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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 29

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 29
Lunedì 4 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

PRIMA LETTURA (1 Ts 4, 13-18)

Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti.
Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore.
Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a lunedì 4 settembre 2023. Abbiamo ascoltato la Prima Lettura della Santa messa di oggi, tratta dal capitolo quarto della Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi, versetti 13-18.

Proseguiamo la nostra lettura del libro di Bonhoeffer, Sequela. 

Abbiamo iniziato ieri un nuovo capitoletto intitolato: “La sequela e il singolo”.

Nella chiamata di Gesù è già avvenuta la rottura con le condizioni naturali in cui l’uomo vive. Rottura che non è compiuta da colui che è nella sequela, ma che Cristo stesso ha già realizzato nel momento in cui lo chiama. Cristo ha svincolato l’uomo dalla sua immediatezza nei confronti del mondo, e lo ha posto nella immediatezza con sé stesso. Nessun uomo può seguire Cristo, senza riconoscere e accettare la rottura già compiuta. Non è l’arbitrio di una vita, guidata dal proprio volere, ma Cristo stesso a guidare il discepolo in tale rottura.

Allora, cosa ci dice Bonhoeffer in queste righe? La rottura con le condizioni naturali in cui l’uomo vive, la rottura con l’immediatezza nei confronti del mondo, non avviene per opera del discepolo, ma avviene per opera di Gesù. È lui che nel momento in cui chiama il discepolo compie questa rottura, cioè lo svincola da questa immediatezza verso il mondo per metterlo nella immediatezza verso di sé, verso Gesù.

Quindi riconoscere e accettare questa rottura è fondamentale per poter seguire il Signore. Non è legato al nostro arbitrio, al nostro volere — scrive Bonhoeffer — ma è proprio Gesù che guida verso questa rottura. 

Scrive Bonhoeffer:

Perché deve accadere questo?

Uno dice: “Ma che bisogno c’è che ci sia questa rottura?”. Andiamo avanti, adesso vedrete…

Perché non c’è una crescita continua dall’interno, un lento processo di santificazione che porti dagli ordinamenti naturali alla comunione di Cristo? Che tipo di forza perturbatrice si frappone qui tra l’uomo e gli ordinamenti della sua vita naturale dati da Dio? Questa frattura non è forse un metodismo legalista? Non è quel triste disprezzo dei buoni doni di Dio, che è totalmente estraneo alla libertà del cristiano?

Sono delle domande che Bonhoeffer pone a proposito della rottura. Scrive:

È vero, qualcosa si frappone effettivamente fra chi è chiamato da Cristo e i dati della sua vita naturale. Ma non si tratta di qualcuno che faccia oggetto la vita di un triste disprezzo, né di una legge della pietà [religiosa], si tratta invece della stessa vita e del vangelo, si tratta di Cristo stesso. Con la sua incarnazione, egli si è posto fra me e le realtà fattuali del mondo. Non posso più tornare indietro. Egli è in mezzo. A quanti chiama egli sottrae ogni immediatezza nei confronti di queste realtà fattuali. Egli vuol essere il mezzo, tutto deve avvenire solo attraverso di lui. Egli non si frappone soltanto tra me e Dio, ma proprio per questo egli sta anche in mezzo fra me e il mondo, fra me e gli altri uomini e cose. Egli è il mediatore non solo fra Dio e l’uomo, ma anche fra uomo e uomo, fra uomo e realtà. Poiché il mondo è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui (Gv 1,3; 1 Cor 8,6;  Eb 1,2), egli è l’unico mediatore del mondo. Da Cristo in poi l’uomo non ha più alcun rapporto immediato, né con Dio né con il mondo; egli vuol essere il mediatore. 

Molto bella questa riflessione! Quindi perché deve accadere questo? Perché questa rottura? E qui Bonhoeffer pone delle domande retoriche, che hanno già in sé la loro risposta.

Non è — non c’entra nulla — una crescita continua dall’interno, un lento processo. Poi dice che questa rottura non ha niente a che vedere con il disprezzo dei doni di Dio. 

Però è vero che c’è qualcosa che si frappone fra chi è chiamato da Dio e la sua vita naturale. Che cosa è? Non è il triste disprezzo, non è la legge della pietà religiosa. Si tratta invece della stessa vita e del Vangelo, si tratta di Cristo stesso: questo si frappone fra me e tutto il resto, si mette in mezzo Gesù, attraverso la sua incarnazione. È da lì che lui si è messo in mezzo e quindi sottrae ogni immediatezza nei confronti della realtà fattuale. Tutto deve avvenire solo attraverso di lui. Anche il mio rapporto con Dio avviene e deve avvenire attraverso Gesù, perché è lui il mediatore.

Qui non possiamo non ricordare, non pensare alle bellissime riflessioni e al bellissimo messaggio di Santa Teresa d’Avila proprio sulla centralità, l’importanza, dell’umanità di Gesù. Quindi Gesù è il mediatore. 

Andiamo avanti. Scrive Bonhoeffer:

In effetti ci sono idoli a sufficienza che si offrono all’uomo garantendogli un accesso immediato a sé stessi, e il mondo cerca in effetti in tutti i modi di mettersi in rapporto immediato all’uomo, ma qui appunto si cela l’ostilità a Cristo, il mediatore. Idoli e mondo vogliono strappare a Cristo ciò che egli ha tolto loro, cioè di essere essi soli in rapporto di immediatezza con l’uomo. La rottura con i rapporti immediati del mondo non è altro che il riconoscimento di Cristo come Figlio di Dio, il mediatore. Non è mai un atto arbitrario, in cui uno possa dichiararsi libero dai vincoli del mondo in nome di qualche ideale, di un ideale più alto che ne sostituisce uno più basso. Sarebbe fanatismo, atto arbitrario, anzi, ancora una volta immediatezza al mondo. Solo il riconoscimento di un fatto compiuto, che cioè Cristo è il mediatore, separa il discepolo di Gesù dal mondo degli uomini e delle cose. La chiamata di Gesù, se intesa non come ideale, ma come parola del mediatore, porta a compimento in me questa rottura già avvenuta con il mondo. Se si trattasse di soppesare degli ideali, si dovrebbe in ogni modo cercare un accomodamento, che probabilmente finirebbe per essere a favore di un ideale cristiano, ma non potrebbe mai essere univoco. Dal punto di vista dell’idealità, delle «responsabilità» della vita, non sarebbe possibile giustificare la svalutazione radicale degli ordinamenti naturali della vita nei confronti di un ideale cristiano di vita. Anzi, ci sarebbe molto da dire a favore di una valutazione opposta, beninteso anche e proprio dal punto di vista di un’idealità cristiana, di un’etica cristiana della responsabilità e della coscienza! Ma siccome non si tratta affatto di ideali, di valutazioni, di responsabilità, bensì di fatti compiuti e del loro riconoscimento, dunque della stessa persona del mediatore, che si è posto fra noi e il mondo, perciò c’è posto solo per la rottura con le immediatezze della vita, e colui che è chiamato deve diventare, al cospetto del mediatore, un singolo.

Bonhoeffer ci dice che abbiamo degli idoli, ci sono degli idoli e questi idoli che cosa fanno? Offrono all’uomo un accesso immediato a sé stesso e un accesso immediato con il mondo. 

Ma il problema qual è? Il problema è che in questa maniera si viene a creare l’ostilità a Gesù, che è invece il mediatore. 

Cioè: «Idoli e mondo vogliono strappare a Cristo ciò che egli ha tolto loro». Tutta la questione è sull’immediatezza. Il mondo, gli idoli, la carne, ecc., vogliono avere un rapporto immediato, non vogliono che ci sia in mezzo Gesù. Ma se noi permettiamo un rapporto immediato, dobbiamo per forza entrare in un’ostilità verso Gesù. È così, è una legge.

Capite, c’è proprio un’inimicizia, c’è un’ostilità tra Cristo e gli idoli e il mondo, perché? Perché Cristo ha strappato agli idoli e al mondo ciò che è loro proprio, cioè la volontà di un rapporto immediato con gli uomini. E Gesù dice: “No! Io, il Verbo, con l’incarnazione, da adesso sono io il mediatore. Non è più possibile, pena entrare in ostilità con me, un rapporto immediato col mondo. Questa immediatezza non si dà più. Perché essendo io il mediatore, io Gesù intercetto questo rapporto, tra uomo / mondo e idoli, lo rompo — ecco la rottura — perché mi metto in mezzo come mediatore. Io divento il mediatore tra l’uomo e il mondo, gli idoli, le realtà naturali e quant’altro”. 

Ovviamente il mondo, gli idoli, ecc., non accettano di buon grado questa cosa. Ma la rottura, proprio questa rottura dei rapporti immediati del mondo con il mondo, che cosa esprime? L’accettazione della mediazione di Cristo che cosa esprime? Esprime il riconoscimento di Cristo come figlio di Dio, diventa l’atto di fede solenne, al di là di mille parole.

Quando io accetto che Gesù sia l’unico, insostituibile mediatore tra me e tutto il resto, sto facendo l’atto di fede più eroico possibile, perché sto riconoscendo Gesù come Figlio di Dio, come l’unico mediatore. E ovviamente tutto questo non viene da me, non viene da un’ideale, viene da Gesù, dalla chiamata di Gesù, che non è un’ideale. Beh, chi nella sua vita ha vissuto veramente questa chiamata del Signore alla sequela sa che non è un’ideale e che non viene da lui, lo sa benissimo. Le cicatrici che porta addosso sono la testimonianza che non viene da lui, perché da solo non se le sarebbe mai fatte. E questa chiamata porta a compimento proprio questa rottura, cioè, porta a compimento il riconoscimento di Gesù come mediatore.

Che cosa succede? Nel momento in cui io accetto la mediazione di Gesù, quindi accetto la frattura, la rottura col mondo, che cosa accade col mondo, con l’immediatezza della vita, ecc., che cosa accade? L’abbiamo già detto che cosa accade; accade che al cospetto del mediatore, io divento una singolarità. Ecco, vedete dove matura questa singolarità di cui abbiamo cominciato a parlare proprio ieri? Questa singolarità matura al cospetto di Gesù, guardando a lui solo, e — oggi aggiungiamo — accettando Gesù come mediatore. 

Vedete: in questo rapporto singolare tra il discepolo e Gesù — stando al suo cospetto, non fuggendolo, non cercando compensazioni e scuse — Gesù diventa il mediatore e, in questa maniera, matura la mia singolarità. 

Voi capite che il mondo fa di tutto, ma proprio di tutto, per evitare che Gesù diventi mediatore e che ci sia invece un’immediatezza tra me e il mondo.

Perché devo filtrare tutto attraverso Gesù? Perché devo mediare tutto attraverso Gesù? Perché devo vivere nell’obbedienza? Vi ricordate, nei giorni scorsi quando abbiamo parlato dell’obbedienza del fanciullo? L’obbedienza del fanciullo è un altro modo di esprimere il riconoscimento di questa mediazione. Il mondo ti dice: “No, tu non devi obbedire, tu devi fare quello che vuoi”. Perché devo passare attraverso Gesù nel rapporto con mia madre, con mio padre, con mia moglie, con i figli, i fratelli, le sorelle, con la mia vita? Ricordate, questo capitolo inizia proprio con Luca 14, 26: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre…».

Capite perché parla di odio? Non perché io sono chiamato da Gesù ad andare a uccidere queste persone, ovviamente. Parla di odio perché fa riferimento a quell’ostilità di cui Bonhoeffer ci ha parlato poc’anzi: il rifiuto, il rinnegamento dell’immediatezza del rapporto con il padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli e le sorelle e la mia vita. Questo è il punto. Quindi, in mezzo, tra tutte queste relazioni, ci deve essere il mediatore, che è Gesù. 

L’odio colpisce non la persona, ovviamente, Gesù non è venuto a insegnarci a odiare il proprio padre, l’odio non colpisce la persona di mio padre, ma l’odio colpisce l’immediatezza della relazione. Cioè, l’odio colpisce l’ostilità che queste relazioni vorrebbero manifestare verso Gesù, proponendoci un’immediatezza tra noi e loro. E invece il discepolo dice: “No! Con tutte le realtà che mi circondano, grazie all’incarnazione, a partire dall’incarnazione, a motivo dell’incarnazione, entrerò in relazione attraverso Gesù; Gesù sarà il mio mediatore, sarà lui che medierà queste relazioni.

Forse sarà per questo che si cerca in ogni modo di eliminare Gesù dalla nostra vita e dalla nostra società. Gesù è il terzo incomodo. Togliamo Gesù. Parliamo di tutto, ma non di Gesù. Eh, certo, perché, se tu permetti a Gesù di svolgere il suo compito, che è quello di essere il mediatore, cambia tutto. Ovviamente cambia la vita, e ovviamente cambiano le relazioni, per forza. Perché sono tutte — come dire — modellate sulla persona di Gesù, sono tutte espresse attraverso il messaggio evangelico di Gesù, attraverso la passione di Gesù, attraverso la morte in croce di Gesù, ecc. Capite che cambia tutto? Cambia la vita, cambia radicalmente, ma non cambia in nome di un’ideale. Lo vedremo a breve.

Andiamo avanti, sentite cosa dice:

Dunque colui che è chiamato da Gesù apprende di esser stato vittima di un equivoco nel suo rapporto con il mondo.

Bellissima questa cosa! “Vittima di un equivoco”. Nel momento in cui Gesù ti chiama, capisci che tu sei stato vittima di un equivoco. Qual è l’equivoco?

Questo equivoco è l’immediatezza. Essa gli ha impedito la fede e l’ubbidienza. 

Guardate, esattamente quello che abbiamo appena detto. 

Lo so, lo so, qualcuno dirà: “Eh, ma padre Giorgio se le legge prima, ci fa le anticipazioni e poi fa finta di essere sorpreso!” Non è così, non è così. Ma a me non interessa, ognuno pensi quel che vuole, ciò che a me interessa è quello che pensa Dio.

Anch’io sono a scuola, mentre vi spiego queste cose non mi sento in cattedra, mi sento seduto ai banchi con voi, che cerco di comunicarvi quello che io capisco e mi fa piacere perché, sentendomi anch’io a scuola come voi, quando vedo certe cose, come quelle che sto leggendo adesso, è un po’ come quando tu hai fatto un’espressione o risolvi un problema di matematica e scopri di aver risolto nel modo giusto.

Non so se sia ancora così ma una volta, nei libri, in fondo, al contrario, c’erano tutte le soluzioni e a me piaceva tantissimo finire i miei problemi, i miei compiti di matematica — per la quale non ho mai avuto, devo confessare, una grandissima passione —  e andare in fondo a vedere se avevo fatto giusto. Non lo guardavo prima, lo guardavo dopo, mi veniva la tentazione di guardare prima, però non era bello far così. E allora poi alla fine andavo a guardare e dicevo: “Ah, sì, ho fatto giusto, il problema è a posto, è risolto”. 

E così anche qui, con Bonhoeffer, mi fa piacere perché io vi dico quello che mi viene in mente mentre leggo le cose e poi magari — non sempre — un po’ di righe dopo, Bonhoeffer ridice la stessa cosa che vi ho appena detto. 

Questo succede non perché io abbia la levatura filosofica e teologica di Bonhoeffer, ma semplicemente questo vi fa capire come anche noi, persone semplici, riusciamo a poter arrivare alle stesse conclusioni dei grandi teologi mettendo semplicemente le cose una in fila all’altra, attraverso la logica: il risultato è uguale. Magari lo diremo con parole diverse, ma il risultato è quello perché se si segue Gesù si segue il logos; perciò, si arriva tutti alla stessa conclusione. Si arriverà prima o si arriverà dopo, si arriverà per una via o si arriverà per un’altra, ma si arriva tutti lì. 

Quindi — Bonhoeffer dice — innanzitutto quando tu vieni chiamato, ti accorgi di essere vittima di un equivoco, quale? L’immediatezza. Vedete, il tema, il problema grosso è l’immediatezza. È l’immediatezza che impedisce la fede, l’obbedienza. Vi ricordate che prima vi ho detto “è un atto di fede eroico”, quando vi ho parlato del riconoscimento di Gesù come figlio di Dio? Vi ho detto: “Questo è proprio un atto di fede eroico, un supremo atto di fede” e poi vi ho parlato dell’obbedienza dei semplici, dei piccoli. Ecco, lui dice:

Essa gli ha impedito la fede e l’ubbidienza. 

L’immediatezza impedisce questo! Quindi, se noi accettiamo la mediazione di che cosa viviamo? Viviamo di fede e di ubbidienza. E prosegue:

Ora sa che, anche nei vincoli più stretti della sua vita personale — ecco, attenti adesso — il vincolo di sangue con il padre e la madre, con i figli, con i fratelli e le sorelle, l’amore coniugale, le responsabilità storiche — per lui non è più possibile alcuna immediatezza. Da Gesù in poi, non c’è per i discepoli alcuna immediatezza naturale, storica, di esperienza vissuta. Tra figlio e padre, tra uomo e donna, tra singolo e popolo si pone Cristo, il mediatore, che lo si riconosca o no. Per noi non c’è ormai altra via verso l’altro, che non passi per Cristo, per la sua parola, e per la nostra sequela. L’immediatezza è inganno.

Non ci può non venire in mente tutto quello che la Chiesa ci ha sempre insegnato, i santi ci hanno sempre insegnato, il Vangelo ci ha sempre insegnato, per esempio, nella gestione, nella educazione dell’affettività, nei rapporti tra i fidanzati e anche tra gli sposi. L’immediatezza è un inganno! Pensate quanto è ingannevole la proposta dell’immediatezza del rapporto tra il mio corpo e il corpo dell’altro. Sta qui il problema: l’immediatezza. È qui, è a disposizione, è immediatamente disponibile. Il cristiano invece dice: “No. Lo so che è immediatamente disponibile ma io scelgo di rinnegare questa immediatezza e di riconoscere la mediazione di Gesù tra me e te”. E quindi cambia tutto! E quindi si capisce anche la differenza tra Madre Teresa di Calcutta e un filantropo. Madre Teresa di Calcutta, nel servizio all’altro, riconosce la mediazione di Gesù, il filantropo no: il rapporto è immediato. 

Sentite cosa scrive:

E poiché si deve odiare l’inganno che ci nasconde la verità, si deve odiare l’immediatezza nei confronti dei dati naturali della vita, per amore di Gesù Cristo, il mediatore. Ovunque una comunità ci ostacoli nel presentarci come singoli davanti a Cristo, ovunque una comunità pretenda l’immediatezza, la dobbiamo odiare per amore di Cristo; infatti ogni immediatezza è, in modo più o meno cosciente, odio contro Cristo il mediatore, anche e specialmente se vuol presentarsi come cristiana.

Mi fermo qui, perché quello che poi verrà dopo sarà sicuramente ancora più denso, perché Bonhoeffer è un po’ sempre così. Quindi preferisco fermarmi qua, perché è già tantissimo. Allora, vediamo di spiegare anche se siamo un pochino oltre con i tempi.

Nei vincoli più stretti della nostra vita — il vincolo di sangue, padre, madre, figli, fratelli e sorelle, amore coniugale, responsabilità storiche — come abbiamo già detto, non è più possibile alcuna immediatezza. Questo è quello che dice Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato ieri, all’inizio del capitoletto. Quindi non c’è più immediatezza naturale, storica e di esperienza vissuta. Quindi tra me, mio padre, mia madre, mio figlio, mia moglie e la mia vita e quant’altro, si pone Cristo, il mediatore. L’immediatezza, in questa prospettiva, è un inganno. La via per arrivare all’altro passa, deve passare per Gesù, per la sua parola, per la nostra sequela. È un po’ quello che, se vi ricordate, abbiamo già letto in Bonhoeffer quando ha parlato della vita comunitaria. Ricordate che abbiamo già fatto un ciclo di catechesi sulla “Vita Comune”? Quindi ecco che Bonhoeffer ci spiega che cosa dobbiamo odiare. Come vi ho detto prima, non mio padre, non mia madre, ma l’inganno che ci nasconde la verità. E qual è l’inganno? L’inganno è l’immediatezza. E qui lui fa un affondo che credo sia bene prendere e metterlo nel nostro “portagioie”. Chissà, un giorno ci potrebbe venire utile.

Ovunque una comunità che ostacola il presentarci come singoli davanti a Cristo, una comunità che pretenda l’immediatezza, che non metta più Gesù in mezzo come mediatore, che ostacola la singolarità e tutto quello che abbiamo detto fin qua e che pretende lei con il mondo di avere un rapporto immediato con noi, col discepolo, escludendo la mediazione di Cristo, scrive Bonhoeffer, la dobbiamo odiare per amore di Cristo. Perché:

ogni immediatezza è, in modo più o meno cosciente, odio contro Cristo il mediatore, anche e specialmente se vuol presentarsi come cristiana.

Terribile! Terribile! Eppure… Uno dice: “No, non è possibile che si crei questa cosa” eppure può succedere. È terribile perché è il rinnegamento totale, assoluto, dell’identità di una comunità cristiana. In una comunità cristiana che si voglia porre come immediata nei confronti del discepolo e che non riconosca la singolarità del discepolo, con tutto quello che abbiamo detto sulla singolarità, di fatto è una comunità che odia Cristo, ostile a Cristo, e quindi — dice Bonhoeffer — qui si applica il Vangelo alla lettera: per amore di Cristo va odiata, cioè va respinta, perché vanta una pretesa che è anti-cristica, anti-evangelica. Perché sta rinnegando in radice la sua profonda identità, quella di essere cristiana. E allora, dice Bonhoeffer, in questo caso bisogna proprio odiare questa realtà, prendere una distanza solenne e dire: “No, io non posso accettare nessuna immediatezza, nessuna! Perché in mezzo ci sta Cristo”. Molto bella questa cosa, assolutamente molto bella. 

Quindi anche qui, voi capite come tutti i conti tornano; capite quando Gesù nel Vangelo dice, ad esempio, per quanto riguarda il sacramento della confessione: «A coloro i quali rimetterete (voi) i peccati saranno rimessi». Vedete? Il sacerdote — ci sarebbe da aprire tutto un altro capitolo — svolge all’interno della comunità questo ruolo di mediazione tra il discepolo e Dio perché nei sacramenti è in persona Christi. Non è il sacerdote che battezza, ma è Cristo che battezza; non è il sacerdote che consacra, ma è Cristo che consacra; non è padre Tizio, che assolve, ma è Cristo che assolve. Vedete? Il sacerdote quando celebra i sacramenti sta svolgendo esattamente questo ruolo di mediazione. 

Nel momento in cui — attenti bene — dovesse disgraziatamente accadere che il sacerdote non svolge più questo ruolo mediativo e quindi conduce o, peggio, impone, rinnegando la mediazione, a un’immediatezza a qualunque livello, ecco che sta rinnegando radicalmente il suo mandato. Ecco che allora entra in gioco il Vangelo che abbiamo letto ieri — che è quello che Bonhoeffer cita, Luca 14,26 — ecco che allora entra in gioco tutto il tema dell’odio, odio come odio dell’inganno, perché l’immediatezza è inganno, e quindi per amore di Cristo va odiata, perché è una ostilità dichiarata verso il mediatore.

E quindi vanno prese le distanze, bisogna dire no. Perché niente e nessuno su questa terra ha l’autorità per espellere, per rinnegare, per misconoscere, per… mettete i termini che volete, per non accettare, per rifiutare la mediazione di Cristo: niente e nessuno. E qualora qualcuno o qualcosa volesse avere la folle pretesa di rinnegare questa mediazione e di proporre un’immediatezza — dice Bonhoeffer — la dobbiamo odiare per amore di Cristo.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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