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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 18

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 18
Giovedì 24 agosto 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 1, 45-51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 24 agosto 2023. Festeggiamo quest’oggi San Bartolomeo, Apostolo.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa messa di oggi, tratto dal capitolo primo del Vangelo di San Giovanni, versetti 45-51.

Proseguiamo la nostra lettura del libro Sequela di Bonhoeffer.

 Siamo arrivati — abbiamo visto ieri — ad affrontare il primo aspetto delle parole rivolte al giovane. Adesso vediamo il secondo aspetto. Scrive:

Secondo: anche questa chiamata alla sequela richiede un ulteriore chiarimento, per evitare ogni equivoco. Non deve essere più possibile al giovane fraintendere anche la sequela come un’avventura etica, una via e uno stile di vita straordinariamente interessanti, ma eventualmente anche revocabili. La sequela verrebbe fraintesa anche nel caso in cui il giovane la potesse considerare come la conclusione ultima di quanto è avvenuto fino ad allora, del suo fare e del suo porre problemi, come un’aggiunta a quanto veniva prima, come integrazione, completamento, perfezionamento di quanto era stato fatto fino a quel momento. Perciò, al fine di un chiarimento inequivocabile, deve essere posta in essere una situazione che non permetta di tornare indietro, una situazione irrevocabile; al tempo stesso deve risultare chiaro che essa non rappresenta in alcun modo una integrazione di quanto era stato fatto prima. Questa indispensabile situazione è posta in essere da Gesù con l’esortazione alla povertà volontaria. Essa rappresenta l’aspetto esistentivo, la dimensione pastorale del nostro quadro. Il suo scopo è di aiutare il giovane perché alla fine giunga alla retta comprensione e alla vera ubbidienza. Nasce dall’amore di Gesù nei suoi confronti. È solo l’elemento di congiunzione fra la via percorsa fino a quel momento dal discepolo e la sequela. Ma, si noti, non è identica alla sequela come tale e non costituisce neppure il primo passo nella sequela, bensì è l’ubbidienza, nella quale soltanto la sequela può diventare effettiva. Prima il discepolo deve andare a vendere tutto ciò che ha e darlo ai poveri, e solo dopo egli deve tornare e porsi nella sequela. L’obiettivo è la sequela; la via, in questo caso, è la povertà volontaria.

Allora adesso riprendiamo e vediamo passo passo. 

Quindi: ulteriore chiarimento, perché bisogna evitare l’equivoco, il fraintendimento. La sequela non è un’avventura etica, non è una via e uno stile di vita straordinari e interessanti, ma pur sempre revocabili. Vedete? Torna il tema del vincolo. Quindi non è un’avventura etica, non è una cosa straordinaria, perché tutto questo è revocabile. Ma la sequela presenta un carattere di irrevocabilità. Quindi Bonhoeffer dice:

deve essere posta in essere una situazione che non permette di tornare indietro.

Appunto: una situazione irrevocabile. Ed è posta in essere da Gesù. E qual è questa situazione irrevocabile? La povertà volontaria; questa è proprio irrevocabile, una volta che tu li hai dati, li hai dati.

Essa rappresenta l’aspetto esistentivo

Lo scopo qual è? Aiutare il giovane alla retta comprensione e alla vera obbedienza.

Noi dobbiamo insegnare a tutti — perché prima dovremmo averlo imparato, dovremmo continuamente impararlo noi — lo scopo di tutto il nostro essere cristiani che è quello di avere una retta comprensione e una vera obbedienza.

E tutto questo da dove nasce? Nasce dall’amore di Gesù per il giovane. È l’amore di Gesù che ti conduce a una retta comprensione, è l’amore di Gesù che ti conduce a una vera obbedienza, è l’amore di Gesù che ti fa compiere il passo verso una situazione irrevocabile. Quindi: prima il discepolo deve vendere tutto ciò che ha e darlo ai poveri, dopo che l’ha fatto, deve tornare e porsi alla sequela. Quindi lui dice, giustamente: l’obiettivo è la sequela ma la via è la povertà, la povertà volontaria, che è esattamente la risposta al comando di Gesù: “Vendi tutto quello che hai dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”.

Vediamo adesso il terzo aspetto.

Terzo: Gesù accoglie la domanda del giovane, su ciò che ancora gli manchi. «Se vuoi essere perfetto…»: potrebbe sembrare che si tratti qui effettivamente di una aggiunta a quanto è stato detto finora. Si tratta bensì di un’aggiunta, che però contiene in sé già il superamento di quanto si è concluso finora. È vero che il giovane finora non ha raggiunto la perfezione, poiché ha inteso e realizzato male il comandamento. Ora egli può solo capirlo correttamente e correttamente compierlo nella sequela, ma anche qui appunto solo perché è Gesù Cristo che ve lo chiama. 

È sempre il Signore che ci chiama, viene da lui e noi rispondiamo. Tutti sappiamo che la fede è proprio una questione di chiamata, di ascolto. Così cominciano i comandamenti: “Shemà Israel”, “Ascolta Israele”. Noi dobbiamo ascoltare. Ascoltiamo, quindi… compiamo il passo, quindi…

Accogliendola, Gesù sottrae la domanda al giovane. Questi voleva sapere quale fosse la sua via per la vita eterna, Gesù risponde: io ti chiamo, questo è tutto.

La via per la vita eterna è Gesù. Ciò che conta è Gesù che chiama, non tutto il resto. 

Il giovane cercava risposta alla propria domanda. La risposta suona: Gesù Cristo. Il giovane voleva sentire la parola del buon maestro, ora riconosce che questa parola è quello stesso uomo che egli ha interrogato. Il giovane è alla presenza di Gesù, il Figlio di Dio, e l’incontro è pienamente in atto. Possibile è ormai solo un sì o un no, l’ubbidienza o la non ubbidienza. La risposta del giovane è no. — Interessante questa cosa — Il giovane si allontanò triste, si vide deluso, ingannato nella sua speranza, eppure non può liberarsi del suo passato. Aveva molti beni. La chiamata alla sequela anche qui non assume altro contenuto che Gesù Cristo stesso, il vincolo, la comunione con lui. Ma l’esistenza di chi si pone nella sequela non è venerazione entusiastica di un buon maestro, bensì ubbidienza al Figlio di Dio.

Quindi il centro della sequela è Gesù. Lui cercava la parola del buon maestro, e incontra la Parola con la “P” maiuscola, il Verbo fatto carne, che è Gesù. A questo punto può fare una cosa sola: dire o sì o no. Potremmo dire: “scacco matto”. E lui dice no: se ne va triste, se ne va deluso, se ne va ingannato nella sua speranza. Se ne va schiavo del suo passato. Questo è quello che capita a ciascuno di noi tutte le volte che diciamo “no” a Gesù, tutte le volte che ci opponiamo per diverse ragioni alla volontà di Dio. Tutte queste volte noi ce ne andiamo delusi, tristi, ingannati nella nostra speranza, schiavi del passato. La chiamata alla sequela — lui dice — ha come contenuto cosa? Gesù, il vincolo, la comunione con Lui. Ma mica tutti lo accettano. 

Prosegue Bonhoeffer: 

Questa storia del giovane ricco ha una precisa corrispondenza nel racconto che fa da cornice alla parabola del buon samaritano.

Oggi non abbiamo la coincidenza col Vangelo, vedete? Allora lui legge Luca 10, 25-29. 

«Or, ecco, un dottore della legge si alzò e chiese per metterlo alla prova: Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? Ma egli rispose: Che cosa sta scritto nella legge? che cosa vi leggi? E quello disse: Amerai il Signore Iddio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, e il tuo prossimo come te stesso. E Gesù gli disse: hai risposto bene: fa’ questo e vivrai. Ma egli, volendo giustificarsi, chiese a Gesù: E chi è il mio prossimo?» (Le 10,25-29). La domanda del dottore della legge è la stessa del giovane ricco. Solo che qui si individua preliminarmente il suo carattere di provocazione. — Si capisce subito che è una provocazione — Il provocatore ha già in mente la sua soluzione. Essa non può che sfociare nell’aporia del conflitto etico. La risposta di Gesù corrisponde integralmente a quella data al giovane ricco. Chi chiede conosce in fondo già la risposta alla propria domanda, ma, insistendo a porla pur conoscendo tale risposta, vuole sottrarsi all’ubbidienza verso il comandamento di Dio. Non c’è per lui altra possibile indicazione se non: Fa’ ciò che sai, e vivrai. Gli è così sottratta la prima posizione difensiva. Ne segue, come nel caso del giovane ricco, una fuga nel conflitto etico: E chi è il mio prossimo? Infinite volte, dopo di allora, questa domanda è stata ripetuta, alla maniera del dottore della legge, nel suo intento provocatorio, sia pure in buona fede e senza rendersene conto: essa ha il vantaggio di presentarsi come una domanda seria e sensata, posta da un uomo in ricerca. Ma non si è letto correttamente il suo contesto. L’intera storia del buon samaritano non è altro che il rifiuto e la demolizione di questa domanda da parte di Gesù, per il suo carattere satanico. 

Avete sentito?

È una domanda all’infinito, senza risposta.

Attenti bene, eh!

Nasce «in menti corrotte, private della verità», «prese dalla febbre dei cavilli e delle questioni oziose». Ne derivano «invidie, contese, maldicenze, cattivi sospetti, controversie» (1 Tm 6,4s.). È la domanda delle persone gonfie, «che sempre stanno ad imparare senza mai poter giungere alla conoscenza della verità», «aventi le apparenze della pietà, ma che ne rinnegano la forza interiore» (2 Tm 3,5ss.) Sono inabili alla fede e pongono questa domanda, perché «sono bollati a fuoco nella loro coscienza» (1 Tm 4,2), perché non vogliono ubbidire alla parola di Dio.

Forte, eh? Forte! Quindi: 

Chi è il mio prossimo? 

Sembra una domanda lecita. Si pone come una domanda apparentemente seria e sensata. 

L’intera storia del buon samaritano non è altro che il rifiuto e la demolizione di questa domanda da parte di Gesù, per il suo carattere satanico.

Perché questa domanda ha un carattere satanico, è una domanda all’infinito, è una domanda che non ha risposta. E quindi, lui dice, ecco dove nasce questa domanda, ecco perché il carattere satanico: 

menti corrotte, private della verità», «prese dalla febbre dei cavilli e delle questioni oziose…

Stiamo attenti, eh, stiamo attenti, perché guardate che anche noi rischiamo questo. Alle volte quando si sentono certi discorsi o si leggono certi commenti, sembra proprio che uno sia preso dalla febbre dei cavilli: è catturato delle questioni oziose, non dalla verità. Non si cerca la verità. Veramente sembra di avere a che fare con menti corrotte, perché stanno a disquisire su cose infinite e inutili, sataniche! E da lì cosa nasce:

«invidie, contese, maldicenze, cattivi sospetti, controversie»

Noi dobbiamo stare lontani da queste domande di carattere satanico, da queste domande all’infinito senza risposte, da queste domande oziose, dai cavilli…. via da queste polemiche! Perché poi vengono fuori queste cose brutte. 

È la domanda delle persone gonfie 

E sentite qui cosa dice San Paolo nella seconda lettera a Timoteo, capitolo terzo, versetto quinto: 

persone gonfie, «che sempre stanno ad imparare senza mai poter giungere alla conoscenza della verità»

Scusate: e cosa stanno lì ad imparare a fare? Ma a che cosa serve stare lì ad ascoltare meditazioni, omelie, conferenze, prediche, se poi non giungiamo alla verità? Stiamo attenti, eh? Tutto quello che noi ascoltiamo, magari anche con grande sacrificio di tempo, di energie… deve servirci per crescere nella verità; quindi, ci deve servire per diventare persone nuove, per convertirci, per migliorarci… Se dopo aver ascoltato per un mese un ciclo di meditazioni sull’Eucarestia, un ciclo di meditazioni sul Santo Rosario, un ciclo di meditazioni — non lo so — su qualcos’altro, la mia vita non è cambiata, io rientro in questa categoria: 

persone […] «che sempre stanno ad imparare senza mai poter giungere alla conoscenza della verità»

La vita deve cambiare, se non cambia non sono giunto alla verità. E a che cosa serve stare lì a imparare? Perché siamo lì ad ascoltare se poi non arriviamo a ciò che è vero? I casi sono due: o chi mi insegna non mi sta insegnando, non mi sta conducendo alla verità, oppure sono io che non la voglio. Ma allora cosa stai lì ad ascoltare, perché? Che senso ha, se la vita non cambia? Il cambiamento deve avvenire non a livello etico, a livello proprio di sequela, del rapporto con Gesù: è questo che deve cambiare, è questo che si deve intensificare. È la risposta alla vocazione alla santità che tutti abbiamo che deve maturare, sennò cosa stiamo lì ad imparare? 

«aventi — sentite — le apparenze della pietà, ma che ne rinnegano la forza interiore» 

La pietà, la pietas, non è una cosa da collo storto. La pietas porta in sé una forza, una forza interiore potentissima che ti fa cambiare la vita. Ma se tu la rinneghi hai solo l’apparenza della pietà: fai finta di essere uno che prega, fai finta di essere uno che sta lì raccolto alla messa, fai finta, ti illudi di essere uno che segue Gesù: in realtà tu stai rinnegando la forza interiore della pietà — quindi della vera devozione — che ti spingerebbe a cambiare vita, a cambiare quegli aspetti di te che sono in contrasto col comandamento. 

Sono inabili alla fede e pongono questa domanda, perché «sono bollati a fuoco nella loro coscienza» (1 Tm 4,2), perché non vogliono ubbidire alla parola di Dio.

Inabili alla fede: ricordate quando si faceva il militare? Abile o non abile; non abile: non puoi fare il militare. Mi ricordo che andavamo a fare la visita al militare, ti dicevano “C1”, “C2”, oppure “riformato”. E noi cosa siamo rispetto alla fede? Noi vogliamo o no obbedire alla parola di Dio? 

Chi è il mio prossimo? C’è una risposta che dichiari se sia il mio fratello carnale, il mio connazionale, il mio fratello nella comunità o il mio nemico? Forse non è possibile con ugual diritto asserire e negare l’una e l’altra cosa? Questa domanda non finisce nel dissidio e nella disubbidienza? Sì, questa domanda è ribellione verso lo stesso comandamento di Dio. Io voglio certamente ubbidire, ma Dio non mi dice come possa fare.

È colpa di Dio, vedete? (ridendo)

Il comandamento di Dio è ambiguo, mi lascia in un eterno conflitto. 

Avete capito? Questa domanda è satanica per questa ragione! Ecco perché ha un carattere satanico. “Chi è il mio prossimo?” E ognuno si sbizzarrisce. Ma in realtà — lui dice — “Dio non mi dice cosa devo fare, mi lascia in un eterno conflitto: il comandamento di Dio è ambiguo” — il comandamento di Dio non è ambiguo, assolutamente. 

La domanda: Che devo fare? era già il primo inganno. La risposta è: Pratica il comandamento che conosci. 

Oh, mamma, anche questo è fortissimo: 

Non devi chiedere, ma agire.

Agisci, basta domande. 

La domanda: E chi è il mio prossimo, è la domanda estrema della disperazione, o di chi è sicuro di sé stesso, domanda con la quale la disubbidienza giustifica sé stessa. La risposta è: Sei tu stesso il prossimo. Va’ e sii ubbidiente nell’azione dell’amore.

Chi è il mio prossimo? Tu. E cosa devo fare? Obbedisci nell’azione dell’amore. 

Essere prossimo non è una qualità dell’altro, ma è la pretesa che l’altro avanza nei miei confronti, e niente altro. In ogni momento, in ogni situazione, sono io colui a cui sono richieste l’azione e l’ubbidienza. Letteralmente non resta tempo per interrogarsi sulla qualificazione dell’altro. Io devo agire e devo ubbidire, io devo essere il prossimo dell’altro. Ma se chiedi di nuovo, spaventato, se non sia prima necessario sapere e riflettere circa il modo di agire, l’unica risposta è che io non posso sapere o riflettere su ciò se non in quanto già agisco e mi riconosco come il destinatario di quella richiesta. Che cosa sia l’ubbidienza, lo apprendo solo nell’ubbidire, non nel porre domande. Solo nell’ubbidienza conosco la verità. Dal dissidio della coscienza e del peccato l’appello di Gesù ci chiama alla semplicità dell’ubbidienza. E il giovane ricco è stato chiamato da Gesù alla grazia della sequela, mentre il dottore della legge, con la sua provocazione, viene rimandato al comandamento.

E domani, a Dio piacendo, vorrei iniziare un nuovo capitoletto: “La semplice obbedienza”. Credo che ne sentiremo delle belle.

Bonhoeffer ci richiama a non dare la colpa a Dio, a non attribuire a Dio questa sorta di eterno conflitto. “Chi è il mio prossimo?” Sei tu stesso. “Si ubbidiente e vivi nell’azione dell’amore” — bellissimo. 

sono io colui a cui sono richieste l’azione e l’ubbidienza

Agisci, fai! E uno dice: “Ma che cos’è l’obbedienza?” Eh, lo apprendi obbedendo. Che cos’è l’obbedienza non lo capisci facendo domande. 

Solo nell’ubbidienza conosco la verità 

E domani vedremo quindi nel dettaglio la semplice obbedienza.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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