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Il gesto di S. Leonida – Pedagogia del dolore innocente, beato don Carlo Gnocchi pt. 5

Don Gnocchi Pedagogia del dolore innocente

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Il gesto di S. Leonida – Pedagogia del dolore innocente, beato don Carlo Gnocchi pt. 5
Sabato 15 giugno 2024

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mt 5, 33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a sabato 15 giugno 2024. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quinto capitolo del Vangelo di san Matteo, versetti 33-37.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro Pedagogia del dolore innocente del beato don Carlo Gnocchi.

Verità queste e dottrine troppo ardue e comunque riservate a pochissimi iniziati? No. Bisogna convincersi che nulla è più reale e più pratico di queste mistiche leggi della sofferenza.

Quante volte, al letto di un adulto sofferente, noi abbiamo detto una frase nella quale il nostro e il suo tormento hanno trovato ragione sufficiente di pacificazione: «Abbi pazienza, soffri per i tuoi peccati». E perché allora questa stessa parola ci è morta sulle labbra, anzi ci è sembrata vana e perfino offensiva dinanzi alla culla di un bimbo dolorante? Quali altre ragioni allora potevano valere per placare il suo ed il nostro dolore?

Non altre che quelle attinte alla concezione cristiana del dolore, note perfino al ladro crocifisso con Gesù sul Calvario, che invitava il compagno di supplizio a non voler insultare e deridere il Cristo perché «quello che avviene per noi — diceva — è giustizia e noi siamo trattati secondo le nostre opere: ma Lui invece non ha fatto nulla di male» (Luca, XXIII).

NASCE da tutto questo anzitutto l’eminente dignità del fanciullo sofferente.

Se il dolore, secondo il Vangelo, rivela la presenza di Cristo nell’uomo, in nessuno questa trasparenza si fa più chiara, evidente ed immediata come nel fanciullo. E per questo Gesù ha detto: «Tutto quello che avrete fatto ad uno di questi piccoli, l’avrete fatto a me» (Matteo, X, 42).

Pertanto la nostra attitudine interna ed esterna di fronte ad un bambino che soffre per invalidità, per deficienza, per mutilazione, per povertà, per malattia, per ignoranza, per abbandono e per qualsiasi altra causa, deve essere dominata anzitutto da un profondo senso di rispetto, di venerazione; direi quasi, di culto.

In ogni bimbo sofferente, noi dobbiamo vedere, non solo l’uomo precocemente chiamato a partecipare all’umana solidarietà nel dolore, secondo la funesta legge di Adamo, ma un piccolo agnello che purifica e redime, secondo l’amorosa legge di Cristo, un «vivente sacrificio dell’umanità innocente per l’umanità peccatrice».

Di più. Noi dobbiamo vedere non soltanto un piccolo umano redentore con Cristo ed in Cristo, ma un intercessore ed un mediatore di grazia, in forza dell’irresistibile potenza di placazione e di impetrazione che il dolore innocente ha sul Cuore di Dio.

Don Carlo Gnocchi ci dice che, se pensiamo a noi, possiamo dire che quello che accade in noi come sofferenza è a motivo delle nostre opere, come dice il buon ladrone, cioè che noi siamo trattati secondo le nostre opere; per il fanciullo, ovviamente, il discorso è un po’ diverso.

Quindi, da tutto questo discorso fatto fin qui, don Carlo ci dice che nasce «l’eminente dignità del fanciullo sofferente», proprio perché è innocente e aggiunge che il dolore nel fanciullo, nell’innocente, rivela in modo speciale la presenza di Gesù nell’uomo.

Quindi don Carlo afferma che di fronte a un bambino che soffre per qualunque ragione, ci vuole un senso profondo di rispetto, di venerazione, lui dice “quasi di culto”; e, in ogni innocente e sofferente, noi vediamo non solo l’uomo che partecipa l’umana solidarietà nel dolore, secondo la legge di Adamo, ma vediamo soprattutto un piccolo agnello che purifica e redime, secondo la legge di Gesù, quindi un «vivente sacrificio dell’umanità innocente per l’umanità peccatrice», (discorso di Pio XII ai Mutilatini, 27 agosto 1953).

Quindi, quando noi diciamo: “Ma io che male ho fatto per soffrire così tanto?” o quando diciamo: “Quella persona lì che male ha fatto? È una persona buona”, possiamo dire che è: «un vivente sacrificio dell’umanità innocente per l’umanità peccatrice»; ha questo valore di purificazione e di redenzione. E don Carlo dice che, oltre a vedere un piccolo umano redentore con Gesù in Gesù, vediamo anche un intercessore, un mediatore di grazia, «in forza dell’irresistibile potenza di placazione e di impetrazione che il dolore innocente ha sul Cuore di Dio».

Ecco, io direi: proviamo ad entrare proprio in questa logica, che credo ci faccia molto bene; cambiare il modo di leggere anche il dolore, anche le persone che soffrono. 

Don Carlo prosegue:

Non a caso infatti alcune religioni antiche, per assurdo e per la profonda intuizione di questa legge arcana, ricorrevano al sacrificio delle vergini e dei fanciulli per placare la divinità nei momenti supremi o per implorare le difficili grazie.

Ogni bimbo che soffre è dunque come una piccola reliquia preziosa della redenzione cristiana, che si attua e si rinnova nel tempo, ad espiazione dei peccati di tutti i giorni, degna di essere onorata e quasi venerata, così come faceva San Leonida martire, chinandosi ogni mattino a baciare il cuore del suo piccino, per riconoscervi ed adorarvi la Trinità presente ed operante.

Bellissimo! Ecco, che san Leonida martire facesse questa cosa non lo sapevo. Bello anche il vedere il bimbo, soprattutto il bimbo sofferente, come una piccola reliquia preziosa. Io vado oltre e dico: sì, il bambino sofferente, certamente, ma anche l’innocente, che può essere una persona di novant’anni, che non è più un bambino, però se è innocente, se è una persona buona, è uguale, è anche lui «una piccola reliquia preziosa della redenzione cristiana».

Pensate quante persone che sono innocenti e vengono ingiustamente perseguitate ancora oggi, quanti confessori della fede ci sono nei paesi più lontani da noi, ma pur sempre tanti cristiani, che vengono incarcerati, perseguitati, esiliati, torturati, maltrattati; questi sono innocenti, innocenti che sono loro stessi «una piccola reliquia preziosa della redenzione cristiana».

Non ci avevo mai pensato a questo gesto di san Leonida martire di «baciare il cuore del suo piccino, per riconoscervi ed adorarvi la Trinità presente ed operante». 

Se poi pensiamo a un adulto che ha fatto la Comunione, lì baciamo non solo la Trinità, il tempio della Trinità, ma addirittura il fatto che lì c’è stata – e speriamo che quella persona l’abbia coltivata il più possibile – la presenza reale di Gesù con l’Eucarestia, quindi il Tabernacolo vivente – tutto il discorso fatto del Tabernacolo vivente.

Bene, allora, incamminiamoci su questa strada.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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