Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’abbandono del dogma della Comunione – L’abbandono dei Tabernacoli accompagnati, S. Manuel González pt.63
Mercoledì 22 maggio 2024 – S. Rita da Cascia
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.
VANGELO (Mc 9, 38-40)
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
Testo della meditazione
Scarica il testo della meditazione in formato PDF
Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a mercoledì 22 maggio 2024. Oggi festeggiamo santa Rita da Cascia, religiosa.
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal nono capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 38-40.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di san Manuel González. Siamo arrivati capitolo dodicesimo, pagina 127. Titolo di questo nuovo capitolo:
L’ABBANDONO DEL DOGMA DELLA COMUNIONE
Dichiaro nuovamente che non voglio spaventare o allontanare; quello che desidero è che ci si comunichi di più e meglio e che si senta più delicatamente accompagnato il Gesù della nostra Comunione. Riscontro due cause per l’abbandono di questa delicatezza nei Suoi confronti. Per eccesso: quello dei timorosi e diffidenti, che vedono la Comunione come un premio per chi è giusto. Questa paura allontana le Comunioni e impedisce e soffoca non pochi frutti di quelle ricevute. Per difetto: quello degli spregiudicati dalle sfumature le più disparate, — dai mercanti sacrileghi che la prendono come mercanzia con la quale si acquista denaro, buona apparenza, ecc., a quelli abitudinari che, senza rimorsi o patemi d’animo, combinano promiscuamente la loro vita e le loro azioni mondane, le loro mode e i loro divertimenti audaci, se non malvagi, con la ricezione quotidiana o frequente della Santa Comunione. Il giusto termine: la Comunione è un cibo che richiede, dalla nostra parte spirituale, uno stomaco pulito (status gratiae) e un po’ di appetito (recta et pia mens).
Allora, san Manuel ribadisce il suo desiderio, che emerge nuovamente e che sta alla base del perché ha scritto questo libro: “comunicarsi di più e meglio, e che Gesù si senta più delicatamente accompagnato, nella nostra Comunione”. Vedete? Molto bello, tutto veramente molto bello e molto vero; non dovremmo avere altro scopo nella vita.
Noi, nella vita, abbiamo tanti scopi, alle volte anche non riflessi, cioè che neanche quasi ci accorgiamo di averli. È come se andassimo in automatico; andiamo in automatico e neanche ci accorgiamo di avere questi scopi, e invece di fatto ci sono, e li dobbiamo valutare. Li dobbiamo valutare, pesare, discernere e forse capire che non sono all’altezza dell’unico vero scopo della nostra vita: comunicarci di più e meglio, e accompagnare, più delicatamente Gesù della nostra Comunione.
Perché del resto, pensate un po’, che cosa resterà della nostra vita? Provate a riflettere… Resteranno forse tutte le opere gloriose che noi abbiamo fatto? No. Sì, magari resterà qualcosa ma … al massimo, per quelli che l’hanno fatto meglio; diventeranno pezzi da museo, vabbè… ma dopo tre generazioni, il nome di chi l’ha fatto non dirà più neanche niente, cioè, le persone sapranno che l’ha fatto quel Tizio, quel Caio lì, ma…
Che cosa resterà della nostra vita? Tutte le nostre lotte di potere, la nostra ricchezza? No! Che cosa porteremo con noi nella bara? I nostri milioni, i nostri miliardi, cos’è che portiamo con noi? Cos’è che resta con noi? La gloria del mondo con la quale ci siamo ricoperti e per la quale siamo stati capaci, magari, di rinunciare a tutto o a tutti, o alle cose più importanti? Il successo? La carriera? La fama? La stima?
Non vi è mai capitato di vedere persone che, per tanti anni nella loro vita, sono state ampiamente onorate, stimate, che hanno avuto anche una vita di successo, una carriera brillante, che hanno avuto potere nella loro vita, a un certo punto… abbandonate e dimenticate, nel nulla, più nessuno che si cura di loro. Guardate, è una roba tristissima. Persone ridotte in uno stato di solitudine impressionante, di isolamento. Perché sapete, peraltro, chi ha vissuto in un certo modo, con una certa facilità, non è una persona che ha costruito rapporti veri, intensi e duraturi. Perché, sapete, per il potere bisogna essere disposti a sacrificare tutto e tutti, a partire da Dio, da sé stessi, dagli affetti più cari. Il potere, la gloria, la stima, la fama, il successo, il denaro, richiedono tutto, solo che poi in mano non ti rimane niente.
Ecco perché dico che, invece, quando nel nostro cuore c’è questa scelta di fare della Comunione con Gesù il centro della nostra vita, forse perderemo tutte le cose di cui vi ho parlato prima, però salveremo la più importante, di sicuro l’unica che ci sarà di conforto sul letto di morte, che ci sarà di conforto negli ultimi istanti della nostra vita. Perché il mondo, così come la carne, così come il diavolo, non danno nessuna compagnia e, dopo averti sedotto, ti abbandonano, lasciandoti morire nel modo peggiore possibile. Gesù non fa così; Gesù i suoi amici non li abbandona mai, anche quando sono in mezzo ai tormenti più crudeli. Lui è sempre lì.
San Manuel dice: “Riscontro due cause per l’abbandono di questa delicatezza nei confronti di Gesù”: una per eccesso, cioè quella dei timorosi e diffidenti, che vedono la Comunione come un premio che posso ricevere solo se sono una persona perfetta. Di fatto, questa causa per eccesso, fa cadere nella paura e allontana dalla Comunione e soffoca i frutti delle Comunioni ricevute. Poi c’è quella per difetto, che sono gli spregiudicati, gli abitudinari, che sono capaci di mettere insieme la Comunione con Gesù con una vita assolutamente dissonante da questa Comunione. Sono quelli che mercanteggiano la Comunione con il denaro e la buona apparenza e quant’altro.
E poi c’è «il giusto termine». Ecco, questa mi sembra molto bella. Il termine in questione non è il comunicarsi di frequente, perché lo posso fare anche se sono spregiudicato, abitudinario, cioè nella causa per difetto; quindi, non è il comunicarsi di più, ma è questa delicatezza che accompagna il rapporto con Gesù nella Comunione ciò che fa la differenza. In realtà, per poter avere questa “delicatezza” nei confronti di Gesù, san Manuel ci dice che bisogna intendere la Comunione come un cibo che richiede due caratteristiche, primo uno “stomaco pulito”, che vuol dire lo stato di grazia. Checché ne dicano, checché ne sentiamo, per avvicinarsi all’Eucarestia bisogna essere in grazia di Dio, punto. E io prego Dio — e voi pregatelo con me — che mi conservi sempre quella luce nella mente per dire, fino all’ultimo giorno della mia vita, questa verità, e non impazzire — dietro alle follie più assurde — affermando il contrario. Perché non si può affermare il contrario!
L’Eucarestia richiede lo stato di grazia: devo essere in grazia di Dio; che non vuol dire che devo essere perfetto, vuol dire che, se c’è qualcosa nella mia vita che ha offeso o offende mortalmente Dio, devo innanzitutto chiudere con quella realtà, rinnegarla e allontanarmi da quella realtà che è un’offesa mortale a Dio (il peccato mortale è questo).
Faccio un esempio: rubo; oggettivamente è un peccato mortale. Allora, tutto ciò che ho in casa di rubato, lo devo restituire; poi devo restituire anche quello che non ho in casa, che ho rubato e che posso quantificare — so che a quella persona ho rubato tot glielo devo ridare, devo riparare almeno ai danni causati, questo è segno di conversione — poi dare via (non nel senso non di vendere, ma proprio di buttare via) tutti gli strumenti necessari al furto — a scassinare, a derubare — tutto quello che ho usato fino adesso che mi serviva per poter mettere in pratica questo gravissimo peccato e, quindi, andare a chiedere perdono a Dio — questo è, di questo si tratta — con il proposito di non rubare più. Un proposito sincero: ho proprio fatto tutto in modo tale che, per quanto riguarda la mia volontà, io non voglio più rubare; queste sono le prove che non voglio più rubare e adesso chiedo il perdono al Signore per i furti che ho fatto.
Ecco, questo è lo stato di grazia, non che devo essere perfetto, ma che vivo e che sono davanti a Dio in uno stato di comunione con lui. E se c’è qualche peccato grave che ha rotto questa comunione — il peccato mortale, appunto — devo chiedere perdono e devo allontanarmi da questo peccato, da questa offesa mortale a Dio, la devo rinnegare, devo ripararla e non commetterla più. Devo mettere tutta la mia intenzionalità e volontà affinché non avvenga più di ricadere in questa cosa, almeno a livello intenzionale. Certo che, se vado a dire in confessionale: “Io ho rubato” e il sacerdote mi dice: “Sei pentito?” — “Ah sì, sì, sono pentito”, però in casa ho tutta la refurtiva, tutti gli strumenti per rubare e fuori mi aspetta il mio amico, il mio compagno con cui vado a rubare, perché, dopo un’ora, devo andare a rubare, scusate… ma che pentimento è? Questo non è un pentimento, questa è una presa in giro; non sono pentito, non ho messo in atto niente che dica il mio pentimento. Ma questo è evidente a chiunque.
Quindi, se io sono alcolizzato, il segno che voglio uscire dall’alcol, qual è? Che in casa mia non c’è più neanche una goccia di vino. Fine, buttato tutto, non c’è più niente, neanche la forma della bottiglia c’è, niente! Si comincia da lì. E, certamente, non è che io dico: “Adesso mi vado a confessare e dopo vado al bar”, eh no! Lo so bene che non lo posso fare, perché mi vado a mettere in una condizione molto prossima a peccare. È chiaro che, se vado al bar, anche banalmente a bere il caffè, entro e mi vedo lì tutti i bottiglioni di vino… te lo puoi bere anche a casa, il caffè; posso anche andare alla macchinetta. Evito tutte quelle condizioni, quelle situazioni che mi possono mettere in grave pericolo. Per chi non è alcolizzato, andare al bar a bere il caffè non comporta nessun problema, perché posso vedermi tutti i bottiglioni di whisky, cosa mi interessa? Ma se io so che ho avuto questo problema, forse almeno per l’inizio è meglio evitarlo. E questo criterio lo potete prendere ed applicare su tutti i peccati. “Ah, ma allora questo vuol dire che non potrò più andare al bar a bere un caffè!” No, questo vuol dire che, almeno per l’inizio, dovrò stare molto attento ed evitare le occasioni che mi possono riportare a rientrare in quella condizione, è una questione proprio di logica, di onestà interiore.
Ci vuole questo stato di grazia, sennò è una presa in giro, e ci vuole «un po’ di appetito», cioè una mente “retta e pia”. Vi ricordate Dante? “o dignitosa coscienza e netta, come t’è picciol fallo amaro morso”; ci vuole una mente retta e una mente pia, devota. Questo è il modo giusto per poter fare una Comunione dove accompagniamo delicatamente il Signore, dove è accolto delicatamente da noi: status gratiae e recta et pia mens.
E allora vedete che la vita cambia; la vita cambia! Se noi ci accostiamo in questo modo — con questo criterio che ci ha insegnato san Manuel, ma che la Chiesa insegna da sempre — all’Eucarestia, la vita cambia, perché o lasciamo l’Eucarestia o lasciamo la vita sbagliata. Non si possono tenere insieme le due cose, perché insieme non ci vanno, in quanto l’Eucarestia non è un pane benedetto, in quanto l’Eucarestia non è un simbolo del Corpo e del Sangue di Cristo, in quanto l’Eucarestia non è un cibo e una bevanda “speciali”. No! L’Eucarestia è il Corpo dato e il Sangue sparso di nostro Signore Gesù Cristo sulla croce, punto; questo è, di questo si sta parlando. E, in quanto Corpo dato e in quanto Sangue sparso, è vero cibo e vera bevanda. Ma “in quanto sono il Corpo e il Sangue”, capite, è per questa ragione che diventano la vera bevanda e il vero cibo, perché sono il Corpo dato e il Sangue sparso. E noi dobbiamo sempre sottolineare questa profonda verità. Nell’Eucarestia io ho il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, presente veramente, realmente, sostanzialmente.
Io spero che a furia di ripetere, ripetere, ripetere, ripetere, ripetere all’infinito queste verità di fede, forse qualcosa resta, e mi auguro che qualcosa, quindi, cambi dentro di noi, per cui facciamo di tutto per accostarci all’Eucarestia in status gratiae e con recta et pia mens.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.