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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 47

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Giovedì 2 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 7, 7-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono!
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 2 marzo 2023. 

Siamo giunti al primo giovedì del mese, terzo primo giovedì dell’anno, quindi, come ormai siamo abituati, non dimentichiamo la pratica dei Primi sei Giovedì del mese chiesta da Gesù alla beata Alexandrina Maria da Costa.

Come farla, quali siano le condizioni e tutte le indicazioni necessarie per fare bene questa pratica le trovate sul sito www.veritatemincaritate.com nella Homepage: scendete fino alla scritta “Vuoi scaricare i libri e i PDF di p. Giorgio Maria Faré?”. Cliccate sul tasto “clicca qui” e verrete portati a una pagina con tutti i miei PDF. Lì troverete il PDF con la copertina verde con i due cuori di Gesù e Maria dove sono raccolte tutte le pratiche dei Primi sei Giovedì, dei Primi nove Venerdì e dei Primi cinque Sabati del mese.

Oggi deve essere un giorno tutto dedicato, oltre che alla Santa Messa, alla Riparazione Eucaristica, alla recita della Corona dei Sette Dolori della Vergine Maria e della Coroncina delle Piaghe di Gesù; all’ora di Adorazione Eucaristica davanti al Santissimo con l’intenzione della Riparazione.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal  settimo capitolo del Vangelo di San Matteo, versetti 7-12.

Proseguiamo il nostro percorso: come abbiamo cominciato a fare ieri, leggiamo un breve testo tratto dal Diario Spirituale della beata Edvige Carboni.

(25 maggio 1941) Mentre pregavo davanti al Santissimo Sacramento, d’un tratto fui rapita dai sensi: vidi Gesù in Croce grondante sangue da ogni piaga, il sangue scendeva a rivi e bagnava il pavimento. Vidi degli Angeli con un calice d’oro in mano mettere il calice vicino alle piaghe e in un momento il calice ne era ripieno; si appartava uno e veniva un altro con un nuovo calice parte del sangue andava perduta. Gesù piangeva. “Perché piangi?”, io dissi. “Figlia, piango perché tanto del mio sangue che io sparsi nella dolorosa Passione vedo che va perduto senza profitto”.

Come dicevamo ieri, cerchiamo quindi di usare santamente della Misericordia di Gesù, perché il Sangue di Gesù non vada perduto. Noi dobbiamo beneficiare di tale sangue nel modo migliore possibile e nel modo più frequente possibile con il Sacramento della Confessione. Impariamo a confessarci con regolarità e frequenza, non “Quando faccio i peccati”, non “Quando ho voglia”, non “Quando ho tempo”, ma con frequenza e regolarità.

Per la pratica dei Primi sei Giovedì, dei Primi nove Venerdì e dei Primi cinque Sabati del mese è richiesta anche la Confessione, quindi è ovvio che, se le faccio tutte e tre, non è che mi posso confessare per tre giorni consecutivamente: è importante confessarsi negli otto giorni prima o dopo. Ovviamente, per ricevere la Comunione, devo però essere in grazia di Dio, quindi bisogna capire che cosa fare.

Un’idea che a me viene, potrebbe essere quella di confessarsi il venerdì che è in mezzo tra giovedì e sabato, però uno può confessarsi il sabato o un altro giorno. 

Continuiamo la lettura del testo di Bonhoeffer, Vita Comune.

Ma non solo la volontà dell’altro, bensì anche il suo prestigio è più importante del mio. «Come potete credere, voi che ricevete prestigio gli uni dagli altri e non cercate il prestigio che viene solo da Dio?» (Gv 5,44). L’aspirazione a ricevere prestigio ostacola la fede. Se si cerca il proprio prestigio, non si cerca già più Dio e il prossimo. Che danno c’è a subire un torto? Forse non meriterei punizioni ben più dure da Dio, se Dio non mi trattasse in base alla Misericordia?

Il tema del prestigio, dell’onore è importante; anche Santa Teresa d’Avila scrive parecchie cose su questo punto. 

Se devo cercare l’onore di qualcuno, innanzi tutto cerco l’onore di Dio; poi l’onore del mio prossimo. Il mio è meglio lasciar perdere perché il desiderio di essere onorato è contrario alla fede, in quanto cerco me stesso e, soprattutto, non affido a Dio, alla sua Provvidenza il mio onore, ma voglio essere io a gestirmi.

Poi Bonhoeffer dice che cosa può succedere se subisci un torto; del resto, chi di noi effettivamente non meriterebbe qualche punizione o qualche castigo maggiore da parte della Giustizia di Dio per quello che abbiamo fatto o non fatto nella nostra vita? Quindi, se anche uno ci fa un torto, va bene non stiamo lì a mettere i puntini sulle “i” ogni volta! Se non sono cose gravi o gravissime, lasciamo perdere!

Non mi merito forse il torto che subisco e ben di più? Certamente sarà utile, per diventare più umile, imparare a sopportare in silenzio e con pazienza contrarietà così piccole. «Meglio uno spirito paziente che uno spirito superbo» (Qo 7,8). Chi vive della giustificazione per grazia, è pronto a sopportare anche offese e torti senza protestare, prendendoli dalla mano di Dio, che punisce e dona la grazia. Non è buon segno se non si vuoi più sentire e sopportare cose del genere, e subito si richiama Paolo, che ha fatto valere il suo diritto di cittadino romano, o Gesù, che ha risposto ad uno che gli dava uno schiaffo: «Perché mi percuoti?». In ogni caso è chiaro che non agiremo veramente come Gesù o Paolo, senza aver prima imparato a subire in silenzio offese e scherni come loro. 

Attenzione! Sapete come siamo permalosi; quanta mancanza di auto-ironia abbiamo! La suscettibilità è un peccato; la permalosità è un peccato che è molto collegato alla superbia e a un’altra cosa di cui ora leggeremo.

Il peccato di suscettibilità che si diffonde molto velocemente nella comunità, è sempre lì a dimostrare quante ambizioni sbagliate e quindi quale mancanza di fede ci siano in essa.

Innanzi tutto: chi vive della Grazia e della Provvidenza di Dio, chi è giustificato da Dio e non da se stesso, è capace di sopportare offese e torti in silenzio. Li riceve proprio dalla mano del Signore: è difficile, non stiamo parlando di cose facili, richiede un grande cammino di fede, un grande cammino spirituale, una grande intimità con Dio. L’istinto è quello di difendersi, di mettere le cose in chiaro, di protestare, soprattutto se sono torti o offese ingiusti. E dobbiamo sopportarli perché non è un buon segno non essere capaci di sopportarli.

Poi Bonhoeffer si richiama subito a San Paolo che fa valere il suo essere cittadino romano per essere giudicato a Roma oppure si richiama a Gesù che reagisce a chi lo percuote durante la sua Passione chiedendo: “Perché mi percuoti?”. Bonhoeffer però aggiunge che, ovviamente, noi non agiremo come Gesù e come San Paolo, se prima non avremo imparato come loro a subire in silenzio offese e scherni.

Allora, senza magari arrivare a sopportare l’offesa gratuita o l’insulto o la mancanza di rispetto, Bonhoeffer dice di stare attenti alla suscettibilità, alla permalosità quando, magari, una persona fa una battuta o ci prende bonariamente in giro, perché questo dice per prima cosa che abbiamo delle ambizioni sbagliate che non sono la santità e il Paradiso; per seconda cosa che manchiamo di fede nella Provvidenza.

Infine un’altra cosa. Il non ritenersi particolarmente saggi, il porsi tra i meno importanti, significa, se andiamo alla sostanza e se ci esprimiamo schiettamente, ritenersi il più grande dei peccatori. 

Se mi ritengo un grande peccatore, è chiaro che non mi ritengo poi così saggio e così importante! Però, bisogna vedere se mi ritengo un grande peccatore perché magari no, magari mi ritengo un santo, per esempio!

Qui si scatena il rifiuto più completo nell’uomo naturale, ma anche quello del cristiano fiero di sé. 

Ritenersi un grande peccatore, stare con i meno importanti, scatena il rifiuto della nostra parte naturale, ma anche quello del cristiano fiero di sé. Sono due cose diverse, ma è la medesima reazione. Sia nella parte più naturale della mia persona, sia nel mio essere cristiano che è pieno di sé, ovviamente si muove il rifiuto contro l’idea di essere un grande peccatore.

Suona come un’esagerazione, come qualcosa di falso. Eppure lo stesso Paolo ha detto di ritenersi il primo, cioè il più grande dei peccatori (1 Tm 1,15), e proprio nel contesto in cui parla del suo servizio di apostolo. Non può esserci vero riconoscimento dei peccati se non si arriva a questo (interessante!). Se il mio peccato mi sembra in qualche modo inferiore a quello degli altri, meno riprovevole, non riconosco affatto il mio esser peccatore. Il mio peccato deve per forza essere il più grande, il più grave, il più riprovevole di tutti. Per i peccati degli altri ci pensa l’amore fraterno a trovare sempre qualche scusante, mentre per il mio non ce ne sono. Per questo è il più grave. 

Se io voglio imparare a riconoscere i peccati nella mia vita, nominarli e pentirmi, innanzi tutto devo essere capace di ritenermi il più grande peccatore e se io ritengo che il mio peccato sia meno grave, meno importante di quello degli altri, non riconosco affatto il mio essere peccatore. Devo proprio vedere il peso del mio peccato, senza “se” e senza “ma”.

A questo livello di umiltà deve giungere chi voglia servire i fratelli nella comunione. Come potrei infatti non essere ipocrita nel servire umilmente anche colui che in tutta serietà mi risulta peccatore più di me? Non è inevitabile che mi metta al di sopra di lui? Mi è consentito avere ancora speranza per lui? Sarebbe un servizio ipocrita. «Non credere di aver fatto progressi nella tua santificazione, se non hai un profondo sentimento della tua inferiorità rispetto agli altri» (Tomaso da Kempis).

Questa inferiorità non è il complesso di inferiorità! Non è il sentirmi il brutto anatroccolo, ma è l’idea che si radica nella verità, nella realtà di vedere la sproporzione enorme tra i doni di Dio e la mia risposta: è lì che si radica la percezione di essere un grande peccatore, non nel senso che io, rispetto agli altri, ammazzo qualcuno, no! È che, anche di fronte a chi ha commesso un omicidio, la mia analisi partendo dai doni ricevuti da me, dalle grazie ricevute, vede la gravità di tutto il mio peccato, anche se è oggettivamente più piccolo di quello degli altri. Solo così si impara a essere veramente servi. 

Ma allora come dev’essere la forma corretta del servizio fraterno nella comunione? 

Come si fa a servire veramente il fratello? Qual è il modo giusto? 

Oggi siamo facilmente portati a dare questa facile risposta: l’unico vero servizio al prossimo è quello prestato con la Parola di Dio. È vero che nessun altro può essere pari a questo, e anzi che ogni altro servizio è orientato a questo. Tuttavia una comunità cristiana non è fatta solo di predicatori della Parola. Potrebbe risultarne un abuso spaventoso, se qui si trascurassero altre cose.

Bonhoeffer dice che la risposta immediata, la prima risposta è che l’unico servizio al prossimo è quello prestato con la Parola di Dio, quindi la predicazione: è importante, è il servizio più importante (ricordate quando gli apostoli dissero che si sarebbero dedicati alla predicazione, mentre gli altri al servizio delle mense?), ma la comunità cristiana non è fatta solo da predicatori della Parola di Dio!

Il primo servizio che si deve agli altri nella comunione, consiste nel prestar loro ascolto. 

Fondamentale! Imparare ad ascoltare! Noi invece: parole, parole, parole, milioni di parole! L’altro neanche lo vediamo; non è che non lo ascoltiamo, neanche lo vediamo! Noi abbiamo già in testa tutto, noi abbiamo già fatto il processo, noi siamo giudice, avvocato, imputato, tutto! Noi non abbiamo bisogno di ascoltare; noi sappiamo già tutto e abbiamo la bramosia interiore di dover dire subito il nostro pensiero, di aver subito la risposta per ogni cosa… e non abbiamo ascoltato! 

L’amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola, e analogamente l’amore per il fratello comincia con l’imparare ad ascoltarlo. 

Bello! Ditemi se non è bello! Diamo all’altro il tempo di parlare, di raccontarsi! Impariamo ad avere il gusto dell’ascolto e, quando una persona parla, si sta zitti! Si ascolta! Impariamo a tacere; lasciamo che l’altro si esprima! 

Pensiamo a quando in famiglia abbiamo a che fare con i nostri figli: che cosa vorremmo fare? Innanzi tutto vorremmo dire milioni di parole. Ma cominciamo ad ascoltarli. Chi ascolta più questi ragazzi oggi? Oggi chi ha più tempo per ascoltarli? I genitori sono presi dal lavoro e dalla gestione della casa; i sacerdoti hanno milioni di cose da fare, per cui è difficile persino confessarsi; i professori non ne parliamo; i catechisti devono correre a casa a far da mangiare perché anche loro hanno una famiglia; le suore sono ormai poche e sono anche loro impegnate . Oggi chi ascolta i ragazzi?

Noi abbiamo deputato questo compito, per esempio, agli psicologi. Oggi nelle scuole – non so se in tutte, ma in molte sì – c’è lo “Sportello Psicologico”, cioè la scuola garantisce la presenza di uno psicologo al suo interno. Per amor del Cielo, va bene, è un aiuto in più, ma non è che dallo psicologo io vado a parlare perché, ad esempio, mi sono innamorato della mia amica Priscilla che è nella classe accanto, quindi vado a parlare su come fare, come gestire questa cosa 

Quando eravamo ragazzi noi, che pure non siamo del Mesolitico, le cose non andavano così: andavamo a parlare con la mamma, con il sacerdote, con la suora. C’erano luoghi di ascolto! Ricordate che vi dicevo del Vescovo, di Monsignor Cazzaniga che dedicava il sabato alle Confessioni dei ragazzi, ad “ascoltare” (si usa questo termine: vado ad “ascoltare” le Confessioni), l’ascolto! 

Anche ai miei tempi c’era lo psicologo, ma si andava per cose importanti, non perché mi è venuto il brufolo sul naso! Devono essere cose serie che richiedono l’intervento dello specialista. Ma non perché manca chi sappia ascoltare, allora deleghiamo; siccome non abbiamo più tempo, mettiamo lì uno psicologo a fare una sorta di centro di ascolto. No, non va bene! Perché è chiaro che ci sono vari stadi nell’ascolto, varie competenze nell’ascolto e, innanzi tutto, ci sono la mamma e il papà ed è fondamentale non saltare questo step, per esempio. 

C’è anche il sacerdote. “Ma il sacerdote confessa”. Sì, ma non solo: non è solo deputato ad ascoltare le Confessioni; il sacerdote è deputato anche a dirigere le anime, a fare il Padre Spirituale, ad ascoltare e dare consigli, questo è il suo compito, per questo viene preparato e per questo ha l’assistenza dello Spirito Santo, la grazia di stato, no? Solo che non c’è più disponibilità. 

Mi ha colpito vedere in un Santuario grandissimo e famosissimo (ma mi sa che è così un po’ dappertutto) i confessionali vuoti e, per confessarsi, un fedele deve andare fuori dalla chiesa (interessante questa cosa: il sacerdote che confessava messo fuori dalla chiesa in un locale a parte e io non riuscivo a capire come entrare con quelle porte elettriche: prendere il numerino? Schiacciare un pulsante?). Dunque: in chiesa i confessionali erano chiusi ma c’erano delle postazioni con due sedie, un vetro in mezzo (c’è il contagio ) dove era seduta una suora e una scritta — non la ricordo a memoria — che diceva una cosa del tipo: “Se vuoi essere ascoltato” o “Se vuoi un momento di ascolto” o  “Se hai bisogno di una parola”. E lì la suora che, mentre aspettava, leggeva, faceva le sue cosine con la sedia vuota davanti, oppure un diacono permanente che era lì per ascoltare.

Scusa un momento, non ho capito! Domanda: non sarebbe più logico fare il contrario? In quel Santuario mi immaginerei di trovare il sacerdote che confessa in confessionale (e non il confessionale vuoto, spento e buio) e la suora e il diacono permanente in un altro posto. Non sto dicendo che non sia una cosa positiva, avrà il suo senso, magari si può andare a chiedere quale sia il senso a chi ha pensato questa cosa, ma, di sicuro, non mi pare abbia senso lasciare i confessionali nel Santuario vuoti, i sacerdoti fuori dal Santuario con la necessità di avere una mappa per andare a cercarli (“Scusi, dov’è che trovo le confessioni?”, “Guardi, di là: sinistra, destra, avanti, dritto”… ma adesso, per confessarmi, devo fare la caccia al tesoro?) e invece la suora e il diacono seduti lì, in chiesa, ad aspettare!

Ma seduto in chiesa nel confessionale ad aspettare i fedeli non può starci il sacerdote, come è sempre stato?

Vedete la fatica di recuperare la certezza interiore dell’importanza dell’ascolto?

Ecco, domani proseguiremo a parlare proprio del tema dell’ascolto, perché è un tema troppo importante e Bonhoeffer dedica una bella riflessione, diverse righe su questo teme e vedrete che ne avremo davvero un grande vantaggio. 

Per questa Quaresima un altro proposito: chiudere la bocca e aprire le orecchie! Bellissima penitenza: resistere a dover rispondere subito senza neanche ascoltare l’altro; tacere e ascoltarlo per tutto il tempo che vuole; dare il tempo a chi abbiamo accanto. “Dare tempo” significa “ascolto”, non vuol dire “tengo il cellulare in mano mentre l’altro mi parla”. No, significa ascolto! È come dirgli: “Ci sei solo tu e ti ascolto.” I ragazzi di oggi vanno a finire a fare cose sbagliate per questa ragione: non c’è nessuno che li ascolta!

Che cosa fanno i Testimoni di Geova per le strade? Parlano e ascoltano. Quando uno va dalla maga, dal mago, da quello che legge i tarocchi e dalla cartomante, loro, che cosa fanno a pagamento? Ascoltano. E come ti ascoltano bene! E solo dopo parlano. Ma io devo andare a pagare per essere ascoltato? E devo andare a finire dalla maga per essere ascoltato? Mi sembra che ci sia qualcosa che non va. Perché la maga e il mago hanno tempo di ascoltarmi e il sacerdote no? Non va bene questa cosa! Perché devo andare dal mio amico, dalla mia amica mezzi tossici e più grandi di me a farmi dare consigli e mio padre e mia madre zero? “Mamma, devo parlarti”, “Dopo, adesso non ho tempo!”. “Papà, devo parlarti”, “Dopo, dopo, adesso non ho tempo!”. Dopo non diciamo che gli altri sono cattivi: è che a un certo punto uno fa quello che può e quando non ne può più, va dove trova.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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