro…

Uno dice: «Allora cosa faccio?»

Guardate, io porto ad esempio sempre queste immagini, poi ognuno tira le sue conseguenze:

Se tu stessi morendo di sete, berresti in una pozzanghera?

Se tu stessi morendo di sete, berresti un litro di candeggina?

Io no, spero di no.

Se tu stessi morendo di sete, berresti un litro di latte marcio?

Io no, e spero di no. Spero di non perdere questa lucidità.

«Allora cosa faccio?»

Chiedi al Signore, affidati al Signore, supplica il Signore che ti dia acqua fresca! Io sono sicuro che il Signore non toglie a nessuno questa possibilità.

Forse, ci farà penare un po’, così magari poi la sapremo anche apprezzare, perché, sapete, può anche succedere che nella nostra vita arriva l’acqua fresca e poi la disprezziamo, la trascuriamo, non ne siamo veramente riconoscenti… può succedere eh… può assolutamente succedere.

C’era una bellissima espressione che volevo leggervi, ma non riesco a trovarla in questo momento, vabbè, ve la leggerò in un’altra occasione.

Era molto significativa, ma adesso non la trovo… è il “bello della diretta”, come si suol dire.

“Si è sempre nella gloria, occupati del grado così onorifico a cui la bontà di Dio ci ha chiamati presso il suo divin Figlio! Ma credete dunque voi che questa stessa grazia non possa venirvi ritirata se non vi corrispondete? Vi deve Dio qualche cosa?”

È vero, il rischio è di poter restare come inebriati del grado onorifico, a cui Dio ci ha chiamati presso il Suo Divin Figlio.

Beh, certo, essere un Sacerdote è un grandissimo onore, essere padre e madre, è un grandissimo onore; è un onore proprio immenso attendere un bambino, mettere al mondo una nuova vita. Pensate a una mamma che porta dentro di sé il mistero della vita nascente, questo dono supremo che Dio fa all’uomo e alla donna…

Quando una coppia aspetta un bambino, tutti si concentrano, giustamente anche, su questa nuova vita che sta arrivando, e quindi, quando si dà l’annuncio che si aspetta un bimbo, diventa (o dovrebbe diventare) un momento di grande gioia, di grande onore; allo stesso tempo, dovrebbe essere anche un momento di grande riflessione sul fatto che io sono già passato dall’essere marito e moglie, all’essere diventato padre e madre… e dovrei dire a me stesso: «Cosa vorrà dire tutto questo nella mia vita? Ho nove mesi per pensarci».

Noi stiamo lì ad essere preoccupati di sapere se è maschio o femmina, se è sano, se non è sano, se è qui, se è là, con tutti gli esami del caso, perché dobbiamo preparare la cameretta, colorare i muri, preparare i peluche, preparare i vestitini, le babbucce azzurre o rosa…

Tutte cose belle, bellissime, ma questi nove mesi, forse, non sono esattamente stati pensati per pensare (scusate la ripetizione) alle babbucce, o al vestitino, o alle lenzuola, o alla vestina della notte, o al peluche; forse, sono stati pensati, oltre che per formare quella persona che starà per nascere, per darti nove mesi di tempo, per prepararti tu, ad essere madre e padre, perché non ci si improvvisa madre e padre, “non si nasce imparati”, non lo insegnano a scuola, non si diventa madre e padre per incanto.

Nove mesi sono tanti eh… quasi un anno…

Eh sì, ma poi tu lo sarai per sempre, la tua vita si legherà a doppio filo con quella vita che sta per nascere, avrai una responsabilità enorme davanti a Dio. Forse, è il caso di iniziare a pensarci a queste cose, perché il Signore dà la grazia, ma può anche essere ritirata, se non vi corrispondete.

“Vi deve Dio qualche cosa?”, scrive San Pietro Giuliano Eymard.

Scusate, ma non mi arrendo dal cercare quella cosa che stavo cercando, perché è proprio importante che io l’abbia a ritrovare.

Un attimo di pazienza… un secondo, ma ve la devo leggere, perché mi ha talmente sconvolto (in senso positivo), cioè mi ha talmente colpito quando l’ho letta, che vorrei leggervela. Succede sempre così: magari leggo il giorno prima una cosa, penso che un giorno mi servirà, poi non me la segno, e provvidenzialmente mi serve il giorno dopo, vabbè… sono io che devo imparare un nuovo stile.

Abbiate un secondo di pazienza… eccola qua! L’ho trovata!

Sentite cosa scrive Plauto… scrive così: “Niente è più odioso di un ingrato! È meglio lasciare in libertà un malfattore, che lasciare nel dimenticatoio un benefattore”.

Quando io ho letto questa cosa, ho detto: «Fantastico…»

È verissimo, eh…

E noi, con Dio, spesse volte siamo degli ingrati, e diventiamo odiosi. Noi lasciamo spesso nel dimenticatoio Dio, che ci fa tanto di quel bene…

Pensate che nel Codice civile viene riconosciuta quella che si chiama la “obbligazione naturale”, cioè se qualcuno mi salva la vita, o salva quella di un mio familiare, o mi fa un bene importante, di fatto io contraggo con lui un debito, che non si assolve necessariamente con una somma di denaro, ma c’è un debito. La sua insolvenza, anche se non ha un carattere di coercibilità, non è giuridicamente irrilevante e rappresenta una grave mancanza contro la morale e lo spirito civile. È un atto disumano.

Capite quanto è grave?

Persino il Codice civile riconosce quanto è disumano essere ingrati, quanto è ingiusto, quanto è persino giuridicamente rilevante la riconoscenza, ecco perché ho voluto leggervi questo passo di Plauto, ricordiamocelo: “Niente è più odioso di un ingrato! È meglio lasciare in libertà un malfattore, che lasciare nel dimenticatoio un benefattore”.

Uno pensa: «Ma chi è che mi ha salvato la vita?»

Quante volte mi succede che una mamma mi dica: «Padre, sa che sono stata lì a cucinare per mio figlio, per mio marito, ho preparato delle cose buone, sono stata lì tanto tempo…»

 Ci vuole tempo, ve l’ho già detto, e chi cucina lo sa quanto tempo ci vuole a fare un piatto buono, quanta concentrazione. Chi mentre cucina chiacchiera, non è un bravo cuoco: non si riesce a preparare un buon piatto facendo chiacchiere inutili, perché cucinare richiede concentrazione.

Come tutte le cose, se vuoi farle bene, devi essere concentrato, devi essere attento… ed è faticoso, è faticoso proprio per questa concentrazione che è richiesta. Poi richiede tempo, richiede fantasia, richiede dedizione, richiede tante cose.

Quante volte mi succede che una mamma mi dica: «Padre, gli ho messo lì da mangiare e, dopo tutto il tempo che ho perso per… che ho dedicato a…, non ha detto neanche una parola».

Beh, io, allora, qualche volta, dico: «Beh… la prossima volta, i carciofi o i broccoli, invece di metterglieli lì fatti con il soffritto con la cipolla, con i pezzettini di formaggio sciolti dentro, con qualche aroma particolare e buono, glieli faccia al vapore, sconditi, così vediamo se si accorge oppure no… vedrà, vedrà come si accorge. Glieli faccia al vapore, scaldati al microonde, poi vedremo».

Siamo degli ingrati, noi siamo ammalati di ingratitudine, partendo dalle piccole cose; siamo incapaci di avere uno sguardo, una risposta grata, a chi ci fa il bene, e ci sono persone che ci fanno tanto bene.

Io ho proprio in mente, e non posso non averlo in mente, persone che mi fanno un grandissimo bene, a me personalmente, in tanti modi: ci sono persone che lo fanno con la preghiera, ci sono persone che lo fanno con la preghiera e anche con cose molto concrete e pratiche, ci sono persone che lo fanno con la loro stima, con la loro vicinanza, tante persone, ma tante persone… e avverto un grande senso di riconoscenza verso tante persone.

Quando abbiamo fatto l’incontro ad aprile, il Lunedì dell’Angelo (non ve ne ho ancora parlato, ma ve ne parlo oggi), è stato veramente bellissimo, eravamo circa centottanta, in questo bel posto, in una giornata di sole bellissima, poi c’è stata la Vestizione dello Scapolare, settanta persone hanno ricevuto lo Scapolare del Carmelo.

È stata una giornata, poi, molto particolare, perché, tra le altre cose, è accaduto che una persona, che ha partecipato a questo giorno tutti insieme e che ha vestito lo Scapolare del Carmelo (abbiamo fatto la Vestizione dello Scapolare intorno alle 13,00 circa), esattamente ventiquattro ore dopo, è morta, giovanissima, eh… è morta improvvisamente, pensate…

Ventiquattro ore esatte dopo aver fatto la vestizione dello Scapolare, è deceduta… quante riflessioni mi ha aperto questa cosa…

Esattamente ventiquattro ore dopo, il Signore l’ha chiamata.

Chi di noi pensava a questo?

Neanche io ci ho pensato.

Abbiamo dato tutti per scontato che eravamo lì e saremmo vissuti chissà ancora quanto… invece no, uno di noi, ventiquattro ore dopo, è stato chiamato da Gesù, e ha colto quel giorno l’occasione di vestire lo Scapolare del Carmelo, con il Privilegio sabatino ad esso connesso, con l’Indulgenza plenaria ad esso connessa nel giorno della Vestizione.

Poi ci sono state le Confessioni, che non erano previste, non erano in programma, ma un giovane, un ragazzo, mentre finivo la mia breve catechesi sullo Scapolare, mi ha chiesto: «Ma oggi ci si può confessare?»

Ho detto: «Certo!»

Grazie al Cielo, eravamo due Sacerdoti, quindi abbiamo potuto confessare tutti e due, e tante persone si sono confessate… una giornata molto, molto bella.

E poi, questo pranzare insieme, questo stare insieme in questa bellissima cascina che ci ha ospitato, nel prato, sotto agli alberi, è stato molto, molto bello, molto semplice.

Verso la fine mi sono venute vicino, così, spontaneamente, una dopo l’altra, tante persone che venivano dai posti più disparati (chi veniva dalla Sicilia, chi da Roma, chi da Pistoia, chi dalle parti più diverse d’Italia) e mi hanno portato dei doni, dei dolci tipici delle loro zone, e quindi io ho ricevuto tutti questi doni.

C’era qualcuno che guardava in modo un po’ strano, come per dire: «Quanta roba è? Ma poi, Padre Giorgio mangia tutta questa roba?»

Ma vedete, il tema non era: “Quanta roba è?” o: “Padre Giorgio mangia tutta questa roba?”, il tema era: “Vedi che bello?”

È questo senso di riconoscenza che matura nel cuore il desiderio di fare un dono… è bellissima questa cosa!

Apro e chiudo una parentesi. Non penso che sia la stessa cosa, ma l’assonanza la sento: questa reazione mi ricorda tanto Giuda, che rimane scandalizzato di fronte all’alabastro spezzato e a tutto il nardo versato su Gesù, che rimane scandalizzato di fronte allo spreco. No?

Dice San Giovanni che fu proprio dopo quel gesto che Giuda andò a tradire Gesù, che decise di andare a tradire Gesù, perché Giuda non lo poteva capire, non poteva capire quel gesto.

Ovviamente non sto dicendo che è la stessa cosa di quello che ho raccontato, ma un’eco io la avverto, c’è un’eco.

Poi, magari, proprio quelle persone che sono rimaste colpite, non dico scandalizzate, ma colpite da tutta questa generosità, da tutta questa riconoscenza, da tutti questi doni (che erano tanti, tanti dolci, i più diversi possibili), magari proprio queste persone non hanno donato nulla, neanche un confetto, cioè sono venute senza pensare a un dono… non avevano niente per cui ringraziare, probabilmente.

Ma è possibile non avere nulla per cui ringraziare?

Così come ciascuno doveva portare qualcosa da mangiare… io non ho portato niente, ho affidato ad altri, ho detto: «Pensateci voi a darmi qualcosa, quello che vi verrà un po’ in mente».

Anche lì, la cura con la quale sono state preparate tutte queste cose, l’attenzione, l’accoglienza, la condivisione…

Ho assaggiato tutti i tipi di salame possibili ed immaginabili; tutti quelli che avevano portato un salamino sono passati a darmene un assaggio, una grande semplicità, una grande bellezza.

Come non essere riconoscente, innanzitutto verso Dio, per tutta questa bellezza, e poi verso le persone?

Ecco, concludo con questa espressione:

“Noi siamo simili ai poveri apostoli prima della venuta dello Spirito Santo. Il loro pensiero era continuamente occupato della gloria della loro vocazione; non parlavano che del loro grande Maestro, del suo regno venturo, di cui essi volevano essere i ministri e i consiglieri… Disprezzavano volentieri gli altri. Ahimè, nel giorno della prova, li abbiamo veduti!

E notate che i loro peccati erano tutti veniali; vedete ove questi li hanno condotti: fuggirono, e il loro capo rinnegò il suo Maestro.

Ah, non parliamo tanto del nostro gran Maestro, della nostra sublime vocazione, ma un po’ più di quel che dobbiamo fare in conseguenza”.

Domani vedremo lo scopo dei nostri Esercizi.

“Questi esercizi non hanno altro scopo”.

Quale?

Ecco, domani, San Pietro Giuliano Eymard ci dirà lo scopo di questo mese, in cui stiamo facendo gli Esercizi Spirituali sull’Eucarestia.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

VANGELO (Gv 21, 20-25)

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

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