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Amare come Gesù Cristo: Carità e Verità

Veritas Caritas

Omelia

Pubblichiamo l’audio di un’omelia sulle letture di domenica 24 aprile 2016 (S. Messa del giorno).

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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Testo della meditazione

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Amare come Gesù Cristo: Carità e Verità

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia lodato!

«Vi do un comandamento nuovo…»

Ormai mancava molto poco alla morte in croce di Gesù, mancava pochissimo, e Gesù consegna nel Cenacolo questo Comandamento nuovo, che viene a completare i Dieci Comandamenti scritti da Dio con il Suo Dito nella roccia sul Monte Sinai: «Amatevi gli uni gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi, gli uni gli altri».

La prima cosa da dire è che, se noi dobbiamo amarci, come Dio, come Gesù ha amato noi, allora vuol dire che dobbiamo amarci nella verità. Gesù ci ha amati nella verità e non è possibile nessun amore se non è nella verità. Prima bisogna fare verità, poi c’è la carità; se non c’è verità, non può esserci carità, la carità esige, di necessità intrinseca, l’esistenza della verità.

Una carità senza verità è pura filantropia, non ha niente a che vedere con la carità di Dio; una verità senza carità è spietatezza, è crudeltà, devono stare unite. Come dice San Paolo: «Fare carità nella verità». Le due realtà devono stare sempre insieme, non dobbiamo cedere alla tentazione (che ci porta a fare molte ingiustizie e molti sbagli) di vivere una presunta carità, che lasci da parte la verità, che faccia finta che la verità non c’è, che rinneghi o non ascolti le esigenze più profonde della verità. Per vivere di carità, dobbiamo guardare a quelle esigenze e prima esaudire quelle, prima dobbiamo rispondere alle esigenze della verità, e di conseguenza vivere la carità.

Purtroppo, non sono in molti ad essere innamorati della verità, si parla tanto di carità, ma non tanto di verità. Sulla verità si dice: «Ma sì, vabbè…fa niente, non è necessario dire esattamente come stanno le cose», salvo poi dirle nei luoghi maledetti della mormorazione (lì si dicono), della calunnia, della diffamazione, del parlare alle spalle.

Pensate che San Tommaso d’Aquino scrive che è peccato se io ho un confratello (sono un frate e faccio l’esempio del frate), che fa qualcosa che a mio giudizio non è corretto, e io prendo e vado dal Superiore e dico qualcosa contro di lui, senza prima essere andato da lui. Tommaso d’Aquino non ha inventato niente, l’ha detto Gesù nel Vangelo. Prima tu devi andare dal fratello, parlare con il fratello, se poi il fratello non ti ascolterà, prendi due testimoni, se non ascolterà neanche i due testimoni, allora davanti a tutta l’assemblea, se non ti ascolterà neanche davanti all’assemblea, allora sia fuori. Capite che procedimento? Capite che attenzione?

Questa è la verità nella carità!

Noi invece cosa facciamo?

Quando vediamo qualcosa che non va (da persone che non hanno capito niente), siccome dentro abbiamo l’amor proprio (mentre fare la carità vuol dire essere molto umili, solo chi è profondamente umile e distaccato da sé e dal giudizio degli altri può vivere nella verità), allora cosa facciamo?

Dato che non vogliamo perdere la faccia, non vogliamo rischiare il nostro onore, non vogliamo avere tensioni, non vogliamo rischiare che ci risponda male o chissà cos’altro, oppure abbiamo paura del suo ruolo o non so che roba, andiamo da chi gli sta sopra e parliamo male di lui o di lei. Questo è un peccato contro la carità!

«Ah…ma io ho detto una cosa vera».

Sì, ma l’hai detta alla persona sbagliata, perché tu prima devi andare a dirlo a quella persona lì. Vedete come è difficile essere nella carità, perché è difficile vivere la verità!

È difficile seguire l’ordine della verità. Tu devi andare e parlare con la persona, pregandoci prima, chiedendo al Signore la luce, pregando per tutti e due, invocando lo Spirito Santo, ma devi fare così, perché così dice Gesù nel Vangelo.

Prima c’è la verità, lei apre la strada, dilata il cuore, purifica la mente dal nostro amor proprio, dal nostro egoismo, dalla nostra codardia, allora ti introduce, pulito, nella carità, e a quel punto tu sei pronto per amare fino alla croce.

È questo il “come”, “come Io ho amato voi”, lo dice nel Cenacolo, cioè: «Adesso guardate come vi amo, vedete come vi sto amando…da qui a breve, vedrete esattamente il “come”, fino al crocifisso».

Amare gli altri ha delle cautele? Ci sono delle riserve?

Questo amore conosce dei momenti di sospensione, di dispensa, ad esempio: «Io amo tutti tranne che…»?

Allora, l’amare non ha nessuna dispensa, noi siamo chiamati ad amare tutti, ma come vi ho detto prima, nella verità. Siamo chiamati a perdonare, tutti, sempre.

Perdonare non vuol dire dimenticare, il perdono non vuol dire che io mi dimentico, no, no, la memoria ce l’ho, non sono stupido e mi ricordo; se mi hai fatto del male, mi ricordo che mi hai fatto del male, mi ricordo di te.

Il perdono cosa vuol dire?

Vuol dire che io non chiudo la porta del mio cuore verso di te, vuol dire che io non mi irrigidisco, non mi indurisco dentro; vuol dire che io non entro nel disprezzo, nell’acidità, nella cattiveria verso di te; dico le cose che devo dire, libero, aperto all’incontro, al dialogo, al confronto.

La cosa più brutta che può capitare, soprattutto ad un Sacerdote in confessionale, è sentirsi dire: «Ah no, io con quello o con quella non voglio avere niente a che fare, io non ci voglio parlare. Ah no, me l’ha fatta troppo grossa, basta»; tu non puoi fare la Comunione, punto. Semplice, fino a quando tu sei così, non ti puoi accostare all’Eucarestia, perché quello è il Corpo dato, il Sangue sparso di Gesù Cristo per noi che lo abbiamo ammazzato, per i peccatori!

Come faccio a nutrirmi del Corpo di Gesù, se io nel cuore ho dentro il diavolo?

Che senso ha?

Se io coltivo sentimenti di rancore, di rabbia, di odio, di chiusura, verso chiunque e per qualsiasi ragione, non mi posso accostare all’Eucarestia, ma non mi posso neanche confessare!

Come faccio a chiedere perdono a Dio, se di quella cosa lì io non sono pentito, se io non la rinnego?

Guardate che ci sono rancori che vanno avanti anni, e anni, e anni, e anni…e si muore con la bava alla bocca, si muore con il cuore chiuso verso le persone, come si fa ad accostarsi all’Eucarestia così? Come si fa a pregare Dio così? Come si fa a pregare Gesù che è morto in croce per i Suoi uccisori, Gesù che è morto dicendo: «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno»? Ma come facciamo poi ad accostarci al Signore?

«Ma mi ha fatto… Ma mi ha detto…»

Qualunque cosa abbia fatto o abbia detto, tu il cuore non lo puoi chiudere, lo devi lasciare aperto! La Scrittura dice che, se tu incontri l’asilo del tuo nemico e vedi che è schiacciato sotto il peso del carro, tu lo devi aiutare, lo devi sostenere. Non possiamo abbandonare il nemico al suo male, il nostro cuore deve essere sempre aperto.

Ci sono invece tante di quelle ritorsioni, di quei risentimenti, di quelle antipatie, di quelle chiusure, di quei musi, di quelle superbie…perché tutta questa roba qua vien fuori dalla superbia, dal fatto che, tu o io, ci sentiamo di più dell’altro, ci sentiamo di essere chissà chi.

Ma mettiti con umiltà ad ascoltare! Di’ la verità!

Parla con chiarezza! Di’ quello che pensi!

Ci sono persone che non dicono mia quello che pensano davanti, poi dietro sono lebbrose, come dice Gesù a Santa Faustina Kowalska; dietro, di tutto di più, ma davanti, col collo un po’ storto da devoto e la vocina mielosa: «Buongiorno… Buonasera…» e basta.

Ma parla chiaro!

Ma diciamo chiaro quello che pensiamo!

Abbiamo il coraggio delle nostre idee!

Il Cardinal Scola, nel Consiglio presbiterale, a noi Sacerdoti dice sempre: «Siate chiari! Siate veri! Siate trasparenti! Dite bene quello che pensate! Non abbiate paura!»

Sapete, davanti ad un Cardinale, magari uno si fa un po’ di remore, invece no, lui dice: «Parlate chiaro! Dite bene quello che pensate, perché se no come si fa a crescere insieme?», ed è bello vedere i Sacerdoti che dicono cose che magari sono contrarie al suo pensiero, a quello che lui ha detto, ma in un clima di confronto, se no non cresciamo più.

Allora, in questo modo, è possibile la carità; dentro a questa meravigliosa celletta d’alveare è possibile la carità, perché poi si cresce, perché io non ho tutta la verità in tasca, tu non hai tutta la verità in tasca…bene, allora ci mettiamo lì e ci confrontiamo, tu mi dici qual è quella cosa che di me non va.

Magari mi dici: «Guardi, Padre, io vedo che le spuntano le corna, lei non lo sa ma io lo vedo».

Bene, allora parliamo di queste corna che mi spuntano, vediamo un po’ se si possono limare, se ci sono veramente, se magari non ci sono, se sono solo nella tua testa, se invece ci sono e non le vedo; ma questo è possibile solo dentro a questo rapporto, che dobbiamo imparare ad avere con tutti, tutti: con lo spazzino, con la signora che attacca le tende, col professore, col datore di lavoro o con non so chi, con tutti, perché, vedete, la trasparenza è sempre apprezzata.

Quando noi abbiamo davanti una persona chiara, vera, anche se non siamo del suo parere, tutti l’apprezziamo, tutti apprezzano una persona così, perché dicono: «Quello dice quello che pensa, quello è vero»; a tutti fa piacere avere a che fare con persone così, dobbiamo imparare tutti ad essere così, i Santi erano così, verissimi.

Vorrei concludere dicendovi che, per amore della verità, bisogna essere disposti a rinunciare ai benefici della carità, perché la carità porta dei benefici.

Vivere nell’amore, vivere nell’armonia fa stare bene, è una grande terapia psicologica, psicosomatica, psichiatrica, antropologica, sociologica, teologica, tutto; quando tu vivi nella comunione, quando tu vivi accanto a persone che ti vogliono bene e a cui tu vuoi bene, nella diversità, perché non siamo dei cloni, tu vivi bene e dici: «Che bello!»

Ecco perché Gesù dice che ci riconosceranno da questo, perché gli altri, vedendo che ci vogliamo bene, dicono: «Guarda, come mai questi qua si vogliono così bene? Come mai? Si tirano magari qualche schiaffotto, magari hanno dei momenti di frizione, qualche scintilla salta, però sono sempre insieme! Con tutta la fatica del caso, con tutti gli spintoni del caso, però la ruota gira e vanno avanti. Che bello…non c’è disistima, non c’è quello sguardo ringhioso, non c’è un parlar male, non li senti parlar male uno dell’altro. Si picchiano magari dentro, però poi vanno avanti».

«Da questo», dice Gesù, «riconosceranno che siete miei amici».

Per questo, però, bisogna essere disposti a perdere i vantaggi della carità.

Preparando questa omelia, ho pensato di concludere dicendovi una cosa che è successa a me quando ero giovanotto, che mi ha segnato molto, però è stata una grande scuola di vita.

Appena diventato frate, dopo poco, mi hanno mandato a studiare a Dublino l’inglese per un mese, ero poco più che ventenne. Quindi io parto con tutte le mie valigine e vado in questo convento dove c’erano anche altre persone; c’era anche un Sacerdote, che non c’entrava niente con i Carmelitani, però  era lì a studiare, poi, poco più avanti, c’era una casa occupata da dei seminaristi di Roma, anche loro lì per studiare l’inglese.

Insomma, sapete, appena arrivati, italiani (anche se qualcuno non era italiano ma parlava italiano), ci si unisce, ci si stringe, perché bisogna organizzare le lezioni, andare a scuola insieme, poi Dublino è molto bella, c’è tanto verde, si facevano le passeggiate nel parco, era bello, poi tra Sacerdoti, religiosi, consacrati ci si cerca, si sta vicino. Quindi, cominciamo ad andare a scuola insieme, a ridere e scherzare, era bello stare insieme.

Un giorno, pochi giorni dopo che ero lì, un pomeriggio, tornando dal College, salta su questo Sacerdote e dice: «Fra Giorgio, dato che tu sei appena arrivato, dai, stasera ti portiamo in un bel posto caratteristico di Dublino». Io ho detto: «Che bello! Ma che posto è?» E loro: «È una sorpresa, non te lo diciamo. Stasera tu vieni con noi dopo cena e andiamo».

Allora, vado dal Priore, glielo dico, poi partiamo ed andiamo. Mi fanno fare tutta una via, poi arriviamo. Mi dicono: «Ecco, a Dublino una cosa caratteristica è la birra, tu non puoi andare via da Dublino senza aver bevuto la birra».

Quindi, mi trovo davanti a questa birreria ed era la prima volta nella mia vita che andavo in una birreria, ma al momento non ho razionalizzato bene la cosa, io mi sono fidato; c’era lì lui, c’erano altri seminaristi, io mi sono fidato.

Siamo entrati, ci siamo seduti, e io ho avvertito un disagio interiormente al momento, ma sapete, non è facile ascoltare la propria coscienza. Abbiamo bevuto questa birra, poi io, ad un certo punto, ho detto: «Vabbè, buona, tutto bene, l’abbiamo bevuta, però adesso andiamo», ma loro: «Oh…ma dai, siamo appena arrivati, su!»

«Io vado perché è tardi, poi il Priore, se non mi vede tornare…»

«Ma vai da solo?»

«Certo, sono arrivato fin qui da Milano, da solo, posso tornare anche in convento da solo», quindi ho preso, li ho salutati, sono uscito e mi sono fatto la strada da solo. Mentre facevo la strada, dicevo: «Ma io cosa ho fatto? Io sono arrivato a venti e rotti anni e non sono mai entrato in una birreria, devo diventare frate per andare in birreria…qui c’è qualcosa che non gira».

Sono andato a letto, poi mi sveglio al mattino e, mentre andavamo nel College insieme, ho detto: «Guardate, io vi ringrazio per ieri sera, però basta, io non vengo più, perché non mi è piaciuta questa cosa».

«Ma non ti sei mica ubriacato!»

«Sì, non mi sono ubriacato, ci mancava anche quello, però non mi va, è una cosa che non mi piace. Non l’ho mai fatta in vita mia, devo incominciare adesso a farla? Quindi, io non ci vengo più».

Era circa il 6/7 di luglio, io dovevo rimanere fino al 31. Da quel giorno, da quella precisa mattina, siamo entrati in collegio, poi siamo usciti, da quel momento fino all’ultimo giorno in cui sono partito, compreso, mi hanno tolto il saluto, tolto la parola, sono diventato invisibile.

Usciamo e dico: «Ciao, allora?», e loro niente…ma senza spiegazione!

Mi sembrava di impazzire e mi dicevo: «Ma che cosa è successo?!»

Dopo un po’, una volta ho bussato alla porta, volevo risolvere la cosa.

Busso, entro da questo Sacerdote e dico: «Ma perché non mi parlate?»

Era come se non ci fossi, ha continuato a studiare senza alzare la testa…

Io ho fatto tutto il resto dei giorni, nei quali mi sembrava di diventare matto, perché non riuscivo a capacitarmi di questa cosa, non riuscivo a capire cosa avessi fatto, quindi sono tornato a casa. Tornando a casa ed andando a parlare con il mio confessore, finalmente sono arrivato al dunque, a capire qual era l’intento.

Proprio il giorno che torno dal confessore arriva la lettera, erano loro che mi scrivevano da Dublino e si scusavano per il comportamento avuto e dicevano che era perché io avevo fatto così e cosà…

Beh…io vi dico: «Guardate, tornassi indietro, rifarei esattamente questa cosa. Meglio perdere i benefici che vengono dalla carità, piuttosto che perdere la verità».

Io non l’ho fatto con questa coscienza, perché non l’avevo a quel tempo, non avevo ancora questa chiarezza, l’ho fatto perché mi sentivo dentro che c’era qualcosa che non andava, però adesso che gli anni sono passati, che l’ho rivisitata bene quella scena, vi dico che quella è la strada, e, tornando indietro, dico a me stesso: «Quando tu sei arrivato davanti a quel locale, non ci dovevi neanche entrare! Tu lì dovevi fermarti e dire “No!”, perché se non l’ho mai fatto in vita mia, prima, perché devo farlo adesso, che sono frate? Io qui non entro!»

Anche se non c’è niente di male, il problema non è: “Cosa c’è di male?”, il problema è: “Cosa c’è di bene?”, il problema è: “Questa cosa, cosa c’entra con la mia coscienza? Che cosa ho da fare lì? Che cosa c’entro io lì?”

Infatti, notate, dopo, pensando a quella scena, sapete cosa ho rivisto, che non avevo notato?

Nessuno di noi era in abito, nessuno di noi aveva il colletto, nessuno di noi aveva il crocifisso del Sacerdote qua, nessuno, tutti in borghese.

Allora io mi sono detto: «Ma se eravamo così tanto a posto con la nostra coscienza, perché non sei andato in talare, perché non siamo andati con la veste? Perché non era a posto con la tua coscienza, la veste lì dentro non poteva arrivarci, e quindi tu l’hai lasciata a casa».

Don Benzi, quel Sacerdote che si dedicava alle prostitute, mi ha sempre colpito quando scriveva: «Io con la mia veste vado ovunque, dalle prostitute, in discoteca, ovunque, ma con la mia veste», e diceva ai preti: «Voi con la veste potete andare ovunque, ma senza no», perché c’è un discorso di verità.

Noi dobbiamo seguire la verità e quando la verità della nostra coscienza ci dice: «No!», “No” sia!

La verità apre la porta alla carità.

Sia lodato Gesù Cristo!

Sempre sia Lodato!

 

Letture del giorno

V DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

Prima lettura

At 14,21-27
Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro.

In quei giorni, Paolo e Bàrnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede.

Salmo responsoriale

Sal 144

Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Per far conoscere agli uomini le tue imprese
e la splendida gloria del tuo regno.
Il tuo regno è un regno eterno,
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.

Seconda lettura

Ap 21,1-5
Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi.

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più.
E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.
Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva:
«Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
Egli abiterà con loro
ed essi saranno suoi popoli
ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio.
E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi
e non vi sarà più la morte
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate».
E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».

Canto al Vangelo (Gv 13,34)

Alleluia, alleluia.
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Alleluia.

Vangelo

Gv 13,31-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

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