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“Comunione spirituale e comunione psichica” da “Vita comune” di D. Bonhoeffer. Parte 61

Comunione spirituale e comunione psichica

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: “Comunione spirituale e comunione psichica” tratta dal testo “Vita comune” di Dietrich Bonhoeffer.
Giovedì 16 marzo 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 11, 14-23)

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.
Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.
Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.
Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 16 marzo 2023.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo undicesimo di San Luca, versetti 14-23.

Una sola breve parola su questo Vangelo, che mi sembra essere molto istruttivo. Questo esorcismo compiuto da Gesù, che cosa ci mostra? Ci mostra che neppure Gesù, che è il figlio di Dio, ha potuto nulla contro la durezza di cuore, contro la chiusura della mente, contro la libertà che sceglie altro da Lui, da Dio. Non ha potuto niente.

Paradossalmente, Gesù può scacciare il demonio muto, ma non può far ragionare chi non vuol ragionare. Il discorso che fa Gesù, il ragionamento che fa Gesù sulle loro intenzioni, “conoscendo le loro intenzioni, disse”, è un ragionamento logico, ve lo dico sempre, non fa una piega, è un ragionamento assolutamente logico.

Loro dicono: “Tu che scacci i demoni per mezzo di Beelzebùl”, che è una cosa assurda. Io che scaccio me stesso, ma vi rendete conto? Che senso ha? Io che combatto me stesso? Sì, ma è una patologia. La normalità è che nessuno combatte sé stesso, ma tutti agiamo a favore di noi stessi, è una questione di logica, non serve disturbare altro. Questi non vedono quest’uomo liberato, quest’uomo sanato, quest’uomo pieno di stupore che inizia a parlare, la bellezza che risorge, non vedono l’opera di Dio, “il dito di Dio”, dice Gesù. No! Loro vedono ancora Beelzebùl, Beelzebùl non c’è più nella persona di quest’uomo, Beelzebùl è in loro, è in questi qui, che riescono a vedere il demonio questo è incredibile nel figlio di Dio.

Allora se alcuni uomini sono stati capaci nella storia di vedere nel figlio di Dio, in Gesù Cristo, l’anticristo (inteso proprio come anti-Cristo, colui che è contro Cristo, non sto parlando dell’anticristo dell’Apocalisse, sto parlando proprio di ciò che è contrario a Cristo che è, ripeto, una follia) allora, ovviamente “Se hanno perseguitato me” — dice Gesù — “perseguiteranno anche voi”. Se hanno visto in Gesù, che è il figlio di Dio, il demonio. Tra l’altro, vedono Beelzebùl, che è una cosa anche questa tristemente interessante. Gesù non nomina Beelzebùl, Gesù, non nomina nessuno, l’evangelista dice che Gesù aveva scacciato un demonio che era muto, loro dicono che l’ha fatto per mezzo di Beelzebùl. Beelzebùl tradotto vuol dire “signore delle mosche”, proprio il peggio del peggio. Non è che gli potevano dire «per mezzo del demonio», che già sarebbe stato brutto, no, non è per mezzo del demonio, ma è per mezzo del capo dei demoni. Cioè «Tu, Gesù, sei proprio colluso non con un demonio muto qualsiasi, no, no, col capo dei demoni, con Beelzebùl, il signore delle mosche». E Gesù ci mostra che, nonostante Lui — che è il figlio di Dio e la Divina Sapienza — faccia un ragionamento perfetto, niente, non cambia niente, non cambia assolutamente niente.

Questo è per noi, per tutti noi, un grande conforto, cioè ci insegna che dobbiamo veramente confidare, poggiarci, solamente su Dio, senza attendere una comprensione, senza attendere una risposta positiva da tutti coloro che interiormente hanno fatto una scelta ben precisa, come dirà poi Gesù nel capitolo ottavo di San Giovanni.

Bene. Mi sembrava giusto precisare questo, perché può darsi che ci venga in aiuto alla meditazione che stiamo per fare sul libro di Bonhoeffer, Vita comune.

A chi dobbiamo confessare i nostri peccati? Ogni fratello cristiano, secondo la promessa di Gesù, può accogliere la confessione dell’altro.

Ovviamente per noi cattolici è diverso. Noi alla domanda: “A chi dobbiamo confessare i nostri peccati?” dobbiamo rispondere: “Al sacerdote”, secondo il mandato di Gesù che è presente nel Vangelo.

Ma andiamo avanti.

Ma ci capirà?

Vedete? La dinamica non cambia: per lui luterano è la confessione al fratello, per noi cattolici è la confessione al sacerdote, ma la domanda di fondo, che spesse volte abita dentro di noi è: “Ma mi capirà, il sacerdote?” — Ma se io vado a dire quel peccato lì, che tanto mi fa soffrire, che vedo tanto indicibile, che tanto mi sembra brutto, che tanto mi fa vergogna per tante ragioni — ecco la domanda che portiamo dentro: “Ma mi capirà? Riuscirà a capirmi?”

È una domanda che abbiamo nel cuore, soprattutto nei confronti del sacerdote che ci confessa, ma anche nei confronti di altre persone e altre situazioni dove noi speriamo di essere capiti.

Ecco la risposta che dà Bonhoeffer — stiamo molto attenti perché ciò che vi leggerò adesso è veramente, a mio giudizio, molto, molto vero, molto molto bello:

Forse è così avanti rispetto a noi nella vita cristiana, da non poter ammettere con comprensione un peccato come quello da noi commesso?

Viene spontaneo pensare: “Figurati, se io vado da Padre Pio a dirgli questo peccato, chissà cosa succede” — Oppure: “Quel sacerdote mi sembra talmente santo, talmente bravo, talmente devoto, che non posso andargli a dire questo peccato! È impossibile!”.

Chi vive sotto la croce di Gesù, chi ha riconosciuto in essa l’abisso del rinnegamento di Dio da parte di tutti gli uomini e del proprio cuore, non può stupirsi più di alcun peccato; chi è rimasto atterrito dall’orrore del proprio peccato, per cui Gesù è stato crocifisso, non inorridisce più davanti al peccato, per quanto grave, del fratello. Egli conosce il cuore umano a partire dalla croce di Gesù. Sa che esso è del tutto smarrito, nel peccato e nella debolezza, si rende conto del suo perdersi per le vie del peccato, ma sa anche che è accolto nella grazia e nella misericordia. Solo il fratello che si pone sotto la croce può ascoltare la mia confessione.

Mi fermo qui un secondo, perché poi va avanti. Dovremmo leggerlo a cascata perché è tutto legato, bellissimo, però devo fermarmi, perché va spiegato.

La domanda è: “Mi capirà?” oppure “Ma non è che è troppo avanti nella vita di fede; quindi, chissà cosa succede se devo dire questa cosa”.

Bonhoeffer ci dice che non è questo il criterio di discernimento. Se abbiamo queste domande nel cuore, la risposta non è corrispondente alla domanda.

“Mi capirà sì o no” è un problema di comprensione; invece, “È troppo avanti nella vita di fede; quindi, se vado là chissà cosa succede” potremmo chiamarlo un problema di grado di perfezione. Ecco, no, no.

C’è sicuramente un problema, ma non è a questo livello; la difficoltà non è a questo livello. Dov’è il livello vero della questione? Il livello vero è che mi può capire e può veramente accogliermi come si deve, solo colui che vive sotto la croce di Gesù. Questo è importantissimo.

“Vive sotto la croce di Gesù” non è un’immagine romantica. Vuol dire colui che vive il dramma della totale incomprensione del mondo. Che è il Vangelo di oggi. Colui che vive sulla sua pelle il sentirsi dire: “Tu fai questo in nome di Beelzebùl”. Questo vuol dire “stare sotto la croce di Gesù”. Vuol dire proprio condividere la sua Passione. E la sua Passione che cos’è è? È il rifiuto totale da parte dell’uomo, è il rifiuto di Dio, del vero volto di Dio, per sposare l’idolo.

Questa è la Passione di Gesù: “Noi non ti vogliamo. Devi andartene fuori dalla nostra vita. Talmente non ti vogliamo, che ti inchiodiamo e ti facciamo morire fuori dalla città. Nel modo più orrendo possibile. Scaricandoti addosso tutto l’odio che possiamo portare nel cuore, perché di fatto tu non appartieni a noi; abbiamo capito che tu non appartieni a noi, tu non appartieni alle nostre usanze, tu non appartieni al nostro sistema, tu non appartieni… Tu sei inafferrabile. Certo, perché Gesù appartiene solo al Padre”.

C’è quel cardinale vietnamita del quale adesso è in corso il processo di beatificazione, François Xavier Nguyen Van Thuan. Proprio in questi giorni mi è capitato di leggere un articolo su di lui, ed è una cosa che mi ha commosso profondamente. Quest’uomo ha fatto, se non ricordo male, tredici anni di prigione, di cui mi sembra nove in isolamento totale. Io, quando l’ho letto, ho pensato: “Io non lo so, forse sarei morto dopo tre giorni”. In isolamento totale, guardato a vista dalle guardie. E lì c’è la sua testimonianza di come ha vissuto questa prigione, che di fatto è diventata una scuola di catechismo. Perché in lui non c’era odio. È stato bellissimo leggere quella testimonianza.

Da un uomo così, certo che ti puoi andare a confessare, come può non capirti, come puoi aver paura del tuo peccato? Quest’uomo non è che vive sotto la croce, quest’uomo vive sulla croce, ha vissuto sulla croce.

Chi ha riconosciuto in essa l’abisso del rinnegamento di Dio da parte di tutti gli uomini — quello che vi ho appena detto — e del proprio cuore”. La croce di Gesù, il rinnegamento degli uomini, che vuol dire: “Vattene fuori, vattene via dalla nostra vita, non ti vogliamo come Dio, e te lo dice anche il mio cuore”. Questo è il peccato. Quando noi facciamo un peccato, in particolare un peccato mortale, ma anche ogni peccato, noi diciamo “Gesù, fuori!”. Noi rinneghiamo Dio.

Ecco, chi ha riconosciuto questo abisso, perché è uno che contempla il crocifisso, non può non riconoscere l’abisso di questo rinnegamento — dice Bonhoeffer — “non si stupisce più di nessun peccato”, perché questo è il peccato per antonomasia: il rinnegamento di Dio, il tradimento di Dio… Non c’è un peccato più grande.

Chi è rimasto atterrito dall’orrore del proprio peccato, non inorridisce più davanti al peccato, per quanto grave, del fratello, per cui Gesù è stato crocifisso”; quindi io guardo Gesù in croce e dico: “Sì, ma tu sei lì per me, cioè a causa mia”.

Io non so se noi percepiamo l’orrore dei nostri peccati, oppure, se è: “Ma sì, vabbè, capita a tutti”.

Egli conosce il cuore umano, a partire dalla croce di Gesù”. Ecco come faccio a conoscere il cuore dell’uomo: bisogna partire dal Crocifisso. Non si parte dall’uomo per arrivare all’uomo. Ma si parte da Gesù in croce. E se parto da Gesù in croce, che cosa so? So che l’uomo peccatore è del tutto smarrito nel peccato e nella debolezza. So che il peccatore si perde nelle vie del peccato, ma so anche che, se vuole, la misericordia di Dio e la Sua grazia lo aspettano sempre.

Ecco, da chi fa questa esperienza, da chi vive così devo andare proprio a braccia aperte, con confidenza totale, perché so che andrà bene. Anche qualora dovesse sgridarmi, anche qualora dovesse essere severo, ma sarà quella severità bella, che mi fa bene, che mi riporta veramente nelle braccia del Padre.

Solo il fratello che si pone sotto la croce può ascoltare la mia confessione”. Certo. Qualunque sacerdote può ascoltare le nostre confessioni ma, quello che voglio dire è che quando so che uno vive sotto la croce, in questo modo che vi ho appena descritto, basta, posso andare con fiducia.

E adesso sentite cosa dice.

La sua capacità — pensate al sacerdote — di ascolto non dipende dall’esperienza della vita

Perché oggi tutti abbiamo in bocca questa parola “Dobbiamo ascoltare, io sono qui per ascoltare, dobbiamo vivere nell’ascolto e il primo passo è l’ascolto”, però poi se non fai come voglio io, ti taglio le gambe. Funziona così. Io sono qui per ascoltare, però tu devi parlare come voglio io, se tu non parli come voglio io, ti taglio le gambe, cioè ti prendo e ti ammazzo.

È quello che succede a Gesù. Vanno per ascoltarlo, ma siccome non parla secondo i canoni, gli schemi, le certezze e le sicurezze e la religiosità acquisita, fatta di precetti umani loro, allora che cosa succede? Non dicono: “Aspetta che ascolto cosa vuole dire”.

Ascolto non vuol dire sentire, ascolto vuol dire che io sto lì, ti ascolto e mi lascio raggiungere da quelle parole, l’abbiamo già visto nelle lezioni passate, nelle meditazioni passate. Eh sì, ma se io poi ti taglio le gambe non sto ascoltando niente, nessuno. Ascolto vuol dire che mi lascio mettere in discussione, mi lascio interrogare da quello che tu stai dicendo; questo è l’ascolto.

Allora lui dice: “La sua capacità di ascolto — di ascolto vero, non “se non la pensi come me, ti massacro”, no — L’ascolto vero non dipende dall’esperienza di vita”. Vuol dire che non devo pensare che siccome quello ha sessant’anni di sacerdozio, allora sa ascoltare di più di uno che è sacerdote da tre giorni. Non è detto. Qui — dice lui — “non dipende dalla dall’esperienza di vita

ma dall’esperienza della croce.

Capite? E io aggiungo “per esperienza Eucaristica”. Cioè, quanto quel sacerdote è intriso di esperienza della croce e di esperienza di Gesù Eucaristico.

Quindi, capite, un Padre Pio sa ascoltare, sa ascoltare perché lui è crocifisso e perché lui è pieno di amore per l’Eucarestia, quindi sa ascoltare. Da questa esperienza dipende l’ascolto, non dimenticatelo.

L’ascolto non dipende dagli anni, ma solo dall’esperienza della croce e dell’Eucarestia.

Il più esperto conoscitore dell’umanità sa infinitamente meno circa il cuore umano di quanto non sappia il più semplice cristiano nel suo vivere sotto la croce

E nel suo vivere davanti a Gesù Eucarestia.

Si può avere il massimo intuito psicologico, si possono avere capacità ed esperienza, ma tutto questo non fa capire che cosa sia il peccato

Per me è verissimo; posso avere davanti il più grande uomo esperto di psicologia, posso avere l’uomo più capace, più ricco di esperienza, ma questo non fa capire cos’è il peccato.

Si può conoscere la miseria, la debolezza e il fallimento, ma non la lontananza dell’uomo da Dio

Sono due cose diverse, ve l’ho sempre detto! Non confondiamo — anche a livello linguistico — non confondiamo “miseria”, “debolezza” e “fallimento”, con “peccato”. Il peccato non è la debolezza dell’uomo, il peccato non è la miseria, il peccato non è il fallimento.

Faccio la torta bellissima col buco in mezzo, la metto nel forno, la tiro fuori ed è venuta fuori un mostro: questo è un fallimento. Vado a fare un esame, mi sono preparato, mi bocciano, è un fallimento. Capite? Questo è un fallimento.

La debolezza: sono malato, sono debole. Ecco, questo esempio è un esempio di debolezza fisica, oppure c’è una debolezza anche spirituale. Ho una certa propensione verso l’avvilimento, verso il deprimermi: è una debolezza psicologica, ma non è un peccato.

Oppure la miseria: cioè, mi vedo veramente misero, povero di tutto, ma questo non è un peccato. Sbagliare strada con la macchina non è un peccato. Il peccato è invece la lontananza dell’uomo da Dio.

Ora le prime tre cose le posso conoscere così, ma la lontananza dall’uomo da Dio no.

Per questo si ignora anche che l’uomo perisce solo a causa del peccato — l’uomo perisce solo a causa del peccato — e che può guarire solo grazie alla remissione.

Che vuol dire l’assoluzione. Cioè, che cos’è che fa morire l’uomo? Il peccato. Che cos’è che guarisce l’uomo? Il perdono di Dio nel confessionale. E lui scrive:

Solo il cristiano sa questo. Davanti allo psicologo posso essere solo un malato, davanti al fratello cristiano mi è consentito di essere peccatore.

Che bella questa frase. Davanti allo psicologo sono un malato, ma davanti al sacerdote, posso essere un peccatore.

Lo psicologo cerca di indagare il mio cuore, ma non ne raggiunge mai fino in fondo la profondità — la può indagare, ma non arriva fino in fondo —, il fratello cristiano dice: ecco, uno che è peccatore come me, uno che è lontano da Dio, che vuol confessarsi e desidera la remissione dei peccati.

Eccolo — dice — eccolo qui. Quell’uomo che è un peccatore, è lontano da Dio, vuole confessarsi e vuole la remissione.

Lo psicologo mi prende in considerazione, come se Dio non esistesse, — per lo psicologo non è necessario che Dio esista, tanto c’è lui che mi analizza — il fratello — il sacerdote — mi considera alla presenza di Dio che giudica e fa misericordia nella croce di Gesù Cristo.

Tutta un’altra cosa. Il sacerdote parte dalla presenza di Dio, il sacerdote parte dalla misericordia di Dio, tutto un altro approccio.

Non si tratta di un difetto delle conoscenze psicologiche, ma di un difetto nell’amore per Gesù Cristo crocifisso, quando ci scopriamo così sprovveduti e inadeguati alla confessione fraterna.

Quando non voglio sedermi in confessionale, quando non ho questo amore ardente per il ministero delle confessioni, quando non metto il ministero delle confessioni al di sopra di tutto e di tutti, anche di me stesso, della mia stanchezza, quando fallisco nell’esercizio del mio ministero, nell’ascolto delle confessioni (fallisco cosa vuol dire? Vuol dire che non so capire il peccatore che ho davanti, non so ascoltarlo, non so coglierlo, non so dargli consigli, non so illuminarlo, mi trovo come un elefante in una cristalleria, non so da che parte girarmi, provo un imbarazzo incredibile, so solamente ripetere le solite stesse banali cose) qui il problema non è che devo andare a fare un corso di formazione psicologica per insegnarmi a svolgere bene il mio ministero sacerdotale nel confessionale (cosa che va molto di moda). Bonhoeffer dice: “Guarda che in realtà, quando ti scopri inadeguato e sprovveduto nell’esercizio di questo ministero, il problema è nell’amore per Gesù crocifisso” e io aggiungo: “e l’amore per l’Eucarestia”. Il problema è tutto lì.

San Giovanni Maria Vianney non ha fatto nessun corso di formazione psicologica. Padre Pio non ha fatto nessun corso di formazione psicologica — con tutto il rispetto che dobbiamo dare alle scienze psicologiche — ma loro non l’hanno fatto, perché quel ministero affonda le sue radici nell’amore per Gesù crocifisso, nell’amore per il Cuore Eucaristico di Gesù. Lì ci sono le radici, lì tu impari, lì tu trovi le tue competenze, non altrove. Non è un problema di conoscenze psicologiche.

Nel serio e quotidiano confronto con la croce di Cristo, il cristiano perde — interessante — lo spirito del giudizio umano e della fiacca indulgenza, e riceve lo spirito della severità e dell’amore divino.

Ma ditemi se non è bellissimo! È quello che stiamo dicendo da sempre: quando veramente sono abitato, quando abito sotto la croce, quando mi abituo ad un confronto serrato con la Passione di Gesù, e quindi, come dicono i santi, con l’Eucarestia, che cos’è che ricevo? Perché Monsignor Fulton Sheen faceva un’ora di adorazione eucaristica tutti i giorni da quando è diventato prete? Cos’è che ha ricevuto?

Lo spirito della severità e dell’amore divino”.

Queste due cose devono stare insieme, e ce lo dice un luterano. A noi ovviamente lo dice uno stuolo di santi, a noi ovviamente lo dice la Sacra Scrittura. Ma ce lo sta dicendo addirittura un teologo luterano che grazie a questo confronto con la croce di Gesù — e con l’Eucarestia, questo lo aggiungo io — ricevo lo spirito della severità e dell’amore divino. Le due realtà devono stare insieme. Giustizia e misericordia devono stare insieme.

Il sacerdote, quando si siede in confessionale, si siede come giudice e come medico, dice la riforma di Paolo VI. Non solamente come medico: come giudice e come medico. Quindi ci sarà anche un aspetto, talvolta, di severità, quando è necessario. Ci dovrà sempre essere questo aspetto dell’amore di Dio, le due cose vanno sempre insieme.

Diventa per lui realtà quotidiana la morte del peccatore davanti a Dio e la rinascita dopo la morte ad opera della grazia.

Certo, perché uno entra in confessionale con questa esperienza drammatica del peccato, attraverso la severità e attraverso l’amore di Dio, che cosa succede? Succede che rinasce. Grazie all’assoluzione quell’uomo lascia, vede i suoi peccati bruciati nel Cuore di Cristo e torna fuori guarito.

Ecco, ci fermiamo qui.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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