Scroll Top

D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 13

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 13
Sabato 19 agosto 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 19, 13-15)

In quel tempo, furono portati a Gesù dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li rimproverarono.
Gesù però disse: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».
E, dopo avere imposto loro le mani, andò via di là.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 19 agosto 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo diciannovesimo del Vangelo di San Matteo, versetti 13-15.

Andiamo avanti con la nostra meditazione del libro di Bonhoeffer, Sequela.

Ieri abbiamo visto il rapporto stringente — lui dice — tra l’obbedienza e il credere, quindi lui dice: “Chi non obbedisce non può credere, solo chi obbedisce crede”. Sta facendo riferimento ovviamente al Vangelo, ai comandamenti, a quanto Gesù ci chiede… tutto il discorso che abbiamo fatto ieri.

Qui la chiamata di grazia di Gesù Cristo alla sequela si trasforma in dura legge: Fa’ questo! Non far quello! Esci dalla barca e va verso Gesù!

È una legge dura, lo riconosce anche Bonhoeffer.

Chi giustifica la propria disubbidienza di fatto alla chiamata di Gesù con la propria fede o con la propria mancanza di fede, a lui Gesù dice: Prima ubbidisci, fa’ l’opera esteriore, liberati di ciò che ti vincola, rinuncia a ciò che ti separa dalla volontà di Dio! Non dire: non ho la fede per farlo. Non l’hai finché resti nella disubbidienza, finché non vuoi fare il primo passo. Non dire: dal momento che ho la fede, non ho più bisogno di fare il primo passo. Non l’hai, finché e perché non vuoi fare il primo passo, ma ti indurisci nell’incredulità, mascherata da umile fede. È solo una cattiva scappatoia quella che vuol giustificare la mancata ubbidienza con la mancanza di fede e la mancata fede con la mancanza di ubbidienza. È tipica disubbidienza da «credenti» confessare la propria incredulità quando viene richiesta l’ubbidienza, giocando su questa confessione.

Parole più attuali non poteva scrivere.

Tu credi? Allora fa’ il primo passo! Esso ti porta a Gesù Cristo. Non credi? allora fa’ ugualmente questo primo passo, ti è comandato! Il problema se tu abbia o non abbia la fede non è di tua pertinenza invece ti è comandata l’azione dell’ubbidienza, che va eseguita immediatamente. In essa è data la situazione in cui la fede diventa possibile ed esiste realmente.

Cerchiamo di spiegarla bene, quindi: la chiamata di grazia di Gesù Cristo alla sequela è una legge dura. Quindi chi dice diversamente non sta parlando della chiamata di grazia di Gesù alla sequela. Questa legge ti dice — lo vedevamo anche ieri: “fa’ questo oppure non fare quello”. Per esempio, “esci dalla barca e vai verso Gesù”; ne abbiamo parlato ieri e nei giorni scorsi. Ora cosa succede? Succede che qualcuno, alcuni giustificano — scrive Bonhoeffer — la propria disobbedienza alla chiamata di Gesù con la propria mancanza di fede. E allora Bonhoeffer, immaginando la risposta di Gesù, scrive: Gesù ti direbbe: “tu prima devi obbedire”. Innanzitutto devi fare l’opera esteriore, innanzitutto ti devi liberare da ciò che ti vincola, devi rinunciare a ciò che ti separa dalla volontà di Dio. Questa è la prima cosa da fare, questi sono i primi passi da fare. Non puoi invocare la mancanza di fede o la poca fede che hai — io ho questa fede, quindi… — no! Innanzitutto tu devi fare quest’opera esteriore, tu devi fare questo atto di obbedienza. E Bonhoeffer scrive:

Non dire: non ho la fede per farlo.

Certo che non ce l’hai, dice Bonhoeffer, certo che non hai la fede per fare questi passi. Perché non hai questa fede? Perché resti nella disubbidienza, perché non vuoi fare il primo passo. Il primo passo è ciò che ti permetterà, poi, di poter vivere di fede. Ma questo primo passo, questa opera esteriore, questo uscire dalla barca e fare il primo passo sul mare, questa è la condizione richiesta perché tu possa avere poi la fede di fare tutto il resto. E non puoi portare il non aver fede a giustificazione del fatto che tu non fai quel passo, perché è ovvio che non ce l’hai: non hai ancora fatto il passo. Non so se è chiaro. Quindi non dire: “Non ho la fede”, perché è ovvio che non ce l’hai, perché sei nella disobbedienza, finché non farai il primo passo. 

Oppure:

Non dire: dal momento che ho la fede, non ho più bisogno di fare il primo passo.

Non è vero! Questo primo passo è sempre richiesto, comunque. 

Dice Bonhoeffer:

Non l’hai, finché e perché non vuoi fare il primo passo, ma ti indurisci nell’incredulità, mascherata da umile fede.

Vuol dire che questa fede, in realtà, è una maschera. Questa fede che dici di avere, per cui non fai il passo, in realtà è una maschera, è una maschera da fede umile, finta, è una maschera che ti permette di indurirti nell’incredulità. Quindi questa è la ragione per cui tu non fai il primo passo. Non perché hai la fede, ma perché non ci credi, la tua fede è una maschera, questo credere è una maschera, è la maschera di un finto umile.

È solo una cattiva scappatoia quella che vuol giustificare la mancata obbedienza con la mancanza di fede.

Capite? Io non obbedisco perché non ho fede. Eh no, caro, questa è una scappatoia. Così come chi dice:

la mancata fede con la mancanza di obbedienza.

Stessa cosa.

È tipica disubbidienza da «credenti» — questo è frequentissimo, tipico — confessare la propria incredulità quando viene richiesta l’ubbidienza, giocando su questa confessione.

È quello che facciamo oggi; noi diciamo: “Viene richiesta l’obbedienza alla parola di Dio, il Signore ci chiede di obbedire alla sua parola”. Allora noi cosa facciamo? Diciamo: “Eh, ma io non ho fede. Io ho poca fede, confesso la mia incredulità”. Questa confessione è una furbata. Di fatto, è semplicemente un gioco; noi giochiamo su questa falsa confessione: “Eh, io non ho fede, ho poca fede, non riesco ad avere fede”, quindi… disobbedisci. È la disobbedienza tipica da credenti. Siccome mi viene chiesta l’obbedienza e io non voglio obbedire, allora per salvarmi non dico: “Io non obbedisco perché non voglio obbedire. Io non obbedisco perché non voglio fare il primo passo”. No, io dico: “Io non obbedisco perché ho poca fede o non ho fede”. Ma in realtà questo è solamente un gioco, è una scusa. Bonhoeffer dice:

Tu credi? — si, io credo — allora fa’ il primo passo!

Questo passo ti porta a Gesù — pensate sempre all’immagine di Pietro che esce dalla barca e cammina sulle acque — oppure:

Non credi? — no, io non credo — allora fa’ ugualmente questo primo passo.

Il centro della questione non è se tu hai o non hai fede, perché questo non è di tua competenza, tutti sappiamo che la fede è un dono; quindi, il problema non è avere o non avere fede, ma obbedire a ciò che ti viene chiesto e farlo subito. Questo è il punto! 

Quello che riguarda me, quello che riguarda te, non è stare a guardare se ho fede, quanta fede, poca fede, tanta fede; il tema della questione è: “A te è comandato di compiere quell’azione per obbedienza; falla e falla subito! Quando lo farai, quando obbedirai e compirai quel passo, allora, in quella situazione, la tua fede diventerà possibile e reale. Ma prima devi obbedire all’azione che ti viene chiesta, al passo che ti viene chiesto”. 

Scrive Bonhoeffer:

Dunque non: si dà, bensì: Egli dà una situazione in cui tu puoi credere. Vale la pena di mettersi in quella situazione, affinché la fede sia fede vera e non autoinganno.

Capite? La fede non è una cosa che si dà. 

Gesù ti dà una situazione, ti dà un passo da fare, tale per cui tu, facendolo, ecco che vivi la fede. 

Se fai quel passo, che cosa succede? Succede che tu, andandoti a mettere in quella situazione, hai la possibilità di avere una fede vera e libera dall’autoinganno. 

Quindi vale proprio la pena, dicevo, di mettersi in questa situazione, nella situazione che Gesù ti chiede, di fare il passo che Gesù ti chiede: “Pietro, vieni, esci dalla barca, cammina sul mare”. 

Prosegue Bonhoeffer:

Situazione di cui non si può fare a meno, proprio perché solo la retta fede in Gesù Cristo importa, perché la sola fede è e resta lo scopo.

Vedete, questo passo è fondamentale! È fondamentale.

Chi davanti a tutto questo protesta troppo affrettatamente e in modo troppo protestante, deve lasciarsi chiedere se non stia difendendo la grazia a buon mercato.

Guardate che son parole forti. 

Dobbiamo sempre chiederci: “Chi ci fa certi discorsi, cosa sta difendendo? La grazia quella vera, quella rigorosa, quella della sequela, o la grazia a buon mercato?”. Questa è la domanda che dobbiamo sempre avere. Bonhoeffer dice di fare attenzione a chi, davanti a questa proposta dell’obbedienza alla situazione, davanti all’azione che Gesù ti propone, dice: “No, ma no, qui no, ma io no, però…”, perché questa persona sta difendendo probabilmente la grazia a buon mercato. 

Scrive:

Perché in effetti le due proposizioni non diventano uno scandalo per la fede retta solo se restano l’una accanto all’altra, mentre, prese ognuna per proprio conto, diventano un grave scandalo. Solo chi crede è ubbidiente — questo è detto all’ubbidiente nel credente; solo chi ubbidisce crede — questo è detto al credente nell’ubbidiente. Se si isola la prima proposizione, colui che crede è lasciato in preda alla grazia a buon mercato, cioè alla condanna; se si isola la seconda, colui che crede viene lasciato in balia dell’opera, cioè alla condanna.

Quindi queste due cose vanno mantenute insieme, questi due momenti. È fondamentale che vengano tenute insieme le due proposizioni. Il tema dell’obbedienza che mi dà la possibilità, che mi realizza la situazione di poter avere una fede vera e di non cadere nell’autoinganno e quindi di non cadere nella grazia a buon mercato. Questi due momenti vanno tenuti assolutamente insieme, sempre.

A partire da questa prospettiva, possiamo ora indirizzare il nostro sguardo alla cura pastorale cristiana.

E adesso vediamo che cosa ci scrive:

Per chi svolge il ministero pastorale ha grande importanza parlare avendo presenti entrambe le proposizioni. Deve sapere che la lamentela per la mancanza di fede deriva sempre da una disubbidienza consapevole o non più consapevole, e che è troppo facile rispondere a questa lamentela con il conforto della grazia a buon mercato.

La lamentela per la mancanza di fede è sempre legata alla disobbedienza e non si risponde alla disobbedienza con la grazia a buon mercato, spianando la strada, dicendo: “Ma sì, vabbè, tanto…”. No, non funziona così. Non credono? Eh, cari… Allora bisogna fare il primo passo. 

Non bisogna snaturare il Vangelo, anzi, se si potesse — non si può perché non serve — ma, se si potesse, bisognerebbe renderlo ancora più rigoroso, più esigente. Non serve, è già abbastanza così, ma lo dico per farmi capire. Non è certamente svendendolo che aiutiamo le persone e noi stessi. Alla base della mancanza di fede ci sta sempre una disobbedienza consapevole, oppure ormai non più consapevole, ma comunque inizialmente lo era.

Questa risposta lascia infatti intatta la disubbidienza e la parola della grazia si trasforma in consolazione che chi non ubbidisce dà a sé stesso, diventa autoremissione dei peccati. 

Io credo che, ormai, siete talmente bravi, talmente intelligenti, che poi sapete, da soli, fare le applicazioni alla nostra vita quotidiana, alla nostra storia, al nostro tempo, alla nostra epoca. Non c’è bisogno che io vada oltre, tutti avete “benissimamente” chiaro davanti agli occhi dove, come e perché. Quindi:

Questa risposta — quella della grazia a buon mercato — lascia intatta la disubbidienza — cioè non ti fa cambiare, non ti spinge alla sequela, l’abbiamo già detto — e quindi la parola della grazia si trasforma in consolazione, che chi non obbedisce dà a sé stesso.

Quindi, chi non obbedisce continua a vivere nella disobbedienza e usa il Vangelo, usa la parola di Dio, per consolarsi. E come avviene questa consolazione? Auto assolvendosi dai peccati. Che poi, a mano a mano, non si vedranno più come peccati, perché tanto… 

Sentite cosa scrive:

E in tal modo l’annuncio diventa per lui vuoto — è verissimo, diventa vuoto — , egli non ascolta più. Può autoassolversi dai peccati mille volte, ma non riesce più a credere alla vera remissione, proprio perché in effetti non gli è stata affatto donata.

Mamma mia, guardate… Perché annunciamo il Vangelo se tanto lo dobbiamo usare per consolare chi non obbedisce, se tanto serve per diventare un’autogiustificazione? Perché annunciamo il Vangelo? E infatti per queste persone, ma anche per chi predica credendo in questa grazia a buon mercato, l’annuncio del Vangelo è vuoto. 

Parliamo di altro, ma non di Gesù Cristo, non della sua morte in croce. Non di quello che lui ha vissuto ed è narrato nei Vangeli oppure nelle lettere di San Paolo o nell’Antico Testamento. Perché parlarne? Tanto non serve. È vuoto per te che ascolti e vuoto per me che amministro la grazia a buon mercato. Per tutti i compratori e i venditori della grazia a buon mercato, l’annuncio del Vangelo diventa semplicemente vuoto, inascoltabile, non interessa più, perché tanto: “Si può autoassolvere dai peccati mille volte da solo e quindi non riesce più a credere alla vera remissione”. 

Perché devo andarmi a confessare? Tanto dove sta il peccato? 

Chi parla più del peccato? Quando più si dice: “Questo è peccato”? Voi l’avete più sentito dire: “Questo è peccato”, “Questa è una virtù”, “Questa è grazia”? No! Quindi, perché mi dovrei andare a confessare? Di che cosa? Di un errore, ma che poi non è neanche detto che sia un errore: chi decide che è un errore? Chi decide? Per me non è un errore, e allora? Siccome la parola di Dio è vuota per me che l’ascolto e non dice più niente, non serve più per te che l’annunci — “mercataro” della grazia a buon mercato —  allora perché andarmi a confessare? 

E Bonhoeffer dice:

non riesce più a credere alla vera remissione, proprio perché in effetti non gli è stata affatto donata.

Eh, certo: non la va a chiedere e quindi non riceve più la grazia del sacramento della confessione. 

Scrive:

L’incredulità si nutre della grazia a buon mercato perché vuole persistere nella disobbedienza.

È così. Le sta bene così. Siccome non vuole obbedire a Dio, alla legge di Dio, allora si nutre della grazia a buon mercato e tutti dietro, come pecoroni, ai venditori della grazia a buon mercato. Lui dice:

È una situazione che oggi si presenta frequentemente nella cura pastorale.

È un luterano che parla, eh, è un luterano che sta parlando. E non è morto ieri, andate a vedere quando è morto.

È inevitabile che l’uomo, rimettendosi da solo i peccati, si indurisca nella disubbidienza, e dia ad intendere di non poter riconoscere il bene e il comandamento di Dio.

Se io mi auto assolvo, se io mi auto giustifico, se chiamo il peccato un bene, se il peccato non esiste più, è chiaro che mi indurisco nella disobbedienza, ma perché mai dovrei obbedire a Dio? Perché mai? 

Questa persona non è più capace di riconoscere il bene e il comandamento di Dio, non lo riconosce più. Continua Bonhoeffer:

Essi [il bene e il comandamento di Dio] sarebbero ambigui e soggetti a numerose possibili interpretazioni. 

Eh, certo, ormai tutto diventa relativo.

La coscienza inizialmente ancora chiara della disubbidienza si oscura sempre più e si trasforma in indurimento.

Il peccato mortale produce tutto questo. Sembra di leggere alcune pagine di Santa Teresa d’Avila. Il peccato oscura la luce del castello, lo rende tenebroso. E quindi indurisce sempre di più l’uomo nel suo male, nel suo peccato.

Il disubbidiente si ritrova a questo punto così prigioniero e invischiato per sua stessa opera, che non può più udire la parola.

Capite, è talmente prigioniero, sempre più prigioniero e sempre più invischiato dentro a questa opera d’inganno, di falsità, di grazia a buon mercato, che a un certo punto non riesce più neanche a sentire la parola di Dio.

A questo punto in effetti non è più possibile credere. Allora il dialogo fra questa persona indurita e il responsabile della cura pastorale assumerà più o meno la forma seguente: «Non sono più capace di credere» — «Presta ascolto alla parola, essa viene annunciata per te!» — «La ascolto, ma non mi dice niente, per me è vuota, non mi coinvolge» — «Tu non vuoi prestare ascolto» — «Non è vero, lo voglio». A questo punto per lo più il dialogo pastorale s’interrompe, perché il responsabile della cura pastorale non sa più che pesci pigliare. Egli conosce solo una delle due proposizioni: solo chi crede ubbidisce. Con questa proposizione — che è sbagliata, perché è solo una delle due, capite? Siccome lui non crede, allora non può obbedire. Eh no! Prima deve obbedire, deve fare il passo fuori dalla barca; quindi, lì si crea la situazione per… L’abbiamo visto, no? — non è più capace di aiutare una persona indurita, perché questa appunto non ha né può avere tale fede.

Certo, perché se insisti sul discorso del credere per poter obbedire, non ne veniamo a capo più. Lui dice: “Sì, io ti voglio prestare ascolto”. Eh certo, ma qui il tema non è prestare ascolto. Perché questa parola ormai si è svuotata? Perché non ti coinvolge più? Perché hai scelto di rimanere nella tua disobbedienza e non vuoi fare il primo passo. Questo è il punto.

Mi fermo, perché questo discorso sulla cura pastorale va avanti ancora, ma qui già capite perché certi discorsi, come io diverse volte vi ho detto, sono assolutamente inutili, perché partono da premesse sbagliate, e quindi non porteranno a nulla.

Vi consiglio, riascoltiamo, rileggiamo questo testo di Bonhoeffer, perché guardate, veramente è di un’attualità incredibile e ci fa veramente tanto bene.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

Post Correlati