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Gesù ingiustamente accusato – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.47

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: Gesù ingiustamente accusato – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.47
Domenica 17 dicembre  2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Gv 1, 6-8. 19-28)

Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a domenica 17 dicembre 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal primo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 6 e seguenti.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro Cammino di perfezione, di Santa Teresa di Gesù. 

3 — Io vorrei, sorelle, che fine del nostro studio e delle nostre penitenze, fossero appunto queste sovrane virtù. Come già sapete, io vigilo attentamente per impedire che pratichiate troppe penitenze, perché fatte senza discrezione, possono rovinare la salute; — ecco, questo credo che sia importante segnarcelo — ma quanto alle virtù interiori, non v’è proprio da temere: siano pur grandi quanto volete, non saranno mai così debilitanti da impedirvi di servire la religione, ma vi fortificheranno nell’anima. Avvezzatevi primieramente a vincervi nelle piccole cose, e così, come vi ho detto altre volte, riuscirete con vittoria anche nelle grandi. In queste io non ho mai fatto la prova, perché non ho mai sentito dire tanto male di me da non vedervi insieme che era ancora troppo poco. Se mi accusavano falsamente sopra un punto, vedevo che avevo offeso il Signore in molti altri, e che mi facevano una grande carità a non parlarne. E così provavo più piacere nel vedermi accusata di falli immaginari che di colpe reali.2

Nota numero 2:

2 Le false accuse, per gravi che fossero, mi lasciavano insensibile, ma non così le vere, perché in esse, anche se piccole, seguivo la mia natura e mi attaccavo al meno perfetto. Ecco perché desidero che comprendiate subito questa verità!

Quindi il fine dello studio, delle penitenze, dice Santa Teresa, dovrebbero essere queste virtù sovrane che abbiamo appena letto in questi primi due paragrafi, soprattutto questo tema dell’umiltà. 

Santa Teresa vigilava perché non si facessero troppe penitenze, nel senso che “se manca la discrezione, poi si rovina la salute”. Mentre, per quanto riguarda le virtù interiori, non ci sono pericoli, perché non debilitano, ma fortificano: se non mangio, è chiaro che mi debilito, ma se mi alleno ad essere umile, non mi debilito. E, come abbiamo già detto, lei ci invita ad allenarci nelle piccole cose: cominciare da qui, per imparare poi a essere forti nelle grandi. Ecco, lei dice, che quando parlavano di lei, non poteva non vedere allo stesso tempo che era anche troppo poco; perché (questo è un bel sistema) lei diceva:

Se mi accusavano falsamente sopra un punto, vedevo che avevo offeso il Signore in molti altri…

magari non su quello, ma su altri sì, e gli altri magari non se ne accorgono. Quindi, vengo accusato su una cosa che non ho fatto, però non vengo accusato su altre cose che invece ho fatto e che gli altri non vedono. E per cui lei dice:

provavo più piacere nel vedermi accusata di falli immaginari che di colpe reali.

Certo, in questa prospettiva è giusto, è un ragionamento che non fa una piega, no? È meglio essere accusati di cose che non si sono fatte, che non di cose che hanno effettivamente offeso il Signore. Ed è interessante che lei scrive che le false accuse, anche quelle gravi, la lasciavano insensibile, non le facevano nulla; mentre quelle vere la facevano reagire. Quindi impariamo anche noi, potremmo chiedere al Signore di imparare anche noi, questa libertà interiore.

4 — Giova molto in questo esercizio la considerazione dei grandi vantaggi che si acquistano e come, tutto considerato, non si viene mai incolpate senza ragione, essendo sempre piene di difetti. Se “il giusto cade sette volte al giorno”, non è forse bugia sostenere che noi non abbiamo peccati? Se siamo innocenti di quanto ci attribuiscono, non siamo mai così scevre da colpa come lo era il buon Gesù.

Quando veniamo accusati non siamo mai proprio così completamente innocenti. Magari su quell’ambito lì, sì, però in generale abbiamo sempre un po’ di colpa. Ed è interessante questo riferimento alla Scrittura, che “il giusto cade sette volte al giorno”, e quindi lei dice: come possiamo noi dire che non abbiamo peccati? 

Noi abbiamo un po’ questa espressione “Sono sei mesi che non mi confesso” — “Che peccati ha fatto?” — “Mah, nessuno. Non ho fatto particolari peccati”. Beh, un po’ strano, no? Forse l’esame di coscienza non l’hai fatto molto bene!

Noi non siamo innocenti come lo era il buon Gesù. Gesù era innocente, era “l’innocente”, ma noi no, noi non siamo così innocenti. E quindi c’è sempre qualche motivo che giustifica, in un certo senso, questo essere accusati.

5 — O Signor mio, quando ricordo i vostri molti tormenti che per nessun motivo meritavate, non so che dire di me, né dove avessi il cervello quando fuggivo la croce, né dove ora mi trovi quando pretendo di discolparmi. Già lo sapete, o mio Bene, che se v’è in me qualche cosa di buono, non mi venne che da Voi. Orbene, Signore, vi costa forse di più dar poco che molto? Se non mi esaudite perché non lo merito, non meritavo neppure le altre grazie che mi avete fatto. E dovrei ora desiderare che di una creatura così cattiva, come me, non si dica alcun male, quando tanto se n’è detto di Voi, che siete il Bene sovra ogni Bene? Non lo si può soffrire, mio Dio, non lo si può soffrire! E ben vorrei che non lo soffriste neppur Voi, nulla permettendo nella vostra serva che possa disgustare i vostri sguardi. Io sono cieca, Signore, e mi contento di troppo poco. Datemi luce e fate che desideri veramente di esser da tutti disprezzata, poiché anch’io ho disprezzato Voi, che tanto fedelmente mi avete amata!

Quindi, pensando ai tormenti di Gesù, subiti senza colpa, lei dice: io dove avevo il cervello, quando fuggivo la croce? Che senso ha discolparmi se penso a Gesù? Che senso ha tutto questo? 

Poi dice: considerando che tanto si è detto male di Voi, che siete il bene che supera ogni bene, come posso io desiderare che non si dica niente di male di me, che sono così cattivo? 

Noi desideriamo profondamente, noi vogliamo profondamente che non si parli male di noi, che non si dica male di noi e che non si faccia niente di male nei nostri riguardi. Questo, però, non è molto evangelico, cioè non rispecchia molto la meditazione che dovremmo fare della Passione di Gesù. Io pretendo che di me non si dica niente di male, quando di Gesù se ne è detto e se ne dice di ogni. Quindi, capite, c’è una sproporzione incredibile, allora lei dice: «Datemi luce e fate che desideri veramente di esser da tutti disprezzata»; non solo perché Gesù è stato disprezzato, ma perché noi abbiamo disprezzato Gesù che, invece, in modo assolutamente fedele, ci ama.

Quindi, qui vedete il livello di umiltà, di vera umiltà, di Santa Teresa di Gesù, e forse, possiamo vedere anche dove siamo noi rispetto a questo disprezzo.

6 — Che è questo, mio Dio? Che speriamo di avere dal contentare le creature? Che ci importa se anche tutte c’incolpino, quando non c’incolpate Voi?… Ah, sorelle mie! … questa è una verità che non finiamo mai d’intendere, e perciò non arriviamo mai alla perfezione. Bisogna che la consideriamo con impegno, e che meditiamo attentamente quello che è, e quello che non è!… Anche se non vi fosse alcun vantaggio che la confusione di chi ci accusa ingiustamente nel vedere che ci lasciamo condannare senza difenderci, sarebbe già una gran cosa: questo atto, alle volte, eleva più di dieci prediche. Siccome l’Apostolo e la nostra incapacità ci proibiscono di predicare con le parole, facciamolo almeno con le opere, e non crediate che, nascosto con voi in clausura, stia pure il bene, come anche il male, che fate.

Qui ritorna il tema del “contentare le creature”. Cioè, lei dice: che cosa pensi, che cosa speri di ottenere, con l’accontentare gli altri? Essere secondo le attese degli altri, essere corrispondente a ciò che gli altri si aspettano: che cosa speri di avere? Noi speriamo di avere la stima, il consenso, la serenità, la pace, quella sorta di “compagneria”; e lei dice: ma se anche tutti ci dovessero incolpare, qual è il problema? “L’importante è che non ci incolpiate Voi!” Cioè, se siamo in pace con Dio, qual è il problema, se gli altri dicono male di noi? Vuol dire che per noi è importante il giudizio degli uomini? Vuol dire che per noi è importante il giudizio degli altri? Che dicano quel che han voglia; l’importante è seguire la via di Dio; l’importante è servire Dio, amare Dio, poi, se anche tutti diranno male, o dicessero male… andiamo avanti. 

E prosegue: anche se ci fosse il solo vantaggio di vedere cadere in confusione chi ci accusa ingiustamente, perché ci lasciamo condannare senza difenderci, sarebbe già una grande cosa. È chiaro, no? Se uno ti accusa ingiustamente e tu non ti difendi — cosa che invece facciamo tutti da quando abbiamo due anni: “Non sono stato io, non è colpa mia, no io non volevo, no ma qui, no ma la…” — è chiaro che chi ci accusa (ingiustamente) e vede che noi ci lasciamo condannare senza difenderci, si fa qualche problema. Dice: “Che strano, come mai quella persona che sto condannando, che sto giudicando non si difende? Perché non si scusa? Perché non si giustifica?” Questo crea confusione, la confusione che nasce dall’ingiustizia, dal giudizio temerario. E Santa Teresa dice che questo vale più di dieci prediche; questo è verissimo: «eleva più di dieci prediche».

7 — Credete forse, figliuole, che non discolpandovi da voi, più nessuno vi difenda? Ricordate il Signore che difese la Maddalena in casa del fariseo e quando fu accusata dalla sorella. Con voi Egli non userà certo il rigore che ha usato con sé stesso, perché se permise che un ladro si levasse a difenderlo, fu solo quando già stava sulla croce. Per voi invece susciterà sempre qualcuno, e se non lo farà, sarà perché non ne avete bisogno. Ciò che vi dico l’ho provato io stessa, ed è vero. Però, lungi dal lasciarvi muovere da questo riflesso, vorrei che nel vedervi accusate ingiustamente, ne aveste a godere. Vi do il tempo in testimonio, e vedrete da voi stesse il gran profitto che ne avrete. Si acquista tanta libertà da non preoccuparci più del bene o del male che si dica di noi, come se nemmeno ci riguardasse. A quel modo che non ci viene d’interloquire quando due persone parlano fra loro senza rivolgerci la parola, così anche qui: fattane l’abitudine e persuase di non dover rispondere, sembra quasi che non si parli di noi. Coloro che sono molto sensibili e poco mortificati crederanno che sia impossibile. Da principio sarà difficile, ma, a poco a poco e con la grazia di Dio vi potranno anch’essi arrivare, acquistandosi grande libertà, abnegazione e distacco da sé stessi.

Ecco, questa è un’altra aggiunta, un altro tema interessante, lei dice che non vi dovete concentrare su questo e non è questo che vi deve muovere, però è interessante riflettere: il fatto che tu non ti giustifichi vuol dire che nessuno ti difenderà? Ecco, lei dice che Gesù susciterà sempre qualcuno che lo farà e, se non lo farà, è perché non ne avrete veramente bisogno.

Cade il latte per terra? Insomma, non è proprio necessario che Gesù susciti qualcuno stile “Daniele con la casta Susanna” che va a difenderla: quella stava per morire, tu hai versato il latte per terra! 

Si può provare, lei dice: «vi do il tempo in testimonio, e vedrete da voi stesse il gran profitto che ne avrete»; chiedere al Signore la grazia di saper godere quando si è accusati ingiustamente, lei dice:

Si acquista tanta libertà da non preoccuparci più del bene o del male che si dica di noi…

Bellissima questa cosa! Come se non ci riguardasse, come se vedessimo due persone che parlano tra di loro, ma senza rivolgerci parola, e noi che andiamo oltre; è la stessa cosa, non ci interessa. E Santa Teresa dice che, anche chi è molto sensibile, può riuscirci col tempo, con la grazia di Dio, all’inizio sarà un po’ difficile, ma ci può riuscire.

Ecco, a me sembra che questo capitolo quindicesimo sia veramente molto, molto importante per tutti. Questo tema dell’umiltà e questo tema del lasciarsi accusare ingiustamente, mi sembra che, per tutti noi, possa essere di grande aiuto e di grande luce, nel cammino di perfezione. 

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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