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Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo, parte 1

Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di un ciclo di meditazioni sul testo “Commento al Vangelo di S. Giovanni” di don Dolindo Ruotolo di sabato 20 agosto 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 23, 1-12)

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo, parte 1

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 20 agosto 2022. Quest’oggi festeggiamo san Bernardo Abate e Dottore della Chiesa.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo ventitreesimo del Vangelo di san Matteo, versetti 1-12.

Quest’oggi iniziamo un nuovo e breve ciclo di meditazioni che hanno tutti per tema l’Eucarestia, tema che ho iniziato il primo di giugno di quest’anno. Mi sono concentrato sulla realtà bellissima della Santa Eucarestia e la sto analizzando sotto diversi aspetti. 

Siccome abbiamo appena concluso un’analisi approfondita di tutta la questione filologica presente in Gv 15 — ricordate tutto il tema dei tralci e della vite — e poi del frammento presente in Gv 6 — il tema del raccogliere i frammenti avanzati — oggi vorrei offrirvi una lettura condivisa di quanto scrive don Dolindo Ruotolo — che credo tutti voi conosciate molto bene — circa Gv 15 nel suo testo a commento al Vangelo di san Giovanni, un bellissimo testo dove commenta in particolare il capitolo quindicesimo sotto il titolo “La vite e i tralci: la perfetta carità. L’odio del mondo contro i discepoli”. Leggerò solo alcune parti che mi sembrano di grande aiuto per noi. 

Gesù Cristo esortò gli Apostoli ad alzarsi da tavola e ad andar via, come si accennò nel capitolo precedente, ma non uscirono immediatamente, perché dovettero rassettare la sala del banchetto. Mentre raccoglievano i residui della mensa, Gesù continuò il suo discorso con loro. Egli, che già si definì Pane di Vita (6,35) e si paragonò al granello di frumento (11,24), vedendo gli Apostoli che toglievano i vasi del vino o forse anche vedendo qualche tralcio disseccato di vite che poteva essere nella sala per attizzare il fuoco, esclamò: Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.
Gesù era il coltivatore divino della vigna novella che era venuto a piantare in mezzo al Popolo eletto, ma in quel momento si era donato vivo e vero come Cibo e come Bevanda, ed era Egli stesso la vite che dava il frutto soave, e lo dava perché le anime, congiunte a Lui, avessero prodotto anch’esse il loro frutto, in Lui e per Lui. Dandosi sacramentalmente, Egli si era come moltiplicato e aveva promesso di darsi a tutti i suoi fedeli, unendoli a sé. Era dunque, attraverso l’Eucaristia, come una vite che doveva coprire dei suoi tralci tutto il mondo e i fedeli erano i suoi tralci, congiunti a Lui per attingere da Lui il succo vitale e produrre il frutto.
Il Padre suo, sotto questo aspetto, era il vignaiolo e il coltivatore di questa vite divina, poiché Egli aveva mandato il Figlio suo in terra perché, salvando le anime, le avesse congiunte a sé e le avesse rese come suoi tralci vivi e fecondi. Per mezzo dei Sacramenti, e soprattutto attraverso l’Eucaristia, i fedeli, congiunti a Gesù Cristo come i tralci alla vite nel suo mistico Corpo, avrebbero attinto la sua vita e prodotto in Lui e per Lui frutti di eterna gloria.

Vedete? Facendo questa esegesi, Don Dolindo riprende e approfondisce tutto il lavoro che noi abbiamo fatto sulla vite e sui tralci. Ritorna e viene ripreso tutto il tema dell’Eucarestia legato a questa bellissima immagine della vite e dei tralci. Attraverso l’Eucarestia noi siamo congiunti a Gesù come i tralci alla vite, lì attingiamo la nostra vita e attraverso questa unione con Lui produciamo frutti di gloria eterna e riceviamo questo succo vitale necessario per produrre frutti. 

Attenti adesso:

L’espressione più bella della schiavitù d’amore al Re divino sta proprio nel paragone della vite e del tralcio, simbolo del Corpo mistico unito al suo capo in una dedizione piena che è in Lui legame d’amore e libertà piena da ogni vincolo di morte. 

 Avete mai sentito parlare della “schiavitù d’amore”? È un ossimoro, perché la schiavitù escluderebbe l’amore, ma vedremo che non è così. Chi ama si lega e la libertà vera non è la libertà dall’amore, non è “faccio quello che voglio”, ma “mi libero da ogni vincolo di morte”. La vera libertà non è quella del figliol prodigo che abbandona la casa paterna per andare a divorare tutti i suoi beni e cercare poi di condividere le ghiande con i porci. Libertà è rimanere nella casa del padre e scoprire la bellezza di essere figlio, non cercare la libertà illusoria di essere “randagio”. Un randagio non gusta alcuna libertà perché non è di nessuno, non ha alcuna casa dove tornare, nessun volto che lo attende, nessun volto che ama, a cui appartiene profondamente. Non c’è libertà nel randagismo, solo dispersione, confusione; c’è strada nel randagismo, per cui ecco perché la schiavitù d’amore — don Dolindo dice — è resa dalla bella immagine della vite e del tralcio, di questa dedizione piena, di questa unione profonda, di questo legame d’amore che, se da una parte è legame, dall’altra è libertà dal vincolo di morte. 

Prosegue: 

Il tralcio non è libero quando è congiunto alla vite, perché la sua vitalità dipende da essa, ma questa dipendenza non è oppressione o mancanza di attività proprie: è invece espansione di vita, fioritura e produzione di frutto. 

Tutta la libertà del tralcio, tutta la sua identità dipendono dall’essere unito alla vite e lui è vivo tanto quanto è legato alla vite, ma questa dipendenza non è oppressione, mancanza di atti di libertà propria. Quindi, il tralcio è libero proprio in quanto, tanto quanto è legato alla vite. Proprio lì lui è veramente libero, anche se, in apparenza, è legato. Noi diremmo, il mondo dice: “Per essere libero, deve essere tagliato dalla vite, non deve essere legato a nessuno e a niente…” Sì, ma questa che libertà è? È la libertà del randagio, di chi non è figlio. Invece, questa dipendenza totale dalla vite da parte del tralcio è funzionale alla sua vita, non è una “dipendenza oppressiva o una mancanza di attività”, dice don Dolindo. 

C’è una schiavitù d’amore, c’è una dipendenza che dice tutt’altro che mancanza di libertà, che realizza totalmente la libertà. Il tralcio è libero di essere tale, nella misura in cui rimane unito alla vite, è dipendente dalla vite: allora può esser tralcio fino in fondo.

Se il tralcio fiorisce e produce frutto, manifesta così la sua libertà, la manifesta attraverso il suo crescere, il suo fiorire, il suo fruttificare. E voi vedete che non ci sono un tralcio uguale all’altro o un grappolo uguale all’altro: ogni tralcio produrrà frutti diversi, quantità di foglie diverse, perché è libero e a condizione di restare unito alla vite. È un’illusione una libertà sganciata da ogni dipendenza, legame. Il bambino è libero tanto quanto rimane unito alla sua mamma e al suo papà: e lì che matura la sua libertà.

Se il tralcio si stacca dal ceppo e pretende di vivere da sé, muore, è reietto, è schiavo del terreno in cui giace inerte, è schiavo di chi lo raccoglie per gettarlo nel fuoco ed è schiavo del fuoco medesimo che lo consuma.

…dove lui si consuma. Proprio ieri abbiamo visto che è il tralcio che si brucia. Se il tralcio pretende di esercitare un’illusoria libertà, cade a terra — i tralci sani stanno per aria, non a terra — diventa schiavo della terra e giace inerte, non produce più frutto o foglie, inizia a seccare ed è schiavo di chi lo raccoglie: perdendo la dipendenza dalla vite, la schiavitù d’amore, diventa schiavo di chi lo raccoglie e questi può buttarlo nel fuoco perché deve eliminarlo.

L’anima che si dona interamente a Gesù, senza restrizioni, rinuncia alla propria inerzia e, per la dolce schiavitù d ’amore, è tutta vivificata da Lui. Essa, più che rinunciare alla propria libertà, dona a Lui l’intera libertà di elevarla e santificarla, e vive di una libertà divina, immensamente più vera e più bella della propria effimera libertà.

Quindi non rinuncia alla sua libertà, ma dona a Gesù la libertà di elevarla e di santificarla, rende la sua libertà e la trasfonde nella grande e immensa libertà divina e quindi godrà di questa vera libertà. 

Infatti, sentite che cosa scrive:

Sta, infatti, nell’essenza della libertà non tanto il potere di operare il male o di degradarsi, ma la possibilità di elevarsi in Dio senza restrizione, in una continua ascesa verso le vette della perfezione e della santità.

Avete capito? L’essenza della libertà non è fare il male, imbruttirsi, ma elevarsi in Dio senza restrizione, toccare le vette della santità, questa e l’essenza della libertà. 

La libertà di fare il male è un difetto della libertà, non un vantaggio, com’è un difetto il servirsi di una tastiera libera di pianoforte per  strimpellarvi note confuse e accordi stridenti. Si è veramente liberi al pianoforte quando si è legati alla melodia e al ritmo, e quando vi si suona ogni specie di musica senza esser costretto da un diaframma ad una sola suonata o, peggio, senza esser costretto dalla paralisi del braccio o delle dita a percuotere i tasti senza nesso alcuno.

La libertà di fare del male è un difetto, dunque, non è un vantaggio o l’essenza della libertà, perché l’essenza della libertà è elevarsi in Dio. Quando noi ci eleviamo in Dio e siamo in intima amicizia con Gesù, noi siamo i più liberi del mondo in quanto liberi dal male e, soprattutto, siamo liberi da noi stessi che siamo la nostra stessa schiavitù.

Ora, come nella vigna l’agricoltore toglie via dalla vite quei tralci che non portano frutto e pota salutarmente quelli che ne portano poco, così Dio recide dal Corpo mistico del Redentore le anime che non portano frutto alcuno perché non assorbono più la sua vita, e purifica con le tribolazioni, le prove e le tentazioni le anime che danno con facilità corso alle proprie miserie e si espandono nel mondo come un povero tralcio che si allunga lontano dal tronco, si avvinghia agli sterili pali e disperde tutto l’umore che dovrebbe farlo fiorire e fruttificare.

Bellissima questa intuizione… quindi Dio recide i tralci secchi, coloro che non vogliono rimanere in Gesù, che rinunciano a rimanere in Gesù; poi purifica con tribolazioni, prove e tentazioni quelle anime che rimangono attaccate alla vite, ma che danno corso alle loro miserie con troppa facilità e superficialità; quelle anime che si spandono. Pensate a una vite: ci sono dei tralci belli, pieni di frutti, di grappoli belli, poi ci sono dei tralci sottili, lunghi lunghi, che si attorcigliano, si allungano.

La vite conosce due potature: una è la classica potatura che si fa quando la vite dorme; poi c’è la potatura verde che si fa nel pieno del rigoglio, tagliando i tralci sottili e lunghi che sono totalmente inutili e che si espandono inutilmente lontano dal tronco, si avvinghiano ai pali, come noi ci avvinghiamo alle cose del mondo, ai nostri idoli, disperdendo tutto l’umore e il nutrimento che servono alla vite per crescere e fruttificare e che devono andare a quei tralci che poi fanno i grappoloni. 

Dio, dunque, pota questi tralci inutili perché non stanno facendo i tralci: stanno perdendo la loro libertà, stanno cominciando a tendere a altro che non è la vite, non è Gesù, stanno cominciando a rivolgere lo sguardo dolce al mondo, si stanno rivolgendo altrove disperdendo il nutrimento. E questo non deve succedere, così il Padre li pota. 

Bene, domani andremo avanti perché don Dolindo scrive cose bellissime… vedrete quali stupendi approfondimenti su questo capitolo quindicesimo di san Giovanni farà. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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