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L’irriverenza – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.72

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’irriverenza – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.72
Giovedì 11 gennaio 2024 – Sant’Anastasio, Abate

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 1, 40-45)

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. E subito, la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.
E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: “Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro”.
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a giovedì 11 gennaio 2024. Oggi ricordiamo Sant’Anastasio, abate.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal primo capitolo del Vangelo di san Marco, versetti 40-45. 

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo arrivati al paragrafo quarto del capitolo ventiduesimo.

4 — Senza dubbio, quando si deve parlare con un principe, non lo si fa con la leggerezza con cui lo si fa con un contadino o con un povero come noi, a cui in qualunque modo si parli, tutto va bene. È vero: l’umiltà del nostro Re è così grande che, nonostante la mia grossolanità e il mio rozzo linguaggio, non lascia di ascoltarmi, né m’impedisce di andargli innanzi. Non mi respingono neppure le sue guardie, che sono gli angeli del suo seguito, perché conoscendo la bontà del Sovrano, sanno che Egli si compiace di più con la semplicità di un umile pastorello che vede disposto a maggiori proprietà se lo potesse, che con tutti i sublimi ragionamenti che gli saprebbero fare uomini molto dotti e letterati ma non umili. Ma non perché Egli è tanto buono, dobbiamo noi mostrarci irriverenti. È bene che si cerchi di conoscere la sua purezza e maestà anche solo per essergli riconoscenti della bontà che ci usa nel sopportare alla sua presenza esseri tanto ripugnanti come me. Del resto, per comprendere chi Egli sia, basta solo avvicinarlo, a quel modo che per conoscere i grandi della terra basta conoscere i loro antenati, le loro rendite e i loro titoli di nobiltà, perché nel mondo l’onore non è in base al merito dell’individuo, ma alle sue ricchezze.

5 — Mondo infelice! Figliuole mie, ringraziate molto il Signore per avervi concesso di abbandonare un soggiorno così vile, dove si stimano le persone non per i loro meriti personali, ma per il numero dei loro affittuari e vassalli, di modo che, appena cessano di averne, cessano pure di essere onorati. Ecco per voi un buon soggetto di divertimento e di passatempo per quando sarete in ricreazione: considerare in quale cecità sprechino il tempo i mondani. 

Cerchiamo di commentare questo testo; io mi concentrerei su questa frase:

Ma non perché Egli è tanto buono, dobbiamo noi mostrarci irriverenti.

È vero che Gesù è buono, è vero che Gesù è l’umiltà, nessuno può dirsi umile tanto quanto/di più del figlio di Dio. Ed è vera la sua bontà nel sopportare la nostra presenza… lei dice: “esseri tanto ripugnanti”; ripugnanti per una ragione molto semplice: non perché Santa Teresa voglia svilire il nostro essere figli di Dio, “fatti ad immagine e somiglianza di Dio”, ci mancherebbe, assolutamente; “ripugnanti” perché noi siamo segnati dal peccato.

In primis siamo segnati dal peccato originale, Gesù no. Certo, poi col Battesimo il peccato originale ci è stato tolto ma è rimasta la ferita, comunque c’è! 

Secondo: noi abbiamo i nostri peccati — che siano anche piccolini, però ci sono — e Lui no, Lui è purezza assoluta, Lui è luce purissima, Lui è il figlio di Dio, Lui è Dio, Lui è infinito, e noi no. Lui è increato, noi no, quindi, capite? Ecco, questo per dire che Santa Teresa sottolinea, con queste espressioni, la radicale, profondissima, alterità che esiste tra noi e Gesù. 

Ora, ciononostante, Gesù è tanto buono; è tanto buono perché non ci respinge, perché ci ascolta, perché ci permette di stargli innanzi. Capite: ci ascolta, ci permette di stargli innanzi, non ci manda via. Questo, però, non autorizza nessuno a mostrarsi irriverente. 

Quante irriverenze, quante mancanze di rispetto vengono fatte nella casa di Dio, a Dio. Che, se voi ci pensate, se voi ragionate su questa cosa, è pura follia. Nelle nostre case, noi non permettiamo a nessuno di avere neanche l’ombra di una mancanza di educazione verso di noi, a nessuno! In primis, alle nostre case.

In questo ultimo periodo, ho vissuto l’esperienza della benedizione prenatalizia delle famiglie; quindi, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, ho iniziato questa esperienza, che non avevo mai fatto in vita mia, e ho benedetto, qui a Milano, le famiglie. Voi calcolate circa quarantatré famiglie al giorno, più o meno, dal lunedì al venerdì. 

Tra le tante cose degne di attenzione e di riflessione mi ha colpito molto che in tantissime case, veramente tante, non si entra con le scarpe. E io ho benedetto a Milano, non nelle campagne dell’Abruzzo o nella Maremma, o nei villaggi dei pescatori, no, no, a Milano, in centro a Milano. Anche al sacerdote che va a benedire, dicono: “Padre, se deve entrare, deve togliersi le scarpe; in casa nostra non si entra con le scarpe”. Capite? Fa riflettere. E infatti, fuori dalla casa, ci sono tutta una sfilza di scarpe, lasciate lì. 

È un’abitudine che c’era una volta per chi viveva in campagna, per chi viveva nelle cascine, dove le scarpe venivano lasciate fuori, perché c’erano la terra e il fango, perché erano state messe per andare a lavorare i campi; ecco perché prima ho detto che non sono andato a benedire nella zona della Maremma, piuttosto che… Perché, allora, era comprensibile: tutto il giorno uno era fuori a lavorare nei campi, o nelle stalle, le scarpe erano un po’ sporche, per cui, per non sporcare la casa le toglievi e in casa entravi con le ciabattine. 

Ovviamente, a Milano, in città, non abbiamo molte stalle, piuttosto che molti campi agricoli da coltivare. E comunque, nonostante questo, in casa non si entra con le scarpe, tutte fuori; ma, guardate, tantissime! Tantissimi appartamenti così. Poi, magari, dentro ci sono i cani — non “il cane”, ma “i cani” — e ovviamente il cane non cambia le scarpe, non lascia le scarpe fuori! Ma questo è un altro discorso, non entriamo in troppi dettagli. Ecco, questa cosa fa riflettere, perché io mi sono detto: pensa quale giusta e doverosa attenzione verso la propria casa, per cui, sia io che la abito, sia gli ospiti che arrivano, se entrano devono togliersi le scarpe. Un atto di attenzione, un atto di cura, un atto di rispetto verso la casa, proprio verso “la casa” e anche verso chi la abita, perché poi deve pulire. 

Ma in chiesa, nella casa di Dio, a voi sembra che ci sia un’uguale attenzione? Non dico di togliersi le scarpe, per l’amor del cielo, ma, questa attenzione, che vi sto descrivendo nelle case che sono andato a benedire, vi ricorda la stessa medesima attenzione per…? Non so, lascio lì questa domanda… 

Tu suoni, la famiglia apre, dopo aver verificato chi è — giustamente — e poi non è che tu entri e ti vai a sedere sul divano, non mi è mai successo. Nel caso, ti fanno entrare e si sta lì, all’ingresso; la benedizione avviene lì, non ti dicono di accomodarti e nemmeno io prendo e vado a sdraiarmi sul divano, a sedermi sul divano. No, si sta lì, all’ingresso, in piedi; benedici la casa, saluti, consegni il santino, prendi e vai.

C’è un’uguale attenzione per la casa di Dio?

Come dobbiamo leggere la sparizione del gesto della genuflessione quando si passa davanti al tabernacolo? Come va letto? Come va letto il fatto che la genuflessione è quasi sparita, sostituita da un mezzo inchino, se va bene? Senza che ci siano ragioni ortopediche, di patologia ortopedica alle ginocchia, alle caviglie, no, no, no, così, anche persone giovani, anche persone aitanti, anche persone che poi vanno a sciare, a correre. Come va letta questa cosa, che non si fa la genuflessione? È segno di che cosa?

Ecco, vi pongo queste domande, poi ognuno ha la sua testa e risponde, e ragiona, ci pensa, ci preghiamo su. 

Come va letto il fatto che si entra nella casa di Dio chiacchierando? Si arriva all’ultimo momento alla messa, magari a messa già iniziata, e magari chiacchierando? E quando entro in chiesa, la prima cosa che faccio, è sedermi nelle panche. È sparito, quasi sparito che: entro in chiesa, faccio il segno di croce, mi metto in ginocchio nella panca, saluto Gesù nel tabernacolo e poi mi siedo. È segno di che cosa, questa sparizione?

È segno di che cosa che, durante la messa, suonano i cellulari ripetutamente? Finisce la messa e inizia il mercato, finisce la messa e tutti iniziano a parlare. È segno di che cosa?

“Ah no, ma quando ci sono i bambini è un disastro…”; non è vero. Io ricordo benissimo la celebrazione che abbiamo fatto in convento, tutti i padri insieme, un po’ di anni fa, qualche anno fa, per la consacrazione delle famiglie, dei bambini, al Cuore Immacolato di Maria. Molti di voi, che ascoltano queste meditazioni, sono testimoni oculari, proprio perché erano presenti, quindi testimoni oculari diretti, e possono e devono confermare quanto adesso sto dicendo, perché erano tutti presenti. In quella celebrazione delle tre e mezza del pomeriggio — era una domenica, giorno del battesimo di Gesù — nella chiesa del nostro convento di Monza erano presenti milleduecento persone circa. Voi direte: “Lei come ha fatto, li ha contati uno per uno?” — Sì, sapete perché? Perché avevamo preparato dei foglietti con un’immagine, con dietro la preghiera da recitare per la consacrazione al Cuore Immacolato di Maria, ed erano contati, e se ne poteva prendere uno per famiglia. Considerate che noi abbiamo dato più di milleduecento di questi cartoncini, per cui le persone erano anche di più, perché, se il cartoncino era uno per famiglia, e la famiglia veniva tutta insieme — papà, mamma e figlio, mettete, o anche solo papà e figlio, mamma e figlio — erano di più di milleduecento persone! 

Erano presenti le suore, erano presenti i Padri, erano presenti almeno milleduecento persone, la chiesa era al collasso, straripante di famiglie, di bambini, di neonati; bellissimo! Tutte persone giovanissime. I bambini li abbiamo fatti mettere ai piedi dell’altare: immaginatevi! Io ricordo benissimo, abbiamo le foto, i video, di questa cosa. E in programma c’era la recita del Santo Rosario. Mi ricordo che qualcuno mi disse: “No, padre, non si può fare! Padre, deve cambiare programma, bisogna cambiare programma, perché lei non può recitare il Santo Rosario intero, con tutti questi bambini”. Erano, guardate, una quantità incredibile di bambini, ai piedi dell’altare. E io ho detto: “No. Perché i bambini non sono dei piccoli idioti; i bambini sono dei piccoli uomini. Basta spiegare che cosa facciamo, basta che vedano noi raccolti e devoti, e vedrete che ci stupiranno”. Dictum, factum. I bambini si sono messi lì, seduti, hanno recitato con tutti noi il Santo Rosario, raccoltissimi, fermissimi, in un silenzio assoluto. 

Ripeto, ci sono i testimoni oculari di quanto vi sto dicendo. Non volava una mosca; avevano il loro “rosarietto” in mano, sgranavano una preghiera dopo l’altra, un’Ave Maria dopo l’altra. Bellissimo, guardate, una scena da paradiso. Un silenzio! Sembrava che non ci fosse nessuno. Qualche bambino piccolino, qualche neonato, ogni tanto piangeva, ma quelli grandi: come se non ci fosse nessuno. Tutto il Santo Rosario, l’Atto di Consacrazione, in ginocchio, davanti al tabernacolo, fatto con il massimo della devozione possibile, e poi la registrazione delle famiglie con le pagelline; e poi, tutti a casa. 

E uno dice: “Ah, sì, ma erano quelli del circondario, vi conoscevano e quindi certo, era un gioco facile, sapevano già come siete…” — No, perché son venuti con l’aereo. E voi direte: “E lei come lo sa? Le han fatto vedere il biglietto?” — No, me l’hanno detto, perché mentre giravo in mezzo alle persone prima, per sistemarle, perché dovevamo fare in modo di farne sedere il più possibile, qualcuno — perché poi, vi immaginate a fare entrare e uscire milleduecento persone — ha detto: “Guardate, per favore, metteteci in un punto comodo, perché noi appena finisce dobbiamo scappar via, perché dobbiamo andare in aeroporto, a prendere l’aereo per tornare a casa, perché noi veniamo dalla Sicilia, perché noi veniamo da Roma, perché noi veniamo dalla Campania, perché noi veniamo da Napoli, perché noi veniamo…”. Capite? Quindi non erano persone che tutti i giorni erano lì. Alcuni sono venuti col camper, che hanno lasciato nel parcheggio del convento. Guardate, è tutto testimoniato. Non mi sto inventando nulla, nulla. Tantissimi di voi hanno visto quanto io sto dicendo e, probabilmente, mi sto dimenticando cose che altri invece si ricorderanno. Massimo della riverenza possibile!

Quindi, non è vero che i bambini fanno chiasso. Dipende da che testimonianza hanno degli adulti. Se vedono adulti devoti e riverenti, anche loro sono devoti e riverenti. Io per tantissimi anni ho fatto il catechismo ai bambini di terza elementare, da ragazzo. Mai avuto un problema, mai! Ma non perché uno dice: “Ah, io sono bravissimo”, no, no. È sufficiente essere cristiani “basic”. I bambini lo vedono, ti imitano; ci credi che lì c’è Gesù? Sì! Allora ci credono anche loro: faglielo vedere e loro ti imitano. Certo che se sono io il primo che fa il pagliaccio, se sono il primo che fa la cagnara, se sono io il primo che, invece di trattarli come piccoli uomini, li tratto come piccoli idioti, allora ho quello che mi merito. Io, coi bambini, da catechista e da sacerdote, non ho mai avuto un briciolo di problema, mai! E, anche qui, ci sono testimoni oculari diretti di quanto vi sto dicendo. Ventitré anni di sacerdozio: mai avuto questo problema.

La riverenza verso Dio parte da noi. Conosco famiglie che hanno due, tre, quattro bambini. E, se voi li vedete in chiesa, sembra di vedere dei Serafini; perché? Perché i genitori sono devoti esattamente così; sono riverenti esattamente così. Non arrivano in ritardo, non arrivano all’ultimo momento, non chiacchierano in chiesa, pregano, si mettono in ginocchio, amano il Signore. I bambini ti imitano, i bambini capiscono dove sta la verità e la seguono. La bontà di Dio non deve diventare motivo di irriverenza, non deve autorizzarci a fare i pagliacci in chiesa.

E poi, l’ultima cosa che volevo dirvi è questa parte finale, quando Santa Teresa dice alle monache:

un buon soggetto — questo mi piace tantissimo perché c’è anche un po’ di ironia, no? — di divertimento e di passatempo per quando sarete in ricreazione — quando siete lì un po’ a ricrearvi, a scherzare insieme, è — considerare in quale cecità sprechino il tempo i mondani. 

Ma è vero! Impariamo a parlare di queste cose, ce lo dice Santa Teresa: «considerare in quale cecità sprechino il tempo i mondani». Ma è vero: i mondani sprecano il tempo in cecità incredibili. Buttano via il tempo, e invece dovrebbero impiegarlo nel modo migliore. E allora parliamone: non è per mormorare, ma proprio per parlarne, per dire: “Ma pensa te, con il poco tempo che abbiamo, loro lo buttano via facendo questo e quest’altro, che stupidaggini; quando lo potrebbero impiegare per fare ben altro”. 

I mondani non hanno a cuore il tempo, sapete perché? Perché non hanno niente da fare, non c’è un’urgenza spirituale interiore che li spinge. Hanno la vita vuota, non hanno da fare niente. E, quando hanno da fare qualcosa, bastano due cose da fare: “Eh, ma come sono stanco! Ma come non ce la faccio! Mamma come sono esaurito! Scusate, sono in burn-out”. Ecco, questa è una frase che — guardate — quando la sento, il sangue mi bolle nelle vene, è come se si svegliasse l’Etna: “Sono in burn-out”. E io penso sempre, quando sento questa frase, a San Carlo, al beato Cardinal Schuster e a Madre Teresa di Calcutta. E dico: “Madre Teresa di Calcutta cosa avrebbe dovuto dire?”. Se tu che non fai un tubo, se non quattro cose messe in croce, perché con due neuroni che sono lì che si perdono e neanche si trovano dentro tutta quella massa liquida, fai fatica a fare due cose in ventiquattro ore, Madre Teresa di Calcutta, che non aveva neanche il tempo per respirare e mangiare, che cosa avrebbe dovuto fare o dire? Noi siamo in burn-out e non facciamo niente o pochissime cose. I santi, che facevano una vita incredibile e non si lamentavano mai e non la mettevano giù tanto dura come facciamo noi, non sprecavano il tempo, mentre i mondani lo buttano via a chili.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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