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I santi segni. Romano Guardini, parte 28

S. Messa

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: «I santi segni. Romano Guardini, parte 28»
Venerdì 2 giugno 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Mc 11, 11-26)

[Dopo essere stato acclamato dalla folla, Gesù] entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: «Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti!». E i suoi discepoli l’udirono.
Giunsero a Gerusalemme. Entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto:
“La mia casa sarà chiamata
casa di preghiera per tutte le nazioni”?
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri».
Lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento. Quando venne la sera, uscirono fuori dalla città.
La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse: «Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato». Rispose loro Gesù: «Abbiate fede in Dio! In verità io vi dico: se uno dicesse a questo monte: “Lèvati e gèttati nel mare”, senza dubitare in cuor suo, ma credendo che quanto dice avviene, ciò gli avverrà. Per questo vi dico: tutto quello che chiederete nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi accadrà. Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi le vostre colpe».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 2 giugno 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo undicesimo del Vangelo di San Marco, versetti 11-26.

Quest’oggi è il primo venerdì del mese, tra l’altro del mese del Sacro Cuore. Per chi ancora non ha iniziato la pratica dei Primi venerdì del mese, io consiglio caldamente di iniziarla proprio con questo venerdì. 

Continuiamo la nostra lettura del libro di Romano Guardini: I Santi Segni.

Oggi vediamo il segno de “Le Campane”.

Dentro, lo spazio della chiesa parla di Dio. Esso appartiene al Signore, è tutto compenetrato della sua santa presenza.

Beh, mi sembra che questo santo segno sia proprio aderente al Vangelo di oggi.

È anzi casa di Dio, separata dal mondo da pareti e volte. Codesto spazio è vólto all’interno, al Nascosto, e parla del mistero di Dio.

 Ecco, teniamo bene in mente il Vangelo che abbiamo appena ascoltato e non ci dimentichiamo mai quanto stiamo leggendo. Lo spazio della Chiesa parla di Dio e, aggiungo, parla solo di Lui. Ciò che c’è dentro deve parlare del Signore. «Lo spazio della Chiesa parla di Dio», non  di noi che facciamo le nostre chiacchiere nella casa del Signore, non di noi che rispondiamo al cellulare, non di noi che pensiamo ai fatti nostri. Lo spazio della Chiesa parla di Dio e deve parlare solo di Lui. Uno entra in chiesa ed è nella casa di Dio, appartiene al Signore: «tutto compenetrato dalla sua presenza, è la casa di Dio, è separata dal mondo da pareti e volte. Codesto spazio è volto all’interno, al Nascosto — cioè Gesù Eucarestia – e parla del mistero di Dio».

E lo spazio di fuori? La grande vastità sopra il piano che si distende all’infinito da tutti i lati? Che si dispiega fino alle cime, protesa nell’infinito? Che riempie in profondo riposo le valli recinte dalle montagne? Non è essa pure collegata con il santuario? O certo, anch’essa! Dalla casa di Dio il campanile si drizza nella libera atmosfera e ne prende per così dire possesso per conto di Dio. Sul campanile, incastellate, sono sospese le campane, gravi di bronzo. Esse oscillano nella vibrazione, — beh, oggi possiamo dire “oscillavano”, adesso sembrano delle mummie. Sono messe lì mummificate — e tutto il loro corpo dalla nitida forma oscilla e manda rintocchi su rintocchi lontano nella vastità dello spazio.

Come era bello un tempo quando le campane “vere” suonavano un suono vero, non il registrato.

Onde di note armoniche: limpide e rapide, gravi e piene, oppure profonde e nella loro lentezza quasi minacciose. Sciamano via, percorrono la vastità immensa e la riempiono dell’annuncio del santuario. Il messaggio della vastità; il messaggio di Dio senza limiti né confini; il messaggio dell’anelito e del suo infinito soddisfacimento. Esse chiamano l’«uomo dell’anelito»; l’uomo il cui cuore è aperto all’immensa vastità. — Che bello! Coloro che vanno a messa sono gli uomini dell’anelito: gli uomini aperti all’immensa vastità — Sì, quando udiamo le campane, noi sentiamo la vastità! Quando esse oscillano dal campanile verso la pianura, in tutte le direzioni dell’infinito, anche l’anelito dispiega con esse le ali verso la lontananza, finché comprende che il soddisfacimento non si trova al margine della pianura evanescente nell’azzurrino, bensì dentro. — Il soddisfacimento è dentro la chiesa — Quando i rintocchi delle campane dalla chiesetta montana inondando la valle oppure salgono nell’azzurro del cielo, il petto si allarga e sente d’essere molto più ampio di quanto altrimenti credesse. Oppure i rintocchi giungono da lontano nel bosco attraverso la verde calma del crepuscolo, né sai di dove, lontano, lontano. Oh, come tutto si desta qui! Cose da lungo dimenticate riaffiorano, così che ci si arresta, si ascolta, ci si domanda: «Ma cos’è questo?… Cosa?…». Qui si percepisce la vastità. Come essa sia un dilatarsi dell’anima, un ipertendersi, un rispondere all’invito lontano della infinità. «Così vasto il mondo», dicono le campane. «Così pieno di nostalgia… Dio chiama… In Lui solo è la pace… ». — Se noi uomini recuperassimo l’ascolto e il linguaggio delle campane probabilmente saremo anche un po’ meno disperati — O Signore, più vasta del mondo è la mia anima. Più profondo di tutte le valli è il suo sospiro e il suo anelito è più doloroso del rintocco che va perdendosi nelle lontananze. Tu, Signore, Tu solo lo puoi soddisfare, Tu solo…

Dobbiamo veramente mantenere sempre questo anelito del cuore, non soffocarlo mai con le cose del mondo, con gli impegni della nostra vita quotidiana che, seppure leciti, però non sono tutto. E non dobbiamo neanche soffocarlo con il divertimento, con le esagerazioni in tutti i sensi. Questo anelito deve essere sempre presente.

E se forse le campane non le sentiamo più… magari in qualche posto suonano ancora. Una volta, vi ricordate? Suonavano anche di notte! E facevano i quarti d’ora, incredibile! Mamma mia, quando suonava la mezzanotte e un quarto: 24 colpi, tum… Io me lo ricordo! Scandiva i quarti d’ora, era incredibile! Sentivi proprio lo scorrere del tempo e sentivi proprio il richiamo di Dio. Io me lo ricordo molto bene perché tornavo da scuola e lo scandire del quarto d’ora mi diceva quando era ora di prendere la bicicletta e scappare in chiesa. Quindi quando sentivo che si avvicinavano ormai le 18, perché andavo alla messa la sera, dicevo: “Ecco, ci siamo, mi sta chiamando”. E quando scoccava il quarto, basta! Dovevo correre veloce come un siluro, perché sapevo che era proprio “il mio quarto”, era proprio per me, e non potevo perdere quell’attimo, perché sennò sarei arrivato in ritardo, non mi sarei potuto preparare… e tutti i discorsi annessi e connessi.

Oggi, forse, non abbiamo più tutta questa grazia, però possiamo averla interiormente: possiamo avere interiormente il pensiero che il Signore ci sta chiamando. Il Signore ci chiama sempre nella sua casa. Al posto di avere i rintocchi della campana o delle campane, abbiamo i nostri telefoni che ci possono avvisare e dire: è ora! Tra l’altro ho visto che nelle suonerie c’è il campanile o le campane, una roba del genere. E quindi uno può mettersi anche una sveglia che ci chiama col rintocco delle campane quando è il momento di andare in chiesa. E quando entriamo in chiesa non dimentichiamo che siamo nella casa di Dio.

Il Vangelo di oggi mi sembra veramente fatto apposta per dove siamo arrivati, ma queste “sante coincidenze” sono belle, perché ci fanno vedere che è tutto parte di un progetto. 

Prima di tutto stiamo attenti a non essere come questo fico, perché il Signore da noi cerca sempre i frutti. Non c’è un tempo propizio: sempre! Dio è sempre alla ricerca dei nostri frutti, le foglie non interessano.

E poi non dimentichiamo che la casa di Dio è la casa di preghiera: «sarà chiamata casa di preghiera».

Quante cose si trasportano attraverso la casa del Signore… Quante cose che non c’entrano niente entrano, escono, passano. Alle volte uno si chiede: “Ma tutta ‘sta gente, si rende conto che è alla presenza di Dio vivo e vero, o è come se fossimo a teatro? Guardando le persone che entrano, che stanno e che escono, si nota una differenza tra l’essere a teatro o l’essere in chiesa? C’è una differenza? Forse, anche la sparizione della genuflessione davanti al tabernacolo… probabilmente anche questo aiuta, aiuta molto a confondere i luoghi.

Già ve lo dissi: quando facevo arti marziali da ragazzo, noi entravamo in palestra e la prima cosa che tutti facevamo era il saluto alla palestra, questo me lo ricordo. C’era proprio un modo di salutare la palestra, tu entravi in palestra e facevi il saluto. E questo saluto consisteva nel congiungere il pugno destro chiuso con la mano sinistra aperta, si accoglieva e si metteva il pugno dentro il palmo della mano sinistra, poi si chiudeva la mano sinistra (addirittura anche adesso, appena dico palestra, mi viene spontaneo farlo subito, ho già il gesto pronto). 

Immaginate il gesto: un pugno che entra nel palmo della mano sinistra, la mano sinistra che si chiude, si stringe sul pugno destro, e poi si faceva un inchino: questo era il saluto alla palestra. Quindi: pugno destro, mano sinistra che chiude, si abbassava il capo e si faceva l’inchino alla palestra. 

Adesso si fa così il saluto a Gesù al tabernacolo. 

Anzi, mi vien da dire che il saluto alla palestra era molto più solenne, fatto molto meglio, più decoroso, con grande raccoglimento. Perché noi ragazzi ci credevamo in queste cose e quindi le facevamo proprio bene.

Mah… l’inchino davanti al Signore è una roba che… Quindi, praticamente, essere in palestra ad essere davanti al tabernacolo è la stessa cosa, anzi… andare a fare arti marziali è di più che andare nella casa di Dio: i segni dicono questo. Poi uno può dire: “No, ma non è così, ma non è vero!” Sì, sì, possiamo dire tutto quello che vogliamo: dobbiamo guardare i segni che cosa dicono. Le parole vanno e vengono, ma quelli che contano sono i segni: i segni che cosa dicono.

Ed è vera questa cosa della montagna. Io ho sempre in mente questa montagna dove c’era una chiesetta. Da ragazzo, da giovane andavo sempre in vacanza a Caspoggio in Valtellina — magari qualcuno di voi è di Caspoggio o di quelle zone — sopra Sondrio, un bellissimo posto. E lì c’è una parte della montagna, adesso non so come dirlo, un pianoro, chiamiamolo così, che si chiama Sant’Elisabetta, e andavo sempre lì. Poi, a quei tempi, non c’erano tutte le case che sono venute dopo. Era un bellissimo posto, erboso, molto fresco, con queste piante, dove si poteva giocare… fino a morire. E lì c’era — credo che ci sia ancora — una chiesetta; una piccola chiesetta di montagna dove si celebrava la messa, dove si poteva entrare a pregare, piccolina. Sapete, con quel profumo tipico delle chiese di montagna, proprio un profumo che hanno solo loro. Beh, io mi ricordo quando suonava la campana, qualunque cosa si stesse facendo, via: tutti nella chiesetta! E poi era bellissimo perché la messa era la sera d’estate e quindi, quando finiva la messa, c’era sempre questo canto che mi è entrato nel cuore e ogni volta che lo sento mi commuovo, che è “Resta qui con noi”. Ricordate, questo canto famoso: “Le ombre si distendono, scende ormai la sera” e tu vedevi proprio che scendeva la sera. Poi questa chiesetta stracolma di persone, di bambini, di ragazze, di famiglie, di persone anziane. Tutti che cantavano proprio con il cuore in mano, e il canto era sempre quello, si cantava sempre, solo quello. Il canto finale era “Le ombre si distendono”, punto. E quindi era il tormentone di ogni estate, che ci interpellava e ci chiamava e ci univa, ci univa tanto. E queste cose credo che poi rimangano dentro, nel cuore, nella memoria, per sempre. E vedete, si sposano proprio con la casa di Dio.

Quindi, cerchiamo di fare di tutto per rendere bella la Casa del Signore, per avere rispetto della casa del Signore, per entrare in punta di piedi nella casa del Signore, perché è del Signore. In chiesa stiamo in silenzio, stiamo raccolti e stiamo uniti a Gesù. Poi quando usciamo va bene, è un altro discorso, ma finché siamo lì ricordiamoci sempre che siamo alla presenza di Dio.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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