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Abbandono interiore: cos’è? pt1 – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.39

L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati - San Manuel Gonzales Garcia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Abbandono interiore: cos’è? parte 1 – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.39
Domenica 28 aprile 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 15, 1-8)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 28 aprile 2024. Oggi ricordiamo due santi importanti: san Pietro Chanel, sacerdote martire, e san Luigi Maria Grignion de Montfort, sacerdote.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quindicesimo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 1-8.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di san Manuel González; stiamo vedendo l’abbandono interiore del Tabernacolo. Oggi affronteremo il paragrafo intitolato:

Cos’è? (L’abbandono interiore)

Come dicevo nel precedente capitolo, abbandonano esteriormente il Tabernacolo coloro che, pur conoscendolo e potendolo visitare, non vi si recano abitualmente. Aggiungo ora che l’abbandono interiore è recarsi al Tabernacolo con il corpo e non con l’anima; andare ad esso e non stare in esso. È andare con il corpo, in modo che la bocca si apra e inghiotta la Sacra Forma, le labbra si muovano e balbettino qualche parola, la testa si inclini, le ginocchia si pieghino per uno spazio di tempo più o meno lungo, ma non con l’anima, che non medita su ciò che c’è e su ciò che si dà e su ciò che si domanda nel Tabernacolo, che non si prepara a cibarsi con grande pulizia [interiore] e vivo appetito, né assapora, né apprezza quell’alimento, che non parla né ascolta l’Ospite che la visita, che non si presta a raccogliere e a custodire le grazie che questo le porta, gli avvisi che le dà, gli esempi che le insegna, i desideri che le suggerisce, la corrispondenza d’amore che le impone…

Quante, quante volte il Maestro dovrà ripetere, interiormente respinto da certi comunicanti e visitatori dei suoi Tabernacoli dall’aspetto esteriormente umile e devoto, la lamentela del Signore al suo popolo: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lungi da Me! …».

Allora: «Cos’è?» Lui scrive: l’abbandono esteriore è di coloro che, conoscendo e potendo visitare il Tabernacolo, non vi si recano, non ci vanno abitualmente. Come abitualmente noi mangiamo tre volte al giorno (almeno), abitualmente noi beviamo, abitualmente noi andiamo a lavorare e, soprattutto, abitualmente respiriamo. 

L’abbandono interiore — l’abbiamo già detto un po’ che cos’è, però adesso lui lo spiega meglio — è andare al Tabernacolo con il corpo, ma non con l’anima. Quindi, io posso portare una classe intera di catechismo, una classe intera di alunni, io posso portare duecento ragazzi in chiesa ma, praticamente, lasciare da solo Gesù, perché nessuno — magari — è lì con l’anima. 

Uno dice: “Eh, possibile che nessuno sia lì con l’anima?”. Mah, intanto bisogna sapere se sanno dov’è il Tabernacolo e che cos’è il Tabernacolo. Non diamo per scontato che i ragazzi oggi sappiano — e non solo i ragazzi — che cos’è il Tabernacolo e dov’è il Tabernacolo. E poi bisogna vedere quando entrano in chiesa se lo salutano, se si accorgono e se mostrano di accorgersi che lì c’è il Tabernacolo, e se, quando sono davanti al Tabernacolo, ci sono con l’anima, oltre che con il corpo, altrimenti si caratterizza la piaga — vi ricordate ieri — dell’abbandono interiore del Tabernacolo. Per cui sono tutti lì davanti al Tabernacolo come se il Tabernacolo non esistesse, come se il Tabernacolo non ci fosse, esattamente come se il Tabernacolo fosse vuoto. Lui scrive: «andare ad esso e non stare in esso»; quindi: sono fisicamente lì, ma non sono in lui, non stanno in lui; è un andare senza stare. Eh, è così… è un andare senza stare.

Io posso anche lavorare in una chiesa, posso anche fare il sacrestano, eppure non stare con Gesù, eppure non avere nessun legame interiore con Gesù; posso fare delle bellissime cose, ma senza legame interiore al Signore. 

Prosegue: “È andare con il corpo, inghiottire la Sacra Forma”; è molto bello questo modo di chiamare l’Eucarestia: la “Sacra Forma”, è la prima volta che lo leggo. Quindi io posso andare, balbettare, dire qualche parola, posso anche farmi una bella cantata, andare e cantare, andare e far parte anche di un coro che canta solennemente in chiesa, posso anche inclinare la testa, posso anche piegare le ginocchia (a quel tempo ancora si usava fare la genuflessione e mettersi in ginocchio…) ma è un andare con il corpo, non con l’anima. Fare tutte queste cose col corpo, ma non con l’anima, la quale «Non medita su ciò che c’è e su ciò che si dà e su ciò che si domanda nel Tabernacolo». Se non faccio questo, non sono lì con l’anima. Se non medito su “ciò che c’è”, su Gesù presente nell’Eucaristia; su “ciò che si dà” vale a dire il Suo Corpo, il Suo Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità (Corpo, Sangue, Anima e Divinità nell’Eucarestia); su “ciò che si domanda”; cos’è che si domanda nel Tabernacolo? Si domanda la presenza reale, vera, sostanziale di Gesù, che c’è! Si domanda la grazia dell’incontro, la grazia dello stare con Lui, la grazia della compagnia con Lui.

Questo è l’abbandono interiore, perché c’è il corpo, ma non c’è l’anima, se non ci sono queste cose, se non c’è questa meditazione, non c’è l’anima, sono lì come uno spaventapasseri. 

Quindi, quali sono le caratteristiche del non esserci con l’anima? 

Uno: non medita. 

Secondo: «non si prepara a cibarsi con grande pulizia interiore e vivo appetito». 

Non c’è preparazione! Messa ore 18:00 — lasciamo perdere quelli che arrivano alle 18:00 e quelli che arrivano dalle 18:00 in poi; perché poi ci sono anche quelli che arrivano alle 18:10, 18:15, 18:20, lasciamo perdere questi, che neanche è da trattare questo tema — quindi, Messa alle 18:00, io arrivo alle 17:55. Scusate, ma questo vuol dire prepararsi? Io non mi sto preparando a cibarmi del Suo Corpo dato, del Suo Sangue sparso, non c’è nessuna preparazione! Ma come è possibile, come faccio a prepararmi in cinque minuti, che ora che entro, mi tolgo il cappotto, mi sistemo, scelgo il posto, mi metto un attimo in ginocchio, sono già arrivate le 18:00. Non sono lì con l’anima, anche io sono lì con il corpo.

«Non si prepara a cibarsi con grande pulizia interiore». Quando è stata l’ultima volta che mi sono confessato? Aggiungo: validamente? Cioè, mi sono confessato bene? Mi sono preparato bene la confessione e l’ho fatta bene? Quindi: con vivo pentimento, col proponimento di non peccare più, di evitare in tutti i modi l’occasione del peccato. Quando è stata l’ultima volta che ho fatto una vera, bella, santa confessione? Perché capite, se io vado lì e non c’è questa grande pulizia interiore, questo non è prepararsi.

Infatti, quando ero piccolo io, mi ricordo benissimo e già ve ne ho parlato, per noi tutti ragazzi che andavamo all’oratorio, al sabato pomeriggio alle ore 15:00 iniziavano le confessioni. Ma non c’era altro! Era già dentro alla nostra agenda; anche se non avevamo il cellulare e anche se non avevamo i calendari condivisi, era già condiviso, era condiviso crescendo, era condiviso con il latte e i biscotti che mangiavamo al mattino che sabato pomeriggio alle 15:00 c’erano le confessioni. Ma non una volta al mese, tutte le settimane! Da quando tu ti andavi a confessare in terza elementare per la prima volta.

Mi ricordo che, addirittura, oltre alla catechesi che c’era in preparazione al sacramento della confessione, abbiamo fatto anche le prove, del sacramento della confessione. E già ve l’ho detto che sono uscito io, me lo ricordo come se fosse adesso, perché il sacerdote che adesso è morto, questo bravissimo sacerdote, quel giorno ci fece l’esame. Abbiamo fatto l’esame in chiesa, seduti sugli inginocchiatoi delle panche della chiesa, col foglio bianco e la nostra penna; lui dettava le domande e noi dovevamo scrivere le risposte. Io mi ricordo che ero agitatissimo i giorni prima, perché avevo paura di essere bocciato e non essere ammesso al sacramento della confessione; e badate: esame per il sacramento della confessione, esame per il sacramento della comunione, scritto, eh, esame scritto! Tutti e due, tutti e due i momenti.

Mi ricordo, appunto, che abbiamo fatto l’esame e poi lui ha detto: “Adesso dobbiamo fare un esempio di come ci si confessa. Chi è che vuole uscire e venire qui e far vedere a tutti, insieme a me, come si fa la confessione?” E io mi ricordo che ero talmente entusiasta, voglioso e desideroso, che appena ha detto questa frase, son saltato in piedi e ho detto: “Vengo io!”. E lui ha detto: “Va bene; vieni, vieni, Giorgio”. E quindi io sono andato, mi sono messo in ginocchio e lui ha detto: “Vedete, adesso io faccio vedere a Giorgio come ci si confessa e domani dovete fare tutti così. Quindi, nel momento in cui tu arrivi, ci sarà qui il sacerdote, ovviamente vestito di tutto punto (erano vestiti con la talare, con la cotta e con la stola); io mi siederò qui, gli altri sacerdoti si siederanno lì, il vescovo, Monsignor Cazzaniga (che era in pensione) sarà là dentro a confessare, anche lui vestito di tutto punto. Voi arriverete e saluterete il confessore. (sapete che bisogna salutare il confessore, eh? Perché il confessore non è la macchinetta automatica che ti dà la bevanda energetica, piuttosto che la merendina; il pacchetto di patatine, che tu vai lì, butti dentro la moneta e fai “12”, e si muove la macchina, e ti butta giù il pacchetto, e tu prendi e te ne vai. No, non è questo. Il confessore, che è sacerdote, è un essere umano, ed è un ministro di Dio, quindi, quando tu arrivi, lo saluti, la prima cosa che fai è “buongiorno”, almeno buongiorno, o buonasera. Si saluta, il sacerdote, questo è segno di buona educazione, di doverosa e santa educazione. Si saluta quando si arriva e si ringrazia quando si va via. Uno finisce la confessione, riceve l’assoluzione, si alza, saluta, ringrazia e va via) Quindi poi, dopo, ti metti in ginocchio, fai il segno della Croce, se desideri ringraziare il Signore per qualcosa, brevemente ringrazi; ad esempio per il dono dei tuoi genitori, perché questa settimana ti ha aiutato nella scuola, perché hai capito che… quello che vuoi, brevemente, non una storia infinita, due parole; poi dici i tuoi peccati”.

Quindi, io che cosa ho fatto? Sono andato lì — tutta la cappella dell’oratorio piena di bambini che si preparano alla confessione, tutti in silenzio, io in centro con lui — quindi io arrivo e cosa faccio? Saluto, mi metto in ginocchio, nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e dico: “Ringrazio innanzitutto il Signore per il dono di questo sacramento che mi sta dando — era la prima volta, la prima confessione, quindi per cosa lo ringrazio? Lo ringrazio perché è il primo perdono che ricevo — e i miei peccati sono questi…” e ho cominciato a dire i peccati.

Lui al momento è rimasto un attimo lì, poverino, anche lui deve essere rimasto qualche secondo, un attimo, sbalordito, e io ho cominciato a dire veramente i miei peccati. Lui, a un certo punto, quando si è accorto che io mi stavo confessando veramente, che non stavo inventando delle cose da dire, ma che stavo dicendo veramente i miei peccati, mi ricordo che ha fatto un salto sulla sedia e ha detto: “No, ma non devi dire adesso i tuoi peccati, qui, davanti a tutti!”. “Ah — ho detto — ho sbagliato, ho sbagliato”. Adesso che ci ripenso, mi vien da ridere, perché è stata una scena incredibile, ovviamente tutti i miei amici sono scoppiati a ridere, mi hanno preso in giro a vita, per questa confessione pubblica che ho fatto dei miei peccati; vabbè, pazienza.

E il sacerdote ha detto: “Vabbè, Giorgio ha detto un po’ dei suoi peccati, va bene, adesso tutti sappiamo quali sono i peccati di Giorgio; ovviamente non ti posso assolvere, perché questa qui è una finta confessione, cioè una prova che stiamo facendo, perché tutti imparino”. Ecco questo qui è come si dicono i peccati. 

Ricordiamoci sempre la differenza specifica e la differenza numerica, perché è importante dire: “ho rubato”, ma che cosa hai rubato? Differenza specifica: ho rubato un fiorellino; ho rubato una caramella; ho rubato una mela perché stavo morendo di fame; ho rubato dal portafoglio di mia madre i suoi soldi; ho rubato a mia mamma la catenina regalo di mia nonna per andarla a vendere, per scambiarla, per avere dei soldi, per fare non so cosa; è diverso, eh! Ho rubato la pensione della signora anziana, che l’aveva appena presa in banca. Capite, è diverso aver derubato la pensione della persona anziana, unico sostentamento che ha, piuttosto che aver rubato una caramella! Capite quanto è importante la differenza specifica? Non è che dobbiamo stare qui a fare i farisei e i moralisti; ma un conto è aver rubato dal portafoglio di mia madre i soldi, un conto è aver rubato la fede nuziale di mia mamma, e un conto è aver dato un morsicotto alla merenda della mia compagna di banco, capite? È sempre aver rubato, però sono cose diverse.

Padre Giorgio ha fatto anche questo, nella sua vita, quando era ragazzo. Avevo l’abitudine ogni tanto di andare a dare un morso alla merenda di una mia compagna — adesso so già che la mia compagna, che mi sta ascoltando, si sta mettendo a ridere — e quindi, siccome veniva a scuola con dei toast buonissimi, io ogni tanto cedevo alla tentazione e ne mangiavo io un pezzo quando lei non si accorgeva; prendevo il suo toast e mangiavo un pezzo, va bene. Ma un giorno mi ha castigato e non l’ho più fatto, ho capito di aver sbagliato. Mi ha castigato, perché quel giorno è venuta a scuola con un toast pieno di peperoncino, l’ha messo sotto il banco, io ovviamente non lo sapevo, l’ho preso, ho dato un morso, non vi dico… basta, non l’ho più fatto, ho capito che queste cose non si fanno in modo molto chiaro. Quindi, un conto è aver dato il morso alla merenda della mia compagna, va bene, e un conto è aver rubato la fede nuziale di mia madre, averla venduta al banco dei pegni, al “compro oro”, perché volevo andarmi a drogare, perché ho fatto una scommessa e dovevo pagare. Capite che sono cose diverse, eh! La differenza specifica va assolutamente detta.

Differenza numerica: l’ho fatto una volta in un mese, in una settimana, l’ho fatto tutti i giorni, l’ho fatto più volte al giorno, è trent’anni che lo faccio. Va detto; “è trent’anni che io abitualmente rubo”, va detto, sennò che confessione è? 

E poi il proponimento di evitare le occasioni prossime di peccato: se sono goloso, non mi tengo i cinque chili di nutella nell’armadio in cucina. 

E poi: avere il dolore di questi peccati, essere pentiti e ascoltare quello che il confessore mi dirà come penitenza da fare. Questo vuol dire avvicinarsi con una grande pulizia interiore.

Per questo noi da bambini, ogni settimana, il sabato pomeriggio, alle 15:00 facevamo le confessioni. Alle 14:00 iniziava la ronda di andarsi tutti a chiamare, perché si andava insieme — già ve l’ho detto — a confessarci, ci aspettavamo tutti e insieme si usciva, per poi dopo andare a giocare. Alla domenica mattina, eravamo tutti bellissimi per andare a fare la comunione. Ogni settimana, tutte le settimane.

Domani vedremo la seconda parte sempre di questo brano che abbiamo letto. Quindi: non vado con l’anima quando non medito su ciò che c’è, su ciò che si dà e su ciò che si domanda nel Tabernacolo, e quando non mi preparo con grande pulizia interiore a cibarmi di quello che sto per ricevere. Quindi, non mi preparo, perché arrivo all’ultimo momento, perché non mi preparo con una meditazione, una preghiera, col silenzio, con… e perché non sono interiormente pulito, perché sono sei mesi, un anno, che non mi confesso.

Ma poi io mi domando, ma scusate un secondo, ma come faccio a ricordarmi? Se non mi confesso da un mese, come faccio a ricordarmi i peccati che ho fatto ventotto giorni fa? Io faccio fatica a ricordarmi i peccati che ho fatto oggi, figuriamoci i peccati che ho fatto il mese scorso! Quali peccati ho fatto il primo di febbraio? Ma chi se li ricorda più! Per questo a noi dicevano: “Tenete un quadernino spirituale, dove segnate i peccati che fate, così, quando venite in confessione, li leggete, li dite, ve li ricordate!” Poi quel foglietto si prende, si straccia e si butta. Quante volte ci hanno fatto buttare nel naviglio i foglietti; era molto bello, molto simbolico questo gesto che ci facevano fare i sacerdoti. Arrivavamo col foglietto poi, una volta che avevamo detto tutti i nostri peccati, dicevano: “Adesso prendi questo foglietto, esci, vai sul naviglio, lo stracci e butti i pezzettini nel corso dell’acqua”. Bellissimo, questo è un gesto bellissimo! Perché quei peccati non ci sono più. Questo gesto di stracciare in mille pezzi… poi lo facevamo tutti insieme, tutto il nostro gruppo di amici: stracciavamo tutto in mille pezzettini, poi, insieme, li buttavamo nel naviglio, e tu vedevi tutti questi coriandoli che cadevano e l’acqua che li portava via. Ma pensate anche simbolicamente per un bambino quanto è importante tutto questo! Quanto ti fa sentire che Gesù ti ha perdonato, che Gesù ti ha liberato, che Gesù ti ha strappato dal cuore, dalla mente, i tuoi peccati!

Io non mi vergogno di dire che consiglio sempre la confessione settimanale, del resto sono in ottima compagnia, perché questo è ciò che diceva San Giovanni Bosco. Quindi sono nella pace, non sto dicendo niente di nuovo, di mio, di strano. Innanzitutto, perché sono cresciuto così, io come centinaia di altri ragazzi nella mia parrocchia, quindi, voglio dire, o quei sacerdoti sono tutti impazziti, quel vescovo era impazzito, ed eravamo tutti impazziti — ma non credo proprio — oppure era veramente un percorso pedagogico bellissimo, verissimo. E io, oggi, che sono sacerdote da qualche anno, diciamo così, confermo che hanno fatto la scelta pastorale più bella e più santa che potessero fare. Li ringrazierò fino alla fine della mia vita, per quello che hanno fatto. E non mi vergogno assolutamente di dire che continuo ancora oggi a consigliare a tutti — a tutti! — la confessione settimanale. “Eh, ma che peccati hai fatto, da venir qua tutte le settimane!!” — Ma scusa un secondo, ma io mi lavo le mani cinque volte al giorno; e la mia anima? Tu, quando vai a tavola a mangiare, ti lavi le mani o no? E io devo avvicinarmi alla mensa del Signore con l’anima sporca? Io, non faccio il muratore, non faccio l’agricoltore, che ho le mani nella terra dalla mattina alla sera, però le mani almeno tre volte al giorno — ma di più — cioè, prima di andare a mangiare me le lavo sempre. Quando ti svegli al mattino, hai le mani sporche? Scusatemi, non credo proprio. Però tutti noi ci insaponiamo le mani e ci laviamo il viso; sono gesti che facciamo tutti! E che cosa ho fatto di notte per sporcarmi le mani? Niente! Però avverti un bisogno di ulteriore pulizia, di freschezza. Certo, se poi tu hai la coscienza spessa come la pelle del rinoceronte, se sei un’anima tiepida, un’anima, come dire, lontana dal Signore, certo, allora perché tu abbia un peccato da confessare, non so, devi avere ammazzato qualcuno; quindi, una volta nella vita magari ti avvicini alla confessione, perché quella volta nella vita hai fatto una cosa molto grave, va bene, ma non è di queste persone che stiamo parlando. 

Io consiglio vivamente a tutti la confessione settimanale; è importantissima. San Giovanni Bosco la esigeva da tutti i suoi ragazzi. E infatti son venuti fuori fior fior di santi. Non dimentichiamo san Domenico Savio, che gli disse: “Questo sono io, questa è la stoffa, questa è la mia vita, fai tu”. E guardate che cosa ha fatto San Giovanni Bosco.

Ci fermiamo qua, domani vedremo l’altra parte.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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