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Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo, parte 5

Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo

Meditazione

Pubblichiamo l’audio di un ciclo di meditazioni sul testo “Commento al Vangelo di S. Giovanni” di don Dolindo Ruotolo di mercoledì 24 agosto 2022

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Gv 1, 45-51)

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione

Commento al Vangelo di S. Giovanni, di don Dolindo Ruotolo, parte 5

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 24 agosto 2022. 

Oggi festeggiamo san Bartolomeo, apostolo.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal primo capitolo del Vangelo di san Giovanni, versetti 45-51.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione al commento di don Dolindo Ruotolo al Vangelo di san Giovanni, capitolo 15. Oggi vedremo la carità spirituale. 

Leggiamo:

Per ispirare questo amore nel cuore dei suoi Apostoli, Gesù affermò di considerarli come amici solo a patto che avessero praticato la carità, e mostrò loro come Egli li aveva amati: Voi siete miei amici se farete quel che io vi comando. E soggiunge: Ora non vi chiamerò più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Vi ho chiamati invece amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto sapere a voi. Egli voleva dire: “Ora che vi ho rivelato il precetto della carità, vi ho fatto conoscere il grande segreto della redenzione, che è opera di carità, e non vi chiamo più servi, ma amici. Chiamandovi così, vi do l’esempio, perché voi stimiate i poveri e i sofferenti come amici e, rivelandovi quello che ho udito dal Padre mio, v’insegno un altro atto di carità, quello di comunicare agli altri i beni spirituali, aiutandoli a conoscere la verità e a camminare verso il Cielo”. È questa, infatti, strettamente parlando, la vera carità, secondo l’esempio che Gesù stesso ci ha dato. Egli ci ha rivelato la Verità, ha dato la vita per salvarci, ha confortato le nostre angustie, ma non ci ha liberati interamente dalle pene della vita presente. È una cosa che fa pensare. Il Signore ci ha dato la pienezza della carità spirituale e non di quella temporale.

Ci avevamo mai pensato?

Avrebbe potuto far ritornare l’Eden, ma per il nostro stesso bene non lo ha voluto, perché un paradiso terrestre avrebbe fatto dimenticare quello eterno alla povera creatura decaduta dal suo stato di giustizia originale. Egli ha sottoposto la carità temporale a quella spirituale e, soccorrendo il corpo, ha voluto principalmente soccorrere l’anima. Ci ha redenti, ma l’applicazione dei suoi meriti e, diremmo, il compimento della sua opera continua sino al termine dei secoli nella Chiesa e per la Chiesa.

Chi di noi si è mai soffermato a pensare e comprendere queste cose? Gesù ci insegna un altro atto di carità, supremo, potremmo dire il vertice della carità: “Vi ho chiamato amici perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto sapere a voi”. Ecco questa carità spirituale, vertice, cardine di tutte le virtù: quella di comunicare agli altri i beni spirituali, conoscere la verità e camminare verso il Cielo.

Non c’è atto di carità più grande di questo, quello di comunicare alle persone i beni spirituali, di far imparare la verità alle persone che ci stanno accanto; non c’è carità più grande che quella di aiutare qualcuno a camminare verso il Cielo, perché questa si chiama carità spirituale. Questa dovrebbe esser la prima forma di carità che noi perseguiamo, applichiamo, desideriamo, vogliamo, proprio sull’esempio di Gesù che ha fatto così con noi. 

Gesù ci ha rivelato la verità, ha dato la sua vita non per riempirci la pancia, non per liberare Israele dalla schiavitù dei Romani, non per guarire la lebbra nel mondo, non per sanare tutti gli storpi: Gesù ha dato la sua vita per salvarci dal peccato originale e, quindi, da tutte le forme di peccato che esistono. 

Nello stesso tempo non ci ha, però, liberato da tutte le nostre angustie, non ci ha rimessi nell’Eden: avrebbe potuto farlo e riprendere il cherubino dalla spada infuocata e dire: “Ora basta, torna da dove sei venuto. Riapriamo le porte dell’Eden”. Avrebbe potuto farlo, che cosa gli sarebbe costato? Avrebbe potuto farci vedere la strada che conduce all’Eden, e invece no. Quindi ci ha dato la pienezza della carità spirituale, ma non quella della carità temporale, perché , certamente, se noi oggi fossimo nell’Eden, chi ci muoverebbe più da lì? Chi ci farebbe più pensare al Paradiso? Se già facciamo tanta fatica a pensare al Paradiso vivendo in questo mondo che di Paradiso ha ben poco, immaginate se fossimo nell’Eden… 

Don Dolindo dice inoltre che Gesù ha sottoposto la carità temporale — quella, ad esempio, di fare i miracoli — a quella spirituale, cioè Lui soccorre il corpo perché, innanzitutto, vuole soccorrere l’anima. Infatti, se voi notate, in tutti i miracoli che fa, Gesù dice: “Va’, la tua fede ti ha salvato, sia fatto secondo la tua fede”. Sempre così: vedete la priorità dell’atto di fede, affinché una persona possa ricevere la carità temporale. 

Prosegue Don Dolindo:

Il peccato, a causa della libertà umana, imperversa ancora, dolorosamente, sulla terra, e con esso le grandi tribolazioni di cui è causa. Ci sono ancora, e in gran numero, gli uomini preda di satana, e continua nelle anime sante e nella Chiesa la Passione e Morte di Gesù Cristo; di conseguenza continuano le grandi pene e tribolazioni della vita, quelle che sono castigo delle colpe e quelle che ne sono riparazione.

Questo tema delle pene legate alle colpe, delle pene legate alla riparazione, delle pene legate alla gloria di Dio: a noi non è dato di sapere se per uno, per l’altro o per quell’altro. A noi è dato di vivere la nostra croce proprio sull’esempio di Gesù che l’ha vissuta in totale abbandono, unione con il Padre: questo ci è dato di sapere, e basta. Poi, se riusciamo anche a trarre un insegnamento dalle nostre pene, dalle nostre croci, se dalla preghiera riusciamo a capire quale messaggio ci stia lanciando quella croce precisa, che cosa voglia dirci… cara grazia! Meglio ancora! Attraverso quella sofferenza riusciremo a cogliere bene che cosa il Signore ci voglia mostrare, come ci voglia educare. 

La carità più bella, perciò, è sempre quella spirituale: rivelare la Verità a chi la ignora…

Andate a leggere le sette opere di misericordia spirituale, che, ovviamente, più nessuno conosce, perché non se ne parla mai, neppure si conoscono le sette opere di misericordia corporale… andate a leggerle…

rivelare la verità a chi l’ignora…

quello che adesso don Dolindo ci indicherà è una delle opere di carità più grandi che una persona possa fare o ricevere, perché, quando conosce una verità che fino a quel momento ignorava, una persona vede la sua vita cambiata. A parte che probabilmente questo le dona la vita eterna, le apre le porte del Cielo, ma anche la sua vita di tutti i giorni cambia, perché questa persona affronterà tutto in modo nuovo, perché vede, capisce e per lei tutto acquista un senso diverso. Si alza al mattino con una grinta, una voglia, un sole nel cuore diverso, perché finalmente ha capito che una tal cosa deve essere fatta in un modo, che fino a quel momento aveva sbagliato e nessuno glielo aveva detto, oppure, peggio, che era stata ingannata dai falsi profeti. 

I falsi profeti nella Scrittura sono presenti ovunque ed arrivano fino a Gesù, che era circondato da scribi e farisei che, di fatto, sono falsi profeti come quelli attuali e moderni che si spacciano per quello che non sono e insegnano una via di Dio che… insomma… non rappresenta il messaggio di Gesù. 

Se avessero insegnato esattamente le cose, Gesù avrebbe potuto anche stare in silenzio. Viene a salvarci dal peccato del mondo, bene, ma, come ha fatto trent’anni in silenzio, se avessero già detto tutto scribi e farisei, ne avrebbe potuto fare altri tre zitto, che cosa gli sarebbe rimasto da dire? E invece no… 

Infatti, Gesù dice: “Voi siete bravi a insegnare i precetti degli uomini e a chiudere il Regno di Dio a coloro che vi vogliono entrare; bravi a formare delle persone che sono condannate alla Geenna due volte peggio di voi — abbiamo già visto questo passo — siete bravi a caricare sulle spalle delle persone dei pesanti fardelli che voi non toccate neppure con un dito…”. 

Certo: sono i fardelli di una vita falsa, ipocrita, illusa. E questo non è un fardello? Siccome la verità rende liberi, la menzogna, l’errore, la falsità rendono schiavi e diventano un peso terribile. 

La verità non è mai pesante, mai, non schiaccia nessuno, libera, apre gli occhi; se anche mostra che sei la persona peggiore del mondo, da quel momento tu non lo sei più. Grazie alla verità che ti viene insegnata, tu dici: “Bene, ora so chi sono; da qui si parte, da qui inizia una vita nuova… sarà dura, difficile, ma da qui si comincia: almeno da qui capisco il fondo che ho toccato e, se capisco qual è il fondo, da lì mi posso alzare”. Se, però, nessuno mi fa capire che sono al fondo e io penso di essere sulla vetta del cielo, è un problema. “Mai sentite queste cose…mai sapute…” molti diranno. “Mai nessuno ha detto queste cose”. Viva il Signore! Finalmente le conosci, adesso puoi viverle. 

Poi: far conoscere Dio. Ditemi: che cosa c’è di più bello di “far conoscere Dio” e “conoscere Dio”? Che cosa c’è di più bello che avere qualcuno che ci fa crescere nella conoscenza di Dio? Leggere la vita, gli scritti dei santi; ascoltare un santo sacerdote, una santa Messa, un santo papà, una santa suora, un santo vescovo… che cosa c’è di più bello? Ascolti e tu stai già conoscendo Dio, qualcosa di nuovo, una luce nuova; stai comprendendo qualcosa di Dio che non avevi ancora sentito prima: e questa non è la forma di carità suprema? Questa è la carità spirituale! Chiedetelo a chi ha fatto questa esperienza, se non è così… chiedetelo a chi ha fatto esperienza di queste cose, se non gli nasce una gratitudine immensa dal cuore, perché è di più che se gli avessero salvato la vita. 

Far conoscere Dio, farlo amare e liberare le creature dalle illusioni del mondo, del demonio, della carne. Questa è la carità spirituale: far conoscere Dio, perché più lo conosci, più lo ami… bellissimo! 

Ricordo quando da ragazzo, in quarta superiore, a giugno andai a Bari in un convento di una congregazione religiosa per un ritiro spirituale dopo aver finito l’anno di scuola: otto ore di treno con un caldo da morire… e poi un altro treno per arrivare in questo posto… è stata una missione! 

Mi ricordo — a parte la frutta buonissima che mi mandavano a cogliere e che più che nel cestino, mettevo nella mia pancia — la biblioteca: nel mazzo di chiavi che mi diedero per quella settimana c’era anche quella dell’allarme per entrare nella biblioteca. Faceva un caldo terribile e, praticamente, quella biblioteca non aveva finestre, sembrava l’anticamera del Purgatorio: io sono entrato — ricordo ancora quel momento — e ho visto una quantità enorme di libri religiosi. Non avevo mai visto così tanti libri religiosi in vita mia… ero, ovviamente, già stato in una biblioteca, ma mai in una che contenesse solo libri religiosi… sembrava un Paradiso… Sono entrato, ho chiuso la porta, mi sono guardato intorno e così mi sono fatto condurre… il primo libro che ebbi fra le mani era un libro antichissimo, “I sogni di don Bosco”… l’ho aperto e sono passati i giorni e le notti.

Ho fatto la mia settimana in provincia di Bari chiuso in quella biblioteca: ho divorato libri su libri, non ho mai letto tanto in vita mia come in quella settimana, chiuso là dentro tutto il giorno e, grazie al Cielo, ho trovato dei religiosi che mi hanno lasciato libero e tranquillo di stare una settimana chiuso in quella biblioteca dalla mattina alla sera… non so quanti libri io abbia letto… li divoravo e mi aprivano veramente un orizzonte che, fino a quel momento, non avevo ancora conosciuto. Capite poi, per un adolescente, per un ragazzo di quinta superiore… mi sentivo al posto giusto nel momento giusto: ho letto “I sogni di don Bosco”, tutti i libri su di lui e poi tantissimi altri. 

Sono ripartito per Milano che ero un altro, veramente. Grazie a questi santi, a don Bosco, avevo conosciuto Dio come fino ad allora non lo avevo mai conosciuto: sono tornato a casa che sentivo di amare il Signore in un modo diverso, grazie a questa conoscenza. E certamente questa esperienza, unita ad altre che ho fatto nella mia vita, l’esperienza dell’incontro con santi sacerdoti, monsignor Cazzaniga e tanti altri, ha cominciato a farmi capire quanto fosse importante liberarsi dalle illusioni del mondo, a farmi vedere che a certe cose, alle illusioni del demonio e della carne bisognava dire di no. Vi assicuro che sono stati anni veramente importanti e ripeto a tutti — per questo vi parlo dei libri, cerco di andare a scovare i libri più impossibili — che un testo, un’omelia, una meditazione, una predica possono veramente cambiare la vita di una persona. 

Santa Tersa d’Avila lo dice molto bene; un giorno vi leggerò un suo passo su chi sono i veri predicatori, un passo bellissimo di Santa Teresa. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia vedere e capire quali siano le illusioni del demonio e della carne perché non sono così facili da vedere; quelle del mondo, magari… Ci vogliono maestri, padri spirituali che ci aiutino, ci facciano vedere gli inganni e le tagliole…

Chi fa la carità corporale senza quella spirituale è come colui che compassiona un malanno, magari vi applica qualche pomata refrigerante, ma non lo cura. Chi ha la possibilità di fare la carità spirituale e non la fa, o la trascura per quella temporale, è simile a chi ha premura di sistemare il letto all’infermo, ma non pensa a dargli le medicine; si affanna a fasciare le piaghe, ma non ne elimina il pus che le alimenta e le ingrandisce.

Ecco perché noi siamo tanto innamorati della carità temporale, perché, se non è unita a quella spirituale, non mi cambia… ecco perché, appena incontriamo qualcuno che ci fa la carità spirituale, subito cominciamo a urlare, frignare, lamentarci, perché ci fa male: siamo pieni di piaghe purulente e, se si avvicina qualcuno che tenta di sollevare quelle garze infette che sotto nascondono pus e vermi, subito noi urliamo come dei matti… certo, ovvio! Abbiamo sotto delle piaghe che sono lunghe dieci dita, il pus che bisogna aspirare con una pompa, tanto è denso e puzzolente… ci mancherebbe altro che non ci lamentassimo! Ma bisogna stare lì, perché quella roba lì va tolta tutta fino alla radice, fa fatta una “toelettatura chirurgica” tale per cui non rimanga più nulla di infetto. 

Se però cominciamo a dire: “Ahia, che male! Ma che roba! San Giovanni Maria Vianney era un terrorista spirituale; a legger le sue cose vengono l’ansia, l’angoscia. A leggere la sua omelia sul Giudizio particolare viene l’angoscia; a leggere gli scritti di Padre Pio mi viene la depressione…” vuol dire che oramai la piaga ha toccato il midollo e tutto il corpo è in setticemia. Fine. Basta, ormai… 

Ma come è possibile? Io mi domando: voi nella vita siete mai stati malati? Avete mai avuto un dolore fisico vero? Perché a me viene questo dubbio: magari conosco tutta gente che nella sua vita non è mai stata malata… probabilmente conosco tutta gente sana, perché, se voi nella vita aveste provato il doloro fisico, la malattia fisica, non potreste fare un ragionamento del genere. L’esperienza insegna che, da quando si è bambini di cinque anni, sette anni, da quando si impara ad andare in bicicletta, quando si cade e ci si fa male, la mamma, per curare le ginocchia sbucciate, fa male. Non perché la mamma è cattiva, ma perché pulire la ferita, disinfettarla, lavarla fa male! Ma lo si fa per un bene maggiore che è guarire: si impara questo sin dai nostri primi passi. Poi non si capisce perché nella nostra vita spirituale debba essere diverso: il corpo ci ha insegnato questo e noi abbiamo imparato, spero, che se qualcuno ci fa del bene, diciamo: “Lei non si preoccupi del dolore: lei faccia quello che deve fare. Basta che mi tolga questo male! Mi tolga questo dente che mi fa impazzire, o me lo curi”.

Se solamente avete un pelo incarnito… fa un male terribile togliere un pelo incarnito! E poi c’è sotto il pus, magari è ritorto dentro, quindi lo si deve un po’ scavare: una cosa terribile! Però lo si fa, cari miei, perché se non lo si fa, viene su la pustola che si deve incidere all’ospedale. 

Questa è la vita e la vita ci insegna che la carità corporale, senza quella spirituale non serve a un bel niente, anzi, mi verrebbe da dire, fa più male che bene, perché ti illude di curarti, ma non toglie il pus che alimenta e ingrandisce le piaghe… Fascia le piaghe, le accarezza, le vezzeggia, le coccola, ma voi avete mai visto un chirurgo che coccola le garze che deve togliere per cambiare una medicazione? 

Ma, cari miei, quando entravano da me a cambiarmi le garze e a rifarmi le medicazioni, dovevano chiudere la porta, ma non della camera, dell’ospedale, tanto acute erano le urla che facevo! Ma non è che si siano fatti mai grandi problemi; il medico diceva: “Padre, si prepari, fa male da morire! Questa garza la dobbiamo togliere: metteremo la fisiologica, c’è l’infermiera super-mega specializzata, bravissima, dolcissima, delicatissima che toglierà la garza nel modo più dolce possibile, ma questa garza la dobbiamo togliere! Impieghiamoci anche un’ora, ma non possiamo lasciarla lì per sempre… io devo vedere cosa c’è sotto. E poi dovremo metterne un’altra e togliere anche quella domani! E via di seguito fino a quando non è guarita”. E quindi? Sì, mi mettevano la fisiologica, mi preparavano bene, mi mettevano un telo stile “pannolone” per assorbire tutti i liquidi che uscivano dalla ferita… tutte le cure del mondo, bellissime e carissime, ma poi arrivava il momento in cui l’infermiere diceva: “Adesso tocca al chirurgo; io ho tirato su tutto quello che potevo, ma adesso tocca a lui”. E il chirurgo diceva: “Padre, vede quell’asta sopra al letto?” — sapete, l’asta di metallo, triangolare che sta sopra il letto d’ospedale e serve per sollevarsi un po’ dal letto… ecco! — Il chirurgo diceva: “Vede il triangolo? Non serve solo per sollevarsi dal letto quando voi malati volete sollevarvi: no, questo triangolo serve anche per aggrapparsi”. Io lo guardavo e sapevo che cosa voleva dire, ma non volevo crederci e dicevo: “Ma adesso a me, per che cosa serve?” E il chirurgo: “Cominci ad attaccarsi, tenga le sue manine strette a quel triangolo: tra poco capirà perché sia importante avere quel triangolo”. Ho capito: da quel giorno, appena il chirurgo entrava, io mi attaccavo al triangolo, subito! Perché già sapevo che cosa sarebbe successo: non appena il chirurgo entrava, io mi attaccavo. “Cominciamo da qui – pensavo – che è un punto certo. Poi quello che succederà, succederà!” 

Il chirurgo faceva quello che doveva fare, io mi disperavo, urlavo; quando andava via, io continuavo a singhiozzare per mezz’ora… però lui la garza la toglieva! Lo ringraziavo: se il chirurgo allora non avesse tolto quelle garze, io oggi non sarei qui, perché faceva parte della guarigione il togliere e mettere le garze, capite? 

Stiamo vicini ai bravi chirurghi; impariamo ad avere accanto dei bravi chirurghi. Chiediamo al Signore la grazia di avere dei chirurghi bravi… sapete che c’è quel bel detto che dice “Mano pietosa, piaga cancrenosa” ecco… E siccome non vogliamo fare diventare cancrena le nostre piaghe, chiediamo al Signore la grazia di avere nella nostra vita qualcuno che eserciti questo ministero pesantissimo e gravissimo che e quello della carità spirituale.

Domani vedremo questo: nell’esercizio della carità si può trovare un grande ostacolo. E qui don Dolindo ha fatto una sintesi davvero stupenda. Nell’esercizio della carità spirituale si può trovare un grande — io direi grandissimo — ostacolo. Quale? Lo vedremo domani!

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

Amen.

Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.

Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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