Meditazione
Pubblichiamo l’audio di una meditazione di lunedì 8 marzo 2021
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
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LE RADICI SPIRITUALI DELLE MALATTIE PSICHICHE – Ventesima Parte
Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.
Eccoci giunti a lunedì 8 marzo 2021. Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi tratto cap. IV, versetti 24-30 di San Luca. Gesù dice la Verità, come è sempre e come è ovvio. Dice quello che sanno già, parla della vedova di Sarepta di Sidone, di Naaman il Siro, tutte cose che loro conoscevano, ma sentirsi dire la verità che mette in discussione le proprie certezze è un problema per chi la verità non la vuole sentire e, soprattutto, per chi non vuole fare verità su sé stesso. Fare verità, dire la verità, mostrare la carità è il primo atto di carità che noi possiamo fare a qualcuno, detta ovviamente nel dovuto modo.
È interessante notare che al tempo del profeta Elia e del profeta Eliseo, Dio manda i due profeti a due pagani (la vedova di Sarepta di Sidone e Naaman il Siro), non a due del popolo eletto. Gesù li invita a chiedersi il perché. Secondo la loro logica Dio avrebbe dovuto mandare i profeti al popolo di Israele, invece vengono mandati a due pagani. Questo crea problema.
Come mai Dio si comporta così?
Prova a pregarci sopra, chieditelo. Non sei tu che devi cambiare la storia o mistificarla o dire che non è vera perché scardina le tue teorie, ma sono le tue teorie che hanno bisogno di essere verificate dalla Verità e se alla verifica della Verità le tue teorie non reggono, vanno cambiate. Certo a noi non piace cambiare le nostre idee e le nostre prospettive, pena vivere un’illusione, come loro.
“All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno.”
Quindi loro si riempiono di sdegno, lo cacciano fuori dalla città e lo vogliono buttare giù dal monte. Noi con la Verità facciamo così.
Ma siccome noi non vogliamo assolutamente vivere avendo sulla coscienza di aver buttato la Verità giù dal monte e averla cacciata fuori dai nostri luoghi di preghiera, continuiamo la nostra meditazione sul bellissimo testo del prof. Larchet “L’inconscio Spirituale”, siamo arrivati al paragrafo decimo:
“Perturbazioni nella relazione con gli altri”
“Le perturbazioni nella relazione con gli altri sono un sintomo comune alla maggior parte delle nevrosi e, per ragioni diverse, alla maggior parte delle psicosi. Esse possono consistere in «difficoltà relazionali» e assumere la forma di inibizioni (fuga dagli altri, difficoltà a stabilire contatti e a entrare in relazione con essi) o di rapporti conflittuali (in cui l’aggressività è presente in forme diverse). Possono pure assumere la forma di una familiarità eccessiva, in cui sono aboliti il rispetto dell’altro e il pudore di fronte a lui. Possono assumere anche la forma di rapporti artificiali e «teatralizzati» (quando la persona si nasconde dietro un ruolo o un personaggio, quando ricorre a un linguaggio formale come a una barriera fra sé e gli altri) che ostacolano la formazione di relazioni interpersonali. Nella nevrosi isterica, questa teatralizzazione si accompagna a un’erotizzazione degli atteggiamenti e del linguaggio. Questa terza forma di perturbazione è ben prossima alla prima, in quanto rivela anch’essa, a suo modo delle difficoltà relazionali. Queste perturbazioni sul piano psicologico nelle relazioni con gli altri hanno un fondamento spirituale. Hanno radice nel congiunto intervento di più fattori: in primo luogo, una cattiva immagine che la persona ha di sé e un cattivo modo di accettarsi; in secondo luogo, una cattiva immagine che essa ha dell’altro. Questi due fattori sono legati a un terzo, cioè le varie passioni che falsano la relazione con sé e con l’altro.”
Se noi siamo dentro a questi fattori abbiamo i rapporti rovinati.
“Il primo fattore deriva da una cattiva conoscenza di sé e da un cattivo atteggiamento verso di sé. È per questo che tanto la sopravvalutazione quanto la svalutazione di sé – che abbiamo già analizzato – svolgono un ruolo determinante come fonte di perturbazione dei rapporti con l’altro.”
Sia chi si sopravvaluta, sia chi si svaluta crea un problema.
“In entrambi i casi, il rimedio fondamentale è la terapeutica dell’amore egoistico di sé, che è la fonte comune di entrambi gli atteggiamenti. L’umiltà appare quindi il rimedio principale della sopravvalutazione di sé, mentre l’amore di sé-virtù – l’amore autentico di sé nella sua dimensione spirituale – appare come il rimedio principale della svalutazione di sé. L’umiltà svolge comunque un ruolo terapeutico anche nel caso della svalutazione di sé, in quanto aiuta la persona ad accettare ciò che di insufficiente o di mediocre essa scopre nella propria personalità e cerca di nascondere agli altri evitandoli oppure assumendo un ruolo o ergendo altre barriere fra sé e gli altri. Il secondo fattore ha da fare con una cattiva conoscenza dell’altro e un deleterio atteggiamento che la persona assume nei suoi confronti. Quando non viene visto nella sua realtà spirituale profonda di creatura a immagine di Dio e di persona destinata a realizzare la somiglianza con Lui – di persona destinata alla salvezza e alla deificazione -, l’altro viene considerato soltanto più nella dimensione superficiale (perché dissociata dalla realtà spirituale profonda) delle sue apparenze fisiche e psicologiche. Il terzo fattore di perturbazione con l’altro è costituito dalle varie passioni. Sotto la pressione delle passioni dell’orgoglio e della vanagloria, ma anche del timore, spesse volte l’altro viene visto come un rivale, un avversario o addirittura un nemico, reale o potenziale, di cui è bene diffidare, da cui si devono prendere le distanze o che magari si deve preventivamente attaccare, per meglio proteggersi. Anche in questo caso la terapeutica passa attraverso l’umiltà (che permette di guarire dall’orgoglio e dalla vanagloria), ma anche attraverso la fiducia in Dio (che fa evitare il timore), e prima di tutto attraverso la carità, che sviluppa a priori un atteggiamento positivo verso l’altro, riconosciuto nel suo valore spirituale essenziale, ma anche accettato nella sua differenza e scusato nelle sue debolezze. Che l’amore contribuisce a bandire il timore lo dice anche san Paolo. Anche l’aggressività patologica (che l’ascetica clàssica chiama la passione della “collera”) costituisce, nella sua forma originale o derivata, un serio fattore di perturbazione delle relazioni con I’altro, e quindi anche la sua terapeutica costituirà un elemento essenziale della terapeutica spirituale da attuare per guarire le turbe relazionali. Ma di questo si è già detto e non ci torniamo. Come Freud ha sottolineato (forse in modo eccessivo), anche i fattori sessuali hanno un grande ruolo nelle perturbazioni delle relazioni con l’altro. Tra i fattori spirituali che costituiscono una fonte di perturbazione dei rapporti con l’altro dobbiamo quindi citare anche la passione della lussuria (porneia), che secondo i Padri ingloba tutte le forme di passioni sessuali. Dobbiamo anzitutto ricordare che il vero amore, fondato spiritualmente, è apertura all’altro e libero dono di sé. Ognuna delle due persone che esso unisce si dà all’altra e la riceve in cambio. In questa comunione, ognuna delle due persone si arricchisce e matura in tutta l’estensione del suo essere e fino all’infinità divina, nella misura in cui, come dev’essere, I’amore è alimentato dalla grazia e trova la stia finalità nel Regno. La lussuria; al contrario, è un atteggiamento d’amore egoistico di sé: fa ripiegare in sé stesso chi ne è vittima e lo chiude totalmente all’altro;”
La lussuria è terribile, ti spegne la voglia di alzarti al mattino, mentre alla notte e alla sera ti consuma nella carne fino al midollo come una iena assetata di sangue. Al mattino poi non sai più neanche chi sei, vieni divorato dai rimorsi, dal vuoto, dal non senso, dalla voglia di fuggire. È terribile, dobbiamo stare veramente attenti a questa bestia sanguinaria, stiamo lontani da tutto ciò che richiama questo vizio capitale terribile. Tante volte, quando noi siamo mal disposti verso qualcuno, è in noi la lussuria, premeditata o consumata, però è lì.
“Impedisce ogni scambio, dato che, sotto il suo influsso, chi è malato di questa passione non ha in vista che il proprio interesse”
Il lussurioso è capace di pensare solo a sé.
“All’altro non dà niente e vuole unicamente ricevere da lui, in più riducendo ciò che vuol riceverne a quello soltanto che è in linea con il suo desiderio passionale. Ciò che poi ottiene, lo considera più un risultato del proprio desiderio che un dono dell’altro: chi è malato di questa passione si dà da sé l’altro, è lui che si dà l’altro; per lui, l’altro non è che un semplice intermediario fra sé e sé. Così la lussuria imprigiona l’uomo nel suo io decaduto, anzi, con maggior precisione ancora e in modo ancora più riduttivo, lo imprigiona nel mondo limitato e chiuso della sua sessualità carnale, dei suoi istinti e dei suoi fantasmi, e lo chiude totalmente ai mondi infiniti dell’amore e dello spirito. La lussuria è spesso il desiderio e il godimento di una raffigurazione immaginaria dell’altro. Questi non esiste come persona o prossimo, ma puramente come oggetto fantasmatico, concepito mediante una proiezione dei desideri del lussurioso. Un siffatto modo di vedere l’altro non può non avere un contraccolpo anche sul modo del lussurioso di considerare, nella realtà, gli esseri concreti che corrispondono alla sua passione: inevitabilmente avverrà una sovrapposizione dell’immaginario sul reale, culminando in una modificazione di questo alla luce di quello. Ma nella realtà concreta, il modo di vedere l’altro non è falsato solamente da un immaginario formatosi in precedenza. Quando la passione si sfoga in una relazione con una persona concreta e presente, essa «riduce» la persona. Nella lussuria, l’altro non viene incontrato come una persona, non viene visto nella sua dimensione spirituale, nella sua realtà fondamentale di creatura a immagine di Dio: al contrario, si ritrova ridotto a ciò che, nella sua apparenza esterna, è in grado di soddisfare il desiderio di godimento del lussurioso; per costui, diventa un semplice strumento di piacere, un oggetto. In taluni casi può perfino accadere che gli venga negata ogni interiorità, insieme a tutta la dimensione del suo essere che trascende la sfera sessuale, la dimensione in particolare della coscienza, dell’affettività superiore e della volontà. Il lussurioso, inoltre, passa sopra alla libertà dell’altro, in quanto ha in vista soltanto la soddisfazione del proprio desiderio, soddisfazione che il più delle volte gli si presenta come una necessità assoluta e gli fa del tutto trascurare il desiderio dell’altro.”
Qui ci sarebbe da aprire un discorso delicatissimo, importantissimo, io non posso forzare nessuno a vivere un momento di intimità con me, non è possibile in nome di niente, non esiste il “tu devi”, non esiste il “lo devi fare per carità”, assolutamente. Non è che la carità mi impone di soddisfare la lussuria degli altri, assolutamente.
C’è chi obietta: “Eh, ma se no dopo succede il peggio”.
Io a questa obiezione rispondo che non si può stare dentro a una relazione dove tu ti vedi come un oggetto, ti senti trattato, visto, considerato come un oggetto di piacere, che vali tanto quanto mi servi. No! Questa cosa non è giusta. Non parliamo di carità, qui la carità non c’entra nulla. Siccome la carità è verità la prima cosa da fare è che ognuno stia al suo posto. Io devo poter dire no, e questo non vuol dire mancare a niente e a nessuno, perché noi abbiamo una libertà che va rispettata. Voler bene, amare, si esprime in tanti modi, non c’è solo quel modo, attraverso i quali è possibile amarsi. Se una persona, per diverse ragioni, ad un certo punto non sente più che quello è il modo che gli si confà, si passa ad altra maniera, e ce ne sono tante di maniere. L’andare in giro a fare una bella passeggiata tenendosi per mano, non è già questo un modo di scambiarsi amore? Scambiarsi anche un bell’abbraccio. A me sembrano dei modi bellissimi, densissimi, che trasportano tante di quelle cose belle, e poi saziano perché senti proprio l’amore dell’altro che passa e che ricevi, che dai, è bellissimo. Impariamo a rispettare le persone.
“Di conseguenza, l’altro non viene più considerato né rispettato nella sua alterità e neppure nell’unicità della sua realtà personale, alterità e unicità che non possono rivelarsi se non nell’espressione della sua libertà e nella manifestazione delle sfere superiori del suo essere: infatti, ridotti dalla lussuria alla dimensione generica e animale d’una sessualità carnale, gli esseri umani diventano per il lussurioso praticamente intercambiabili, proprio come degli oggetti.”
“Ma se non accetto dopo tizio o tizia va con…”
Ma anche se tu accetti, comunque, non ci siamo. Perché se questo è lo spirito e il cuore vuol dire che siamo proprio al livello subanimale, siamo sotto agli istinti e questo non va bene, è patologico.
“È chiaro, di qui, che sotto l’effetto della lussuria l’uomo vede il prossimo come il prossimo non è, e non già come esso è. In altre parole, il lussurioso si dà una visione delirante di quelli che la sua passione gli fa incontrare. Da quel momento, tutti i suoi rapporti con essi si ritrovano completamente pervertiti. Già altrove abbiamo dettagliatamente mostrata come la terapeutica della lussuria si attui conquistando le virtù della continenza, cioè la capacità di dominare e reprimere i desideri e le pulsioni sessuali incompatibili con le esigenze dell’etica spirituale, e della castità, che consiste in un atteggiamento di distacco e purezza interiore nei riguardi della sessualità, peraltro ricondotta alla sua sola cornice legittima, secondo l’etica cristiana, che è quella dell’amore coniugale. Qui è opportuno che in modo particolare insistiamo sul fatto che la terapeutica della lussuria – dopo una «coscientizzazione» sia dei perversi orientamenti che il desiderio può darsi nello stato decaduto dell’uomo, sia di ciò verso cui tende nella sua realtà spirituale profonda – consiste fondamentalmente in una conversione del desiderio, di tal fatta che l’amore spirituale prenda il posto dell’amore carnale (cioè passionale), secondo la celebre osservazione di san Giovanni Climaco: «È casto chi bandisce l’éros sensuale con l’eros divino e spegne il fuoco terreno con il fuoco celeste». La castità (virtù opposta alla passione della lussuria) aiuta non soltanto a liberare la sessualità da tutte le sue forme perverse e ad attribuirle il suo vero posto nella vita della coppia, riportandola nel contesto spirituale che le spetta, ma anche a desessualizzare i rapporti umani, ad eliminare cioè tutti i fattori d’ordine sessuale che psicologicamente si frappongono fra sé e gli altri e falsano la relazione, fattori a livello sia del desiderio o del timore, sia dell’attrazione o della repulsione.”
Mi sembrava doveroso oggi fare tutta questa parte, era giusto dare una visione complessiva. Chiediamo quindi a Dio questa grazia di imparare la bellezza della castità, della purezza, e di non lasciarci mai dominare dalla passione, e se siamo in questa situazione andiamoci a confessare velocemente e senza vergogna, tiriamoci in piedi e iniziamo un cammino serio.
Il prossimo paragrafo, molto interessante, sarà “la tristezza e l’accidia o noia”, vedrete quante cose avrà da insegnarci, quanto la tristezza e l’accidia ci segnano.
E la Benedizione di Dio Onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo discenda su di voi e con voi rimanga sempre. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato.
Lunedì della III settimana di Quaresima
VANGELO (Lc 4,24-30)
Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei.
In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.