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Essere giusti per essere caritatevoli

Apostoli impongono le mani

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: « Essere giusti per essere caritatevoli »
Sabato 22 aprile 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (At 6, 1-7)

In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».
Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 22 aprile 2023.

Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa Messa di oggi, tratta dal capitolo sesto degli Atti degli Apostoli, versetti 1-7.

Oggi ricordo, per chi lo desidera, che inizia la novena alla Vergine Maria di Laus; abbiamo già conosciuto questa apparizione con un ciclo di catechesi che ho fatto un po’ di tempo fa e che trovate quindi sul sito e su YouTube. Avviso chi vuole che inizia questa bella novena, abbiamo tante grazie da chiedere alla Vergine Maria.

Oggi iniziamo — attraverso questo cammino che ci fa compiere la liturgia durante la Santa Messa — la lettura del sesto capitolo degli atti degli apostoli e in particolare i primi sette versetti. Vedete che stiamo facendo proprio un percorso, nei giorni scorsi abbiamo visto il capitolo quinto e adesso vediamo il capitolo sesto.

Senza farlo apposta, stiamo facendo un ciclo di catechesi sugli Atti degli Apostoli, perché come vedete la prima lettura è sempre tratta dagli Atti degli Apostoli. È bello che ci sia data l’occasione di meditare con una certa costanza questo testo della Scrittura, assolutamente molto bello, molto utile, molto importante.

Che cosa ci raccontano questi sette versetti? Ci raccontano che c’è un problema. Nascono dei problemi. Il problema qual è? È che i discepoli di lingua greca si lamentano contro quelli di lingua ebraica, mormorano perché le loro vedove venivano trascurate nell’assistenza quotidiana. E uno dice: “Beh, quando nasce la mormorazione è sempre colpa dei mormoratori. Perché la mormorazione di per sé è sempre male, come ogni peccato”. Allora, bisogna distinguere: che la mormorazione di per sé sia sempre un peccato, questo è vero; che la mormorazione non vada mai bene, questo è altrettanto vero; che la mormorazione non vada mai fatta, è verissimo. Ma — non sto qui adesso a parlare di peccati, di colpe, no, mi sembra più utile per tutti noi spostarci su questo piano — che la ragione della mormorazione sia sempre ascrivibile ai mormoratori, questo non è di necessità vero.

Vero tutto quello che vi ho detto prima — è un peccato, bisogna evitarlo, è sempre un male, ok — ma la ragione del mormorare non è sempre legata ai mormoratori. Bisogna stare attenti. Alle volte è legata ai mormoratori, per cui la ragione del loro mormorare risiede appunto in loro e può darsi che sia anche la maggioranza delle volte. La causa può essere,  ad esempio, l’invidia, la gelosia, il rancore, l’antipatia e tutto quello che volete. Ma alle volte no. Alle volte la ragione — quindi il motivo — della mormorazione è l’ingiustizia. La ragione del mormorare non sta nei mormoratori, ma in coloro che hanno posto in essere atti di ingiustizia e, più sono gravi questi atti, più sarà grave la mormorazione.

Perché, ripeto, è pur sempre vero che non bisogna mormorare, ma qualora dovesse accadere, chi ha un certo compito di responsabilità non deve essere facile nella valutazione e quindi nel giudizio, non deve dare le cose per scontate, non deve ragionare per compartimenti stagni: “Mormorare è sbagliato, quindi se tu mormori, hai sempre la colpa, hai sempre sbagliato, e la ragione del tuo mormorare è sempre la tua”.

Che sia sempre sbagliato, che non vada fatto, va bene, ma che la ragione del mio mormorare sia sempre ascrivibile a me, verifichiamolo, dobbiamo verificarlo. 

E qui mi ricordo di ciò che dice San Giovanni Maria Vianney nella sua bellissima omelia sul giudizio particolare — la potete andare a trovare su internet. Lui analizza molto bene questa cosa, e, forse ancora meglio, la analizza nell’omelia sulla mormorazione. Quell’omelia è veramente fenomenale, bellissima, tutti dovremmo averla letta e leggerla. lui dice che quando noi ci andiamo a confessare non è sufficiente dire: “Io ho mormorato”, ma dobbiamo anche dire contro chi abbiamo mormorato e perché lo abbiamo fatto.

Questo è importante, perché un conto è mormorare contro il mio amico con cui gioco a pallone, un conto è mormorare contro mio padre, un contro mormorare contro il mio parroco. C’è una differenza, una differenza di responsabilità e anche di malizia — e quindi di gravità — nell’atto del mormorare se è fatto contro mio padre piuttosto che contro il mio amico di basket. Tutti e due sbagliatissime, siamo d’accordo, però l’autorità, il posto che occupa mio padre — e quindi ricordiamo il quarto comandamento — non è quello che occupa il mio compagno di giochi. Sbagliati tutti e due, ripeto, ma la valenza morale di quell’atto è diversa, quindi anche la sua gravità.

E poi devi dire perché hai mormorato. Diverso è se io mormoro perché mi è scappato o magari perché ero un po’ su di giri, oppure perché mi aveva fatto un torto, mi è venuto il nervoso e quindi l’ho sparata un po’ fuori, un po’ grossa, e un conto se io mormoro in modo premeditato, con la cattiveria di colui che vuol fare del male.

Io ricordo di aver sentito una frase, che credo non dimenticherò più, pronunciata da due donne, due mormoratrici (perché stavano mormorando), in cui una disse all’altra: “Mi raccomando, vagli addosso fino al sangue”. Io sono rimasto sconvolto… a quale livello di diabolicità si può arrivare! “Mi raccomando, vagli addosso fino al sangue”. Questo è un peccato mortale, oggettivamente, come dice San Tommaso, poi soggettivamente lo sa il Signore, ma oggettivamente questo è un peccato mortale contro la carità. Perché “Vagli addosso fino al sangue” vuol dire “Uccidilo”; uccidilo non con un coltello, uccidilo con le parole. Cioè uccidilo attraverso questa mormorazione, attraverso la messa in atto di fraseggi, di parole, discorsi fatti alle spalle di questa persona, in modo tale che tu distruggi la sua fama, distruggi il suo buon nome, distruggi la sua reputazione, lo rendi inviso agli occhi di tutte le altre persone, che magari neanche lo conoscono, ma grazie a quelle tue parole gravissime, così efferate, così puntanti al sangue di quella persona, tu lo uccidi.

Capite che diffamare, togliere la fama, la stima, il buon nome, l’onorabilità di una persona, vuol dire ucciderla. Quando io faccio questo, io commetto un omicidio spirituale. È un peccato mortale, oggettivamente è un peccato mortale. Quindi San Giovanni Maria Vianney ci dice: “Attenzione, vanno valutate tutte queste cose”.

Ora, venendo alla Prima Lettura di oggi, vediamo che hanno sbagliato quelli di lingua greca a mormorare contro quelli di lingua ebraica, verissimo! Ma la ragione del loro mormorare non risiede in loro: risiede nei Dodici. La ragione del loro mormorare nasce da un grave errore di valutazione compiuto dai Dodici, da un grave errore spirituale e pastorale. Perché prima l’errore è spirituale, è sempre così: prima c’è un errore spirituale, una valutazione errata spiritualmente, una scelta spirituale sbagliata, quindi c’è una messa in pratica, quindi un’azione pastorale che nasce da questa valutazione, altrettanto sbagliata.

Da queste due cose messe insieme, si produce un atto di ingiustizia che di solito riguarda innanzi tutto Dio e quindi di conseguenza gli uomini; a seguito di questo, gli uomini reagiscono con la mormorazione. Quando questo accade c’è un problema serio, molto grosso.

Quindi, adesso andiamo con ordine, spero di essere stato chiaro fin qui, ora non posso ripetere perché sennò ci impiego tre ore oggi, nel caso lo riascoltate o lo rileggete, mi raccomando seguitemi, non cominciate coi vostri ragionamenti e dire, fare tutti i vostri conti. Seguite bene il ragionamento, poi alla fine fate le vostre valutazioni, perché sennò altrimenti se uno comincia a reinterpretare tutto, non andiamo a casa più.

Quindi avviene la mormorazione di quelli di lingua greca contro quelli di lingua ebraica: “Trascurate le vedove” 

“Allora i Dodici convocarono il gruppo di discepoli e dissero:”

 Ecco, dobbiamo riconoscere ai Dodici una grande umiltà. Perché è vero che nella vita si può sbagliare, si può sbagliare in una valutazione spirituale, in una scelta spirituale e si può sbagliare in una scelta pastorale. Questo è così, siamo esseri umani tutti, anche gli apostoli. L’importante è rendersi conto di aver sbagliato, quindi vedere i segni che accadono, che alle volte sono anche negativi, e farsi un esame di coscienza e dire: “Ma aspetta un momento, non è che la ragione, e quindi la responsabilità di tutto quello che sta accadendo di male, è mia? Facciamo due conti”, e adesso loro lo fanno. 

“Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto»”.

Ecco, vedete? L’ingiustizia. La prima cosa che dicono è “Non è giusto”, riconoscono immediatamente l’ingiustizia che hanno messo in atto, che sta alla radice, che è la ragione della mormorazione di quelli di lingua greca contro quelli di lingua ebraica.

La logica deve tornare — l’abbiamo visto nei giorni scorsi — o c’è la logica o non torna niente. Quindi valutate i percorsi che faccio e valutate se sono logici, se sono logici seguite, sennò aprite il cestino del computer e buttate via questa meditazione. 

“Non è giusto”. 

Stiamo attenti agli atti di ingiustizia.

Noi siamo molto concentrati sui sette vizi capitali, soprattutto su uno, che è la lussuria, che ci segna sempre, quindi l’impurità, il cadere contro la purezza del proprio corpo, le cose impure viste, i pensieri impuri, tradire la moglie e il marito, insomma, noi siamo molto concentrati sull’impurità. Sugli altri sei, invece… non proprio! Su alcuni proprio neanche ci facciamo l’esame di coscienza. L’accidia, per esempio, quasi non sappiamo neanche cosa sia.

L’ingiustizia sembra che non ci sia. Perché non è nei sette vizi capitali. Quando è stata l’ultima volta che noi nell’esame di coscienza ci siamo chiesti: “Ma io sono una persona giusta? Nelle scelte che ho fatto in questo periodo, dall’ultima confessione a oggi, ho fatto scelte di ingiustizia, sono stato ingiusto con qualcuno in qualcosa?”. È difficile sentire qualcuno in confessionale che dica: “Chiedo perdono a Dio perché sono stato una persona ingiusta”. Molto difficile sentire confessare questo peccato. Ma questo peccato è più frequente di quello che si possa pensare ed è più insidioso. Perché tutti diamo per scontato di essere tutti giusti. Ma non è così.

Di fatto, l’ingiustizia sta alla base di ogni peccato. Tutti i sette vizi capitali si fondano anche sull’ingiustizia. Ogni peccato è un atto di ingiustizia verso Dio e quindi verso il prossimo, perché offendere Dio è un profondo atto di ingiustizia, così come dar gloria a Dio è un grandissimo atto di giustizia. Offendere il prossimo è un grande atto di ingiustizia. Perché non è giusto fare del male a qualcuno, così come è giusto servire nella verità e nella carità. Quindi, prima di dire a qualcuno: “Sei stato buono” oppure a uno studente: “Sei stato bravo perché hai portato a casa un buon voto, perché ti sei comportato bene, perché sei stato uno scolaro modello”, dovremmo dire: “Sei stato giusto perché hai fatto bene il tuo dovere, quindi sei stato bravo”.

Questo dovrebbe essere il percorso. E infatti loro lo fanno. Dicono: “Non è giusto”. Possiamo dirlo anche in un altro modo: “Siamo stati ingiusti, perché l’abbiamo scelto noi. Nessuno ci ha costretto con una pistola”, quindi fare un atto di verità, che è umiltà, e dicono: “Non è giusto”. Che cosa non è giusto? Cioè, che cosa ha generato la mormorazione e da che cosa è formata questa ingiustizia? Sentiamo: 

“Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense”. 

Ecco l’ingiustizia. Questa è la diagnosi, vedete! Non ci vogliono dodici minuti, come spesse volte facciamo noi quando ci confessiamo, per dire un peccato! Non ci vogliono dodici minuti. Contate le parole: è una riga, nemmeno, è mezza riga: “Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense”, punto. Questo è il peccato di ingiustizia: “Abbiamo confuso i piani, li abbiamo invertiti”. C’è stata proprio un’inversione.

Adesso vado a memoria. Anche il Concilio Ecumenico Vaticano II, anche lui ci ricorda che — non riesco a citarvi a memoria il punto esatto — prima c’è la contemplazione, poi c’è l’azione. Prima c’è il momento della preghiera: è una priorità necessaria, prima c’è il rapporto con Dio. A seguito, c’è il servizio al fratello. Io non posso saper servire il fratello, non posso saper servire e saper riconoscere Gesù nel fratello, se prima non c’è stato questo “Os ad os, cor ad cor” – Cantico dei Cantici (commento di San Bernardo) — con Dio.

Se io inverto i piani, ecco che cado nell’ingiustizia e questa ingiustizia che compio verso Dio va immediatamente a incidere sulla fraternità, e diventa la ragione della mormorazione e anche di altri peccati. 

Quindi loro dicono, di fatto: “Abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato perché abbiamo lasciato da parte la parola di Dio”, con tutto quello che questo comporta, che è predicazione, certo, ma non è solo predicazione, è anche meditazione, è anche preghiera, non è solo predicare. Quando un sacerdote deve predicare la parola di Dio, prima la deve pur leggere, meditare, pregarci sopra e — insomma — incontrare il Signore. Se vuole fare un’omelia, una meditazione degna di nota, che non sia aria fritta o peggio, aria che non che non lascia un buon odore, che invece di essere utile diventa addirittura dannosa, deve pregarla, cioè deve pregarci su, deve fare quella che si chiama Lectio divina, per esempio, o comunque deve diventare un momento di preghiera.

Quindi mettere da parte la parola di Dio, vuol dire tante cose, non vuol dire semplicemente: “Non ho predicato, ho prima servito alle mense che predicare” — che badate son due cose belle, tutte e due, non è che una è bella e l’altra è brutta, una è buona e l’altra cattiva, no, servire alle mense, cioè servire i fratelli, e la parola di Dio, sono due servizi, ma c’è una priorità, c’è un uno e c’è un due, e il due non può diventare un uno. Ma non è che siccome una delle due è due, allora non conta niente, no, conta da due. Non è che chi arriva secondo, non vale niente, no, è arrivato secondo, non è arrivato ultimo. Secondo è secondo, il secondo in comando è comunque una grande responsabilità.

“Noi non è giusto che lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense”

Quindi riconosciamo questo errore. Quella mormorazione, quel dissidio che si è venuto a creare, ci ha fatto fare una riflessione, ci ha fatto porre delle domande su di noi, ci ha fatto guardare a come stiamo impostando le cose e ci ha fatto capire che non va bene. Loro hanno sbagliato a mormorare, ma noi abbiamo sbagliato. Io mi permetto di dire: “Forse un po’ di più”, perché come Dodici, insomma, questa confusione dei piani è una cosa importante, una cosa grave. Capita, per l’amor del cielo, mica siamo qua a scandalizzarci, succede, è successo a loro, succede a noi, succede a chiunque di sbagliare.

“Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico”. 

Allora, quando io faccio la diagnosi di un mio male, di una mia ingiustizia, di un mio peccato o di un mio errore di valutazione — son cose diverse — quando io faccio la diagnosi e vedo che le cose stanno così, che cosa faccio? Cado nella disperazione? Perdo la speranza? Butto tutto dalla finestra? Precipito nel buio? No! 

Diagnosi: “Ho sbagliato, ho peccato, ho frainteso, sono stato ingiusto, benissimo, ok. Perché? Perché ho messo il servizio delle mense prima della parola di Dio — con tutte le ragioni più buone del mondo, avranno avuto tutte le intenzioni più belle della terra, però ho sbagliato, ho sbagliato — dunque cosa faccio? Riparo, riparo l’errore. In due modi, sempre: verso Dio e verso il prossimo.

Perché abbiamo visto che ogni atto di ingiustizia ha sempre due risvolti, verso Dio e verso gli uomini. Quindi, dopo aver fatto la diagnosi del mio male, della mia ingiustizia, adesso immediatamente passo alla controffensiva. Quindi, ho perso terreno, recupero terreno. 

Prima cosa: 

“Cercate fra voi sette uomini di buona reputazione”. 

Fatelo voi, potremmo farlo noi Dodici, no, lo fate voi, cercateli voi. Siccome appunto c’è stato questo malcontento, questa brutta situazione, quindi lasciamo a voi la scelta, valutate voi, mettetevi d’accordo, sceglietene sette. E noi — questo è il nostro compito — noi affideremo a loro questa diaconia, questo servizio. Primo livello, quindi: rapporto nella Chiesa, rapporto di fraternità, rapporto orizzontale. Cominciamo a sistemare, a mettere giustizia in questo primo livello: quello che facciamo noi, quello che facevamo noi, adesso lo fanno altri sette.

Adesso, sistemato il livello umano, sistemiamo quello divino, il rapporto con Dio: “Noi invece non è che stiamo qui a girarci i pollici e a guardare la tele — che non c’era — non è che stiamo qui a guardare per aria e andare a caccia. Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della parola”.

Ecco, adesso giustizia è fatta. Vedete che a questo punto, dopo aver fatto la diagnosi iniziale: “Non è giusto che lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense”, quando matura la controffensiva, che chiamiamo riparazione, che chiamiamo penitenza — in confessionale ci viene data la penitenza, che serve proprio a ristabilire la giustizia e a rimettere le cose al loro posto, e a fare ammenda dei nostri peccati — quando si tratta quindi di aver maturato questa coscienza e scegliere la via di riparazione, vedete che allora viene in luce quello che prima io vi ho detto che sembrava un po’ più implicito: “Noi ci dedicheremo — a che cosa? — alla preghiera”, ma prima non l’avevano detto, prima hanno parlato solo della parola di Dio. Ma come vi ho detto, dire parola di Dio vuol dire tante cose e se io dico che trascuro la parola di Dio, vuol dire che trascuro innanzitutto la preghiera e tutto quello che ho detto prima. Quindi: “Noi invece ci dedicheremo alla preghiera, prima di tutto, che è il nostro rapporto con Dio, e noi Dodici abbiamo questo primo compito, che non possiamo posporre a nulla, ci dedicheremo alla parola di Dio e al servizio della Parola, cioè la predicazione”.

Così loro ristabiliscono giustizia e così ci insegnano che cosa vuol dire predicare: “Vuoi predicare? Devi predicare come sacerdote? Benissimo, ricordati che innanzitutto c’è la preghiera. Innanzitutto, c’è il rapporto con Dio, a seguire c’è la predicazione. Anche qui c’è una priorità. Vedete, allora c’è una priorità della parola di Dio nella preghiera, quindi nella predicazione nella preghiera, sul servizio, sulla diaconia, sul servizio alle mense, c’è una priorità, uno/due. All’interno dell’uno, c’è 1.a e 1.b. Quindi, all’interno della priorità 1 della parola di Dio, c’è 1.a, che è la preghiera, e 1.b, che è la predicazione.

Quindi.

  1. Parola di Dio
    1. Preghiera
    2. Predicazione
  2. Servizio alle mense

Vedete? Adesso è tutto molto più chiaro, ed è anche molto più ordinato. 

Giustizia è fatta, in due righe hanno ristabilito l’ordine delle cose. 

Che cosa succede? Cosa accade? Perché poi ci deve essere la prova del nove. Cioè, ho impastato la torta, ho fatto tutto bene… ma adesso la devo mettere in forno, perché dobbiamo vedere se veramente ho fatto un buon lavoro. Da cosa lo capiremo? Se dopo 40 minuti, se dopo un’ora, la tolgo e la torta va bene, è buona, è cotta giusta, è saporita, è dolce. Allora, se è stato fatto tutto con ordine, precisione, stai tranquillo che la torta verrà bene, altrimenti il forno sarà la prova del nove che dirà: “No, questa la prendi la dai le galline perché è immangiabile”.

Vediamo la prova del nove, vediamo il “forno” della Comunità, della Chiesa, come risponde. Siamo partiti dalla mormorazione, dal dissenso, dalla discordia, dai litigi, e dopo l’atto di giustizia e di riparazione:

“Piacque questa proposta a tutto il gruppo”

A tutti! Ma guarda, adesso si trovano uniti. 

Quindi, prima della giustizia, quando regnava l’ingiustizia, c’era la divisione e la separazione, la discordia. Adesso che giustizia è stata fatta, è stato messo ordine, a Dio è stato dato il suo posto, adesso sono tutti d’accordo e tutti contenti. Ecco che è tornata l’unità ed è tornata la carità.

 “Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo”

E poi gli altri. 

“Li presentarono gli apostoli e, dopo aver pregato…

Interessante: «dopo aver pregato». Vedete come il tema della preghiera ritorna anche in un momento solenne come è l’imposizione delle mani; quindi, come è il dare la diaconia. Dopo aver pregato — ormai avevano capito bene la lezione!

 “Li presentarono gli apostoli e, dopo aver pregato imposero loro le mani”. 

E quindi? 

“La parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede”.

Ma guarda un po’, è uscita una torta perfetta col buco. Capite, ogni tanto vi faccio questi esempi culinari, perché sono sicuro che rendono molto bene l’idea in maniera plastica. 

Guarda un po’, adesso siamo tutti felici e potremmo concluderla così: “E vissero tutti felici e contenti”

No! In una comunità ci saranno sempre dei problemi, ma questo brano degli Atti degli Apostoli ci insegna qualcosa di fondamentale: è inutile fare incontri su incontri, dialoghi su dialoghi, è inutile fare commissioni su commissioni, è inutile fare studi su studi, è inutile pensare a strategie di non so cosa se prima non ho fatto giustizia là dove deve essere fatta, che vuol dire se prima non ho messo ordine là dove deve essere messo ordine.

Per questo che San Tommaso dice che prima della carità ci sta la verità. Non posso fare carità dove non c’è verità: non attecchisce. Prima le cose devono essere chiamate col loro nome, e ognuno deve assumersi le sue responsabilità, a quel punto ecco che regna la carità.

È stata una grande lezione di vita, per gli apostoli sicuramente, ma non solo per loro. Con dei frutti incredibili, bellissimi. Avete visto i frutti, no? Si stringono uno all’altro, diventano gruppo, “a tutto il gruppo piacque”, avviene l’imposizione delle mani, quindi la diaconia, poi la parola di Dio che si diffonde… 

Quindi, siamo partiti da un problema di vedove trascurate, di servizio alle mense e siamo finiti al “La parola di Dio si diffondeva e il numero di discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente”. Siamo finiti alla felice diffusione della parola del Signore e quindi al moltiplicarsi dei discepoli. Vedete come la giustizia, e quindi la corretta messa in atto, in pratica, del mio rapporto con Dio, della mia predicazione e del mio servizio agli altri, produce questi frutti.

Questo ci insegna anche un’ultima cosa. A dire il vero ce ne insegna tantissime. Io ne vedo ancora un’altra, poi voi ne vedete altre mille sicuramente: che tutti non devono fare tutto. Questo è importantissimo. Il sacerdote faccia bene il sacerdote facendo ciò che ha promesso il giorno della sua ordinazione. Quello deve fare il sacerdote! Già un po’ di tempo fa mi ricordo che vi ho letto e commentato le promesse sacerdotali, cioè che cosa un sacerdote promette il giorno della sua ordinazione. Quello dobbiamo fare. 

La suora faccia la suora. Con tutto quello che compete al suo stato. La mamma faccia la mamma; il papà faccia il papà; il dottore faccia il dottore; il farmacista faccia il farmacista; l’idraulico faccia l’idraulico e il chirurgo faccia il chirurgo. Non possiamo fare tutto. E non è giusto fare tutto: ci deve essere una suddivisione di compiti. In base a quale criterio? Al criterio che è proprio al tuo stato di vita, alla tua scelta, alla tua risposta al progetto di Dio.

 “Vabbè, ma i Dodici non potevano anche un po’ servire le mense?” No! Hanno capito che è no. Bello, utile, importante, ma hanno chiamato e hanno fatto i diaconi. Loro no. Perché sennò viene fuori una scarpa e una ciabatta. Quindi hanno scelto di dire: “Il nostro compito è questo: preghiera e predicazione. Punto. Il servizio alle mense lo faranno i sette. Ci dividiamo”.

Quando cominciamo a fare quello che non ci compete fare, ecco che si vengono a creare le ingiustizie e quindi ne risente l’essere fratelli, ne risente l’essere Chiesa. E quindi cominciano i problemi. Perché quello che non ci compete, lo facciamo poco e male. Capite?

Quindi, il sacerdote ad esempio, ci si aspetta che stia in confessionale, perché la suora, il sacrestano, la mamma e il papà, l’idraulico, il chirurgo non lo possono fare, non possono stare in confessionale. Quindi, deve farlo! E se deve scegliere se mettersi — faccio degli esempi – a giocare a pallone con i ragazzi, andare a fare scampagnate in montagna con quelli di terza media, piuttosto che altro — tutte cose utili, tutte cose belle, tutte cose vere, verissime, come il servizio alle mense — ma se poi il confessionale rimane vuoto, chi ci entra a confessare? Nessun altro! Se non ci sono altri, devi farlo tu. 

E quindi cominciano a crearsi i malcontenti, perché poi le persone dicono: “Sì, ma io ho bisogno di confessarmi e da chi vado, eh? Col prete che non c’è mai, ecco, non riesco mai a confessarmi. Ecco, quel prete lì non è disponibile per le confessioni” e cominciano i malcontenti, “Eh, ma hanno ragione!”. Sbagliano a mormorare? Sì, ma hanno ragione. La ragione di quel mormorare sta in me, nel fatto che non sto facendo quello che devo fare, perché quel giorno non ho detto sì ad andare a giocare a pallone — è una conseguenza di quel sì, ma non è dentro quella promessa — mentre stare in confessionale è dentro a quella promessa: l’amministrazione dei sacramenti.

Se io non celebro Messa, non lo può fare la suora, non lo può fare il sacrestano, lo devo fare io, e se io non vado in chiesa quel giorno non c’è la Messa. “No, ma io ho reputato più opportuno mettermi a servire le mense” No! No, non ha quella priorità, è importante, un servizio molto bello, una cosa stupenda, è bellissimo, tutto quello che vuoi, va bene, ma sta al numero 2 di priorità, al numero 1 per te sta — in quel caso — andare a celebrare la Santa Messa, oppure confessare. È così. Questo sta nelle promesse sacerdotali. Così come ci sono le promesse del matrimonio. E così come il chirurgo è chiamato a… dopo ognuno è capace da solo a fare le sue proiezioni.

Quindi impariamo la giustizia. Impariamo a entrare nella logica che, se avviene un male, potremmo essere noi la causa e quindi facciamo l’esame di coscienza su di noi, non solo sugli altri. Non diciamo “Ah no, quelli sono brutti e cattivi perché si sono messi a memorare e non dovevano farlo” — Fermiamoci un momento e chiediamoci: “Ma io non c’entro niente, o ho qualche responsabilità?”. Attenzione. E poi ricordiamoci che non siamo tuttologi, i tuttologi sono molto pericolosi. Quindi con tranquillità diciamo: “Io questo non lo so fare. Io questo non lo voglio fare. Perché devo fare altro, mi spiace. Io questo non lo posso fare. Perché ho delle altre priorità. Ti dispiace, ci rimani male, ti deludo… mi dispiace, mi dispiace, vuol dire che devi un po’ educarti, ti devi un po’ rischiarare, anzi rifare le idee, devi proprio risistemarti le idee, ricostruirle”.

Perché oggi purtroppo si vedono questi giochi di ruolo invertiti, perché non si capisce più chi fa cosa, o meglio chi deve fare cosa, perché quella cosa non la fa nessuno. E questo è un problema.

Ecco spero di avervi dato qualche spunto di riflessione e anche di sistemazione, se ci fosse necessità, nella nostra vita.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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