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La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 60

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di una meditazione sul testo “La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia” di S. Pietro Giuliano Eymard di domenica 31 luglio 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 12, 13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”. Ma egli rispose: “O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?”.
E disse loro: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede”.
Poi disse loro una parabola: “La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

La perfezione religiosa alla luce della SS. Eucarestia, di S. Pietro Giuliano Eymard. Parte 60

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 31 luglio 2022.

Festeggiamo quest’oggi Sant’Ignazio di Loyola, Sacerdote.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo XII di San Luca, versetti 13-21.

Concludiamo quest’oggi questo importante mese di luglio e proseguiamo la meditazione del libro di San Pietro Giuliano Eymard: “LA PERFEZIONE RELIGIOSA ALLA LUCE DELL’EUCARISTIA”; stiamo affrontando il tema della semplicità.

Scrive San Pietro Giuliano Eymard:

“È cosa provata dall’esperienza, che Iddio non benedice mai un religioso il quale non cammina con semplicità dinanzi al suo Superiore. E quanto il Superiore è in minor grado, quanto meno è dotto o distinto per le sue qualità naturali, tanto più è grande l’offesa, e sarà più terribile la vendetta, perché Dio protegge maggiormente i deboli”.

Queste espressioni, che a qualcuno di noi potrebbero risultare un po’ di difficile comprensione, consiglio di leggerle in quest’ottica: siamo tutti chiamati ad avere sulla vita che facciamo, qualunque essa sia, uno sguardo soprannaturale; cioè, non limitiamoci a ciò che vediamo, non limitiamoci a ciò che appare, non limitiamo i nostri giudizi, valutazioni, il nostro dare senso, a quello che cade sotto i nostri occhi, e non crediamo che Dio non sia dietro a tutto ciò che in ogni giornata ci viene incontro.

Per Dio, tutto ha senso!

Quindi, se io ho un papà o una mamma (oggi magari questo è difficilissimo, ma nei tempi passati era molto possibile), che sono analfabeti, e io invece sono laureato in medicina, questo non mi autorizza a non prestare il dovuto rispetto, la dovuta obbedienza.

Anzi, dice il nostro Santo, “quanto meno è dotto e distinto per le sue qualità naturali, tanto più è grande l’offesa”, perché Dio difende i deboli, quindi stiamo attenti. Stiamo attenti a non prevaricare sugli altri solo e in funzione del fatto che hanno meno cultura, che hanno meno disponibilità economica, e via di seguito.

Purtroppo, succede, … capita sentire pronunciare frasi come: «Tu non capisci niente… Tu cosa parli a fare, che non sai?»

Mi ricordo che una volta ebbi un confronto (io pensavo che fosse un confronto, in realtà poi fu ben altro, comunque…) su una congiunzione, con un mio compagno di studi di una disciplina diversa dalla mia, anche lui un dottorando. Abbiamo avuto una discussione su una congiunzione presente in un testo giuridico (perché, sapete, anche le congiunzioni hanno un grande valore), e quindi, insomma, abbiamo avuto questo momento in cui ci siamo parlati: io sostenevo la mia tesi, lui sosteneva la sua… va bene.

La discussione era sulla lingua italiana, non tanto sulla specificità della disciplina. La disciplina era la sua, non era la mia disciplina di studio, però l’Italiano è una lingua comune per tutti.

Quindi, io dicevo: «Non entro nella tua disciplina, perché non ho competenze; mi limito solamente a dirti quello che a me sembra essere nella lingua italiana».

Prima di parlare sono andato alle fonti, ho preso il dizionario e sono andato su Internet a vedere cosa diceval’Accademia della Crusca su questa cosa, poi ho portato le mie fonti e ho detto: «Guarda, il dizionario dice così, la Crusca dice così, quindi sono tutte cose molto autorevoli».

Questo mio compagno di studi mi dice: «Ma tu cosa ne vuoi sapere? Prima ottieni la licenza (che è il grado di studio subito sotto il dottorato) in questa disciplina, poi potrai venirmi a parlare e a dire queste cose».

Io dico: «Sì, ma non c’entra niente avere la licenza, non è che uno può parlare di una disciplina solamente quando è superdottore. Io non sono entrato nella tua disciplina, semplicemente mi sono permesso di dire che quella congiunzione, in italiano, vuol dire questa cosa».

Allora, mi guarda e mi dice: «È inutile parlare con gli ignoranti! È inutile parlare con quelli che non vogliono capire».

Ecco, io credo che non dobbiamo mai usare il nostro sapere per sentirci di più degli altri, ed è quello che vuol dire San Pietro Giuliano Eymard.

Guardate, questa cosa che lui ha fatto è una cosa che, purtroppo, è facile da fare per tutti noi. Lui non è cattivo o più cattivo di altri, o di me semplicemente perché è stato lui a dire quella frase e non io. Uno può non dirla ma pensarla, uno può dirla alle spalle, uno può andare in giro pensando di essere il guru della teologgggia (con quattro “g”), … però non è la via, capite?

Se vogliamo la benedizione del Signore dobbiamo sempre mantenerci in questo stato di umiltà e di semplicità, e se ho davanti un collega, un confratello, il papà, la mamma, che non sanno niente di queste cose, questo non vuol dire che sono meno mamma e meno papà, o meno Superiore.

La mia mamma, quando è venuta ad assistere al mio Baccalaureato in Teologia (che è il primo grado dei nostri studi), quando è finito tutto e siamo usciti, si è avvicinata insieme ad altre persone che erano lì e ha detto: «Io non ho capito niente di tutto quello che avete detto, ma che parole difficili che usate! Non potete usare delle parole più facili?»

Ho detto: «Eh mamma, è così che funziona».

«Beh, io non ho capito niente».

E mentre tutti si congratulavano, mi facevano i complimenti (sapete, le solite cose di rito che si fanno), lei davanti a tutti ha detto: «Beh, avrai anche conseguito questo titolo di studio, ma ricordati che io sono sempre la tua mamma!»

È vero, no?

Qualunque sia la  cultura, la preparazione, di un Superiore, della mamma, del papà, questa non può assolutamente incidere sulla nostra obbedienza, anzi, più loro sono deboli, e più Dio ne prende la difesa… stiamo attenti!

“III. – Siate semplici tra voi fratelli e con voi medesimi. La carità proviene dalla verità; …”

Non dimentichiamolo mai: “La carità proviene dalla verità”.

“… non mentite mai neppur per ridere: ricordatevi che Nostro Signore ha in orrore la menzogna e la finzione”.

Noi abbiamo un po’ questa abitudine di dire qualche bugia, magari anche per scherzare, per giocare, ma non va fatto, dobbiamo imparare a non fare questa cosa. Sempre e solo la verità, anche per scherzare.

“Amatevi e rispettatevi come fratelli. La critica del prossimo non abbia mai luogo nelle vostre conversazioni; non abbiate occhi i quali non veggono che i difetti, abbiate occhi semplici: spetta a Dio e al Superiore vedere i difetti e discernere i caproni dalle pecore. Sempre semplici tra di voi, dicendo con semplicità quel che pensate, alla presenza di tutti, senza far partiti o camarille; …”

Mi piacciono queste espressioni di un tempo… «le camarille».

Le camarille sarebbero le cricche, questi gruppuscoli che si mettono insieme per interessi particolari, o per influenzare le azioni di personaggi più grandi o più potenti.

Ecco, al posto di dire “cricche”, che in effetti è anche brutta come parola, non mi piace, possiamo usare “camarille”, che è più fine, più bella.

Quindi, “senza far partiti o camarille”.

Quando vediamo certi gruppuscoli, che si mettono lì a spettegolare, potremmo andare lì e dire: «State facendo camarille?»

Loro ci guarderanno e ci diranno: «Cosa?!»

«Eeeh… non avete studiato San Pietro Giuliano Eymard!».

 “… la semplicità della colomba è il vincolo della pace”.

Quindi, se vogliamo la pace, dobbiamo usare bene la lingua, che vuol dire mai criticare nessuno.

Ci sono persone che non sono capaci di parlare senza dileggiare qualcun altro, ci sono persone che non sono mai capaci di dire qualcosa di bene sugli altri, mai. Per affermare se stesse, devono schiacciare le altre persone. È una cosa bruttissima!

Ci sono persone per le quali tutti gli altri sono degli incapaci, non c’è nessuno bravo, intelligente, devoto, come loro, sanno solamente vedere i difetti; ogni persona si può dire che è catalogata per i suoi difetti: «Questo è così, questo è cosà, questo è quell’altro…». Poi, quando sono davanti a tutti, e soprattutto davanti all’interessato, non sanno dire una parola di critica, di confronto, di disappunto; no, quando sono davanti a tutti, fanno solo sorrisini e tutto va bene. Quando poi si riuniscono nelle loro camarille, allora lì, avanti…

Ed è per questo che non c’è pace, perché non abbiamo la semplicità della colomba.

Noi dobbiamo imparare a dire quello che pensiamo davanti alle persone, non dietro, non nascostamente, non ad altri, ma davanti.

“Fo eccezione per le relazioni con gli estranei; …”

Sentite che cosa importante dice, anche (e mi verrebbe da dire “soprattutto”), per le nostre famiglie.

 “… là ci vuole la prudenza del serpente. Non dite mai agli estranei gli affari della casa: è un perturbatore colui che racconta a tutti i secreti della famiglia. Ci vuole discrezione: non si può mettere allo scoperto l’autorità, e l’indiscrezione è imperdonabile; …”

Tutti conosciamo questo termine “indiscrezione”, però sono andato sul Vocabolario Treccani e ho voluto guardare bene cosa vuol dire la parola “indiscrezione”. Mi è piaciuto molto. Indiscrezione innanzitutto vuol dire “mancanza di discernimento”… molto bello. L’indiscreto è colui che non sa discernere.

Ecco perché San Pietro Giuliano Eymard scrive: “L’indiscrezione è imperdonabile”.

Cioè, se tu sei papà, se tu sei mamma, se tu sei Superiore, se tu hai un ruolo, non puoi avere l’incapacità di discernere, se no vuol dire che non sei all’altezza, vuol dire che non sei discreto.

Poi, vuol dire “mancanza del senso della misura e della convenienza”.

Quindi, dovrei chiedermi: «Questa cosa che voglio dire, che voglio fare, è conveniente?». Se sì, a chi e per che cosa; se no, sto zitto.

«Conviene che io la dica?». No, forse no. Ecco, allora taci!

L’indiscreto è colui che è incapace di mantenere un segreto, è colui che rivela notizie riservate.

Vedete come la parola “indiscrezione” è ricca eh…

Perché uno non sa essere discreto? Qual è la radice dell’indiscrezione?

Ecco, San Pietro Giuliano Eymard ce la dice:

“… chi non sa essere discreto è un vanitoso, a cui si fa dire il secreto adulandolo”.

È la vanità la radice dell’indiscrezione.

Mettendolo al centro, facendogli vedere che siamo interessati a lui, siccome è vanitoso, allora questo comincia a parlare e non finisce più, non gli sembra vero di essere messo al centro dell’attenzione.

Quindi, agli estranei non si dicono mai gli affari della propria famiglia, devono rimanere in famiglia.

È un perturbatore, è uno che scompiglia, è uno che porta via la pace, colui che racconta i segreti di una famiglia, le cose intime di una famiglia, così come le cose della vita di convento, le cose della vita di un Sacerdote.

Non bisogna mai mettere allo scoperto l’autorità, già lo abbiamo visto ieri con Noè.

L’autorità va coperta.

Attenzione, questo non vuol dire che dobbiamo essere mafiosi eh, non vuol dire che dobbiamo coprire tutto il male che c’è. No, ovviamente no. Qui stiamo parlando dei difetti, delle cose piccole.

È chiaro che, se io uccido una persona e tu lo sai, non mi devi coprire.

Ovvio, no?

Io penso che voi siate intelligenti e capiate cosa vuol dire San Pietro Giuliano Eymard; cioè, non stiamo parlando dei crimini, stiamo parlando di quei difetti, di quei modi, di quelle piccole cose che, insomma, non è bene dire.

Così come, se in una famiglia si consuma una cosa terribile, un delitto, una violenza, un abuso, certo, non devo stare zitto e fare finta di niente, ci mancherebbe!

Qui stiamo parlando di segreti, in che senso? Nel senso delle nostre cose, le cose nostre intime; non bisogna permettere a chi non è della famiglia di mettere il naso dentro il ménage familiare, non va bene… non va bene. Dobbiamo essere molto discreti, dobbiamo sempre proteggere l’autorità del papà, della mamma. Non c’è niente di edificante nel denigrare, nell’evidenziare un limite, un difetto; no, non si cresce, non cresce nessuno.

Stiamo quindi attenti alla nostra vanità, molto attenti.

“Ascoltate, parlate poco, edificate all’esterno col vostro silenzio”.

E io aggiungo: finiamola di fare i crocerossini, finiamola di dover salvare il mondo e di dover fare i giustizieri della notte, stiamo al nostro posto!

Quante volte ricevo e-mail, messaggi e telefonate, in cui mi dicono: «Allora, adesso prendo, vado, scrivo e chiamo… Vado dal Vescovo, dico questa cosa… Poi vado da quell’altro, poi devo andare a dire a quella persona questa cosa, allora adesso devo…»

Ma impariamo a stare fermi, impariamo a stare al nostro posto, impariamo a pregare, impariamo ad essere preparati nella nostra fede e nelle nostre cose, non sempre a dover rincorrere col cerotto i pasticci che facciamo. Dopo, sempre dopo.

Edifichiamo gli altri col silenzio… col silenzio, non facciamo come se noi avessimo la sfera magica dove vediamo tutta la verità del mondo!

Stiamo fermi!

A noi quella cosa sembra così? Va bene, affidiamola al Signore, supplichiamo il Signore di illuminare, non inventiamoci giustizieri.

Mi fanno ridere quelli che mi scrivono e dicono: «Padre, ho avuto questa discussione con Tizio e Caio, ad un certo punto non sapevo più cosa dire, mi può dare in tre parole una  carta vincente da giocare?»

Non so, vi faccio un esempio. Uno mi scrive, per messaggio, su WhatsApp: «Ho avuto una discussione con un mio amico sulla Trinità: tre Persone, un solo Dio. Ad un certo punto non sapevo più cosa dire. Mi può dire in tre parole che cosa posso rispondere sulla Santissima Trinità?»

No, scusa un momento, non l’ha capita Sant’Agostino e tu la vuoi capire con un SMS? Ma vi rendete conto di dove siamo? A quale livello di banalità siamo arrivati? Come si fa a dire: «Mi spieghi la Santissima Trinità con un WhatsApp»? Ma stai scherzando?!

Vai a prendere il De Trinitate e te lo leggi, poi vediamo se tu lo riesci a riassumere in un WhatsApp!

È tutto a basso costo, tutto a fatica zero, tutto… come se le persone che abbiamo accanto fossero ad uso e consumo.

«Mi dica… Mi faccia… Mi indichi…»

Calma eh!  Calma. Impariamo a fare anche noi le nostre ricerche!

Non è che io o chi altro le cose le abbiamo studiate sulla luna, non è che sono scritte in sanscrito, no? Quindi, vai a prendere il tuo Catechismo, vai a prendere i tuoi libri e li studi come hanno fatto tutti gli altri.

Vai a prendere il tuo Catechismo, che magari non hai mai letto interamente nella tua vita, e lo potresti incominciare a leggere; potresti incominciare a leggere tutto il commento al Credo, tutto il commento ai Sacramenti, e avanti di seguito. E magari vedresti che tanti dei tuoi dubbi si sciolgono come neve al sole. Non è una scienza occulta, misteri riservati a pochi, no, no, è lì scritta nero su bianco per tutti.  

“Siate; garbati e civili; siate nobili nella vostra condotta, — bello, no? — come siete di condizione nobile per la vostra vocazione; con le vostre maniere onorate e fate onorare il vostro carattere, senza affettazione né sdolcinatezza, ma con la vera carità soprannaturale da cui proviene l’urbanità e la cortesia delle relazioni”.

È molto bella questa gentilezza, che non è affettazione, questa carità, che non è “buonismo senza limitismo”, ma è una carità soprannaturale, dove c’è questa cortesia, questa urbanità, questa capacità di vivere socialmente, per la quale, all’imbianchino o all’idraulico, che ci viene in casa e che non abbiamo mai visto in casa nostra, non diciamo: «Ciao, benvenuto».

 “Ciao” lo dici a tuo figlio, lo dici a tua moglie, lo dici al tuo amico con cui vai a giocare a cricket, non lo dici all’imbianchino che entra per la prima volta in casa tua, fosse anche di vent’anni più giovane di te.

Non lo dici, perché non è un comportamento cortese, non è bello.

Uno dice: «No, ma io lo faccio…»

No, no, non è bello; questo appiattimento di tutte le relazioni non è una bella cosa, per niente!

Dobbiamo imparare questa cortesia, questo sano rispetto degli altri e della loro autorità, e della loro distanza anche, perché con quell’imbianchino non sono mai uscito a cena. Non siamo andati ieri sera a mangiare insieme il Sushi e stamattina mi viene a mettere a posto la casa. Capite?

“Siate umili e dolci con tutti, e lasciate dire il mondo se non vi trova abbastanza amabili. Cercate voi altra cosa che il buon Dio? Che v’importa il resto? […]”

Quindi, lui dice di essere dolci e umili; se il mondo dice: «Eh no, questo non è abbastanza buonista come siamo tutti», pazienza!

Lui dice: «Lasciate che il mondo dica quel che ha voglia. Quello che conta è ciò che pensa il buon Dio, ciò che valuta il buon Dio».

Abbiamo finito questo tema della semplicità… bellissimo, avete visto?

Domani è il 1° agosto, e innanzitutto comincio col fare gli auguri a tutti coloro che si stanno per mettere in viaggio, che stanno per partire per fare un tempo di riposo e di vacanza.

Io vi auguro, di cuore, di fare i giorni che avete veramente di riposo, che non è ozio eh (mi raccomando non vivete nell’ozio!), ma è riposo.

Riposo vuol dire dedicarsi a qualche sana lettura, dedicarsi a qualche bella passeggiata, dedicarsi di più alle relazioni, insomma, un tempo bello, non di eccessi, ma un tempo proprio di concentrazione maggiore per rientrare in se stessi ancora di più… e di preghiera… e di preghiera…

E per chi non parte, ma resta a casa, è la stessa cosa.

Che siamo giorni, questi di agosto, proprio di recupero di forze, di riflessioni sull’anno passato, di propositi per il futuro.

Da settembre, poi, ricomincia tutto, no?

Da domani inizierò un’istruzione, una meditazione che fa San Pietro Giuliano Eymard, abbastanza lunga, presente in questo libro, su un argomento importantissimo.

Voi direte: «Sì, Padre, ce lo ha detto sempre che sono importanti».

Avete ragione, ma questo, mi vien da dire, lo è di più di tutti quelli che abbiamo fatto fino adesso. Domani tratteremo questo tema, si intitola così: “Della serietà della vita”.

Guardate, io di libri ne ho letti un po’ e anche di scritti dei Santi ne ho letti e meditati un po’, ma una riflessione sulla serietà della vita, bella come questa di San Pietro Giuliano Eymard, io non ne ho trovata fino adesso.

È la prima volta che vedo un Santo, che leggo di un Santo, che tratta della serietà della vita in un modo così specifico, così profondo e così bello.

Guardate, è una meditazione veramente meravigliosa, utilissima… utilissima! Vedrete, già fin dalle prime battute, quanta saggezza, sapienza, utilità ne ricaverete. Io, vi dico, ne ho ricavata veramente tantissima e continuo a ricavarne tanta, ogni volta che lo rileggo.

La serietà della vita… Dobbiamo pregare veramente, oggi, la Vergine Maria, affinché ci prepari il cuore, ci invii lo Spirito Santo, a me per poter parlare decentemente di questa cosa e poterla commentare, e a tutti noi per preparare il cuore ad accogliere queste parole.

Veramente, vedrete questa istruzione quanto ci farà bene.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

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