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San Luigi Orione e l’Eucarestia, parte 5

San Luigi Orione e l'Eucarestia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: San Luigi Orione e l’Eucarestia, parte 5
Venerdì 28 luglio 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Mt 13, 18-23)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a venerdì 28 luglio 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo tredicesimo del Vangelo di san Matteo, versetti 18-23.

Continuiamo la nostra meditazione su S. Don Orione e oggi vediamo proprio il rapporto tra i poveri e l’Eucarestia.

Don Orione volle dare ai Piccoli Cottolengo, case di carità che accolgono malati mentali e fisici gravi, una intonazione di vita quasi “contemplativa” di fronte al mistero del dolore…

Dolore che queste persone ovviamente sono chiamate a vivere, ad affrontare: sono situazioni veramente gravi di sofferenza. E lui cosa fa? Lui prende il motto benedettino “ora et labora” — abbiamo visto pochi giorni fa San Benedetto — e lo trasporta nella vita così densa di cose da fare, di opere da seguire e di persone da curare che appunto è la vita del piccolo Cottolengo. E quindi, diciamo così, riadatta il motto “ora et labora” alla vita del Piccolo Cottolengo. 

Questo ci insegna veramente che, quando uno dice: “Ah ma no, ma quello che dice San Benedetto è solo per i benedettini; quello che dice San Giovanni della Croce è per i carmelitani; quello che dice Santa Teresa d’Avila è per le monache”. No! Questo è proprio un modo sbagliato di procedere perché loro sì, si sono rivolti in quel contesto preciso a quelle persone precise, ovviamente, però questo non vuol dire che non può avere una valenza universale. Sta a noi trovare questa valenza.

Quindi la mamma di famiglia con tre figli può vivere il motto di San Benedetto ora et labora? Certo. Non nella modalità del monaco benedettino, ovviamente, ma questo non interessa, non è questo che ci preme. Perché dobbiamo tutti vivere le stesse cose nelle stesse modalità? No! Nella sua modalità la mamma troverà la sua modalità da mamma per vivere il motto di San Benedetto, il sacerdote la troverà da sacerdote, il missionario la troverà da missionario. In concreto: lo vuoi fare? Vuoi vivere questo motto? Guarda, la fantasia non ti mancherà, saprai trovare il modo intelligente, rispettoso della tua vita per prendere il motto — questo motto ad esempio — e trasportarlo nella tua esistenza come ha fatto Don Orione.

E lui, appunto, tornava spesso sul fatto che nei Piccoli Cottolengo dovesse regnare la laus perennis, cioè la lode perenne: perennemente si doveva lodare Dio, attraverso delle preghiere cadenzate lungo le ore del giorno, attraverso la celebrazione dell’Eucaristia, attraverso la comunione frequente, attraverso il lavoro, attraverso il sacrificio per la gloria di Dio… Cioè, lungo la giornata, nelle sue case — le case del Piccolo Cottolengo — si doveva innalzare costantemente una lode perenne a Dio. Una lode perenne a Dio attraverso questi momenti: la celebrazione eucaristica, la comunione, la preghiera, l’Ufficio… Così in questo modo costantemente si veniva a pregare il Signore. 

Lui scrive

“Cosa si fa al Piccolo Cottolengo?

Se uno si chiede: cosa si fa al Piccolo Cottolengo, come si vive? Provate a farvi questa domanda, provate anche a farla a qualcuno che conoscete, un po’ addetto ai lavori, che conosca le realtà della nostra fede. “Ma secondo te al Piccolo Cottolengo cos’è che fanno?” Provate a fare questa domanda. Credo che anche se la fate a noi sacerdoti, io per primo, non avremmo dato la risposta che ha dato adesso Don Orione. Se tre settimane fa mi aveste chiesto: “Padre Giorgio, ma cosa si fa al Piccolo Cottolengo di Torino?”. Ecco, io vi avrei dato tutte le risposte possibili, tranne l’unica giusta, che è quella che adesso vi leggo, che è quella del fondatore, di Don Orione, l’unica vera. Adesso ve la leggo:

Si fanno Comunioni. Si prega e si prega! Laus perennis! Orate sine intermissione! La preghiera è il primo lavoro del Piccolo Cottolengo. Gli scemi, i cretini, gli idioti… voci che non sono parola, fanno pietà: Iddio le sa distinguere!”

 Guardate, basterebbero queste righe per dire: questa è l’intenzione di un santo, questa è la vita di un santo, queste parole echeggiano tranquillamente e serenamente in quelle del beato Padre Damiano di Molokai. Vedete, che uno sia in un lebbrosario, che uno sia al Piccolo Cottolengo, che uno sia chiuso in un eremo, che uno sia quello che volete, cambia la forma, ma quello che non cambia mai, se è santo, se è interessato alla santità, è esattamente il rapporto con Dio. Cambierà il modo di attualizzare questo rapporto, ovviamente, ma per tutti questi santi della carità il primo posto lo occupa Dio. 

Parlare di carità vuol dire innanzitutto parlare di preghiera. Avete sentito? Cosa si fa al Piccolo Cottolengo? “Si fanno comunioni, si prega, si prega, laus perennis, si prega senza intermissione, la preghiera è il primo lavoro del Piccolo Cottolengo…” 

Io, invece, tre settimane fa alla domanda: “Cosa si fa al Piccolo Cottolengo?” vi avrei risposto: “Al Piccolo Cottolengo si curano le persone sofferenti, al Piccolo Cottolengo sono ricoverate persone con gravi disabilità, al Piccolo Cottolengo…” e via di seguito. Questo non è falso,  non è una menzogna, questo è vero. Ma non è ciò che lo contraddistingue, è ciò che appare. Certo, appare questo, tu vedi questo quando vai, ma non è il suo segno distintivo, non è l’atto sorgivo di questa realtà. Perché noi dobbiamo sempre puntare a scoprire l’atto sorgivo di ogni realtà, e l’atto sorgivo di questa realtà è quello che vi ho appena detto. 

Quindi, quando noi prendiamo la nostra vita e cominciamo a dire: “Ah no, ma io ho tante cose da fare, io ho tanti impegni, il mio stato di vita non mi richiede tutta questa preghiera…” stiamo dicendo una grande moltitudine di sciocchezze. E queste cose le dicono coloro che di norma non hanno voglia di pregare. Non hanno voglia di stare col Signore.

Quante volte, Don Orione diceva: “farò pregare i nostri poveri per lei”.

Perché, vedete, lui usa delle espressioni un po’forti, ma a quel tempo ci stavano, non erano offensive; lui dice:

… voci che non sono parola, fanno pietà

Fanno pietà perché ad ascoltarli non si capisce nulla, non riescono ad articolare una frase. Ma questo non ha importanza perché, dice Don Orione:

Iddio le sa distinguere!

Questo che vi dirò è un messaggio che dobbiamo mandare, questo tema che adesso vi dico, come la vedovanza, è un tema che non è molto trattato oggi a livello della predicazione. Cioè: cosa vuol dire vivere una disabilità grave e cosa vuol dire vivere con un disabile grave. Io devo dirvi che in cinquant’anni non ho mai sentito una predicazione su questa realtà. Non lo so, probabilmente perché la si dà per scontata, probabilmente si dice: “Vabbè, queste persone che vivono queste situazioni sono talmente già eroiche loro che non c’è bisogno che noi facciamo una predicazione su questa cosa”, ma penso che sia sbagliato, perché io per primo, ripeto, in questi 20 e rotti anni di sacerdozio non mi sono mai ritrovato a fare una predicazione, un’omelia su questa realtà, ma è sbagliato. È sbagliato perché chi vive la grave disabilità e chi vive con disabili gravi ha comunque una situazione di difficoltà e di fatica importante che, come dirvi, richiede un’attenzione speciale, esattamente come chi vive la questione della vedovanza, sono sofferenze grosse. 

Credo che oltre che essere una sofferenza grande inerente proprio alla disabilità in quanto tale — che già basterebbe — c’è anche una sofferenza legata al senso. Che senso ha tutto questo? Perché tutto questo? Perché a me? Perché non ho una vita normale come tutti gli altri. Perché tutta questa eccedenza di problemi di fronte ai quali io volentieri farei anche a meno?

Eppure, Dio sa distinguere queste voci, Dio sa distinguere questo parlato, Dio sa distinguere queste esistenze. E questo è importante: ciò che agli occhi degli uomini è una disgrazia, ciò che agli occhi degli uomini è confusione, è sofferenza pura, non è così agli occhi di Dio. 

Allora ecco che lui dice: «Farò pregare i miei poveri per lei». Che magari uno pensa: “Sì, ma che preghiera può fare?”, perché la frase che poi diciamo è: “Tanto non capisce niente”, oppure l’altra domanda che facciamo è “Ma capisce?” Perché per noi tutto si risolve lì: capisce o non capisce? Se capisci allora tu sei un essere, tu sei vita, tu puoi avere il diritto di vivere. Ma se non capisce niente, che senso ha? Non ha nessun senso. Perché vivere se non capisci niente? Voi comprendete che questo modo di ragionare e di vedere le cose è terribilmente ingiusto, irreale, parziale, perché noi non siamo dei cervelli che camminano. Noi siamo persone. Siamo il nostro cervello, ma molto di più. Questo non ce lo dimentichiamo, perché sennò capite che uno a cui viene l’Alzheimer, uno che va in coma, uno che non può più parlare, non può più pensare, basta, è morto. Sì, ma c’è un corpo, eh? Il corpo non è la testa, non è solo la testa. Ecco, non dimentichiamo il Salmo 34 versetto 7:

“Il povero grida e il Signore lo ascolta”.

E il Siracide 21,5

“la preghiera del povero va dalla sua bocca agli orecchi di Dio”

Sentite cosa scrive Don Orione adesso, è bellissima questa cosa:

  “Vorrei che lasciaste nei nostri malati e ricoverati la pratica della santa Comunione sacramentale quotidiana. Deve essere un tributo giornaliero di fede e di amore dei nostri poveri a Gesù, che è rimasto in mezzo a noi pel suo grande amore verso le anime nostre. Il Piccolo Cottolengo di Genova deve essere un vero cenacolo ove si riceva Gesù sacramentato possibilmente da tutti, tutte le mattine… Il Piccolo Cottolengo deve essere tutto e solo basato sulla SS.ma Eucaristia: non vi è altra base, non vi è altra vita, sia per noi che per i nostri cari poveri”.

Qua si sente Don Bosco. Non si sente il seminario, perché — come abbiamo visto — non ha vissuto in seminario, ma lui, essendo Don Orione ha detto: “Sì, va bene, questo è il seminario, ma io il mio seminario l’ho vissuto con Don Bosco. È lì che ho imparato cosa vuol dire essere cristiano”, capite? Quindi, alle volte, quando facciamo delle esperienze meno significative o anche brutte, non devono avere l’ultima parola su di noi. È da sciocchi pensare che deve essere così. Perché nella nostra vita se abbiamo avuto delle esperienze belle, usiamole! Facciamone tesoro di queste esperienze belle!

Quindi vedete come ritorna questo tema dell’Eucarestia? Ecco perché ho voluto intitolare queste meditazioni: “San Don Luigi Orione e l’Eucaristia”. Quindi lui vuole la Santa Comunione quotidiana per i malati. Quanto è importante la comunione quotidiana per chi soffre! Lo capiamo delle parole di Don Orione, quanto è importante poter fare la comunione tutti i giorni! Ed è un tributo di fede e di amore che si fa a Gesù! Bella questa cosa, no? A Gesù, perché Lui è rimasto in mezzo a noi per le nostre anime, per il nostro bene, per il Suo grande amore e noi gli tributiamo questo onore dicendo: “Gesù, il tuo volerti dare a me, io non lo vanifico, assolutamente, quindi io vengo ogni giorno a riceverti, perché tu ogni giorno sei lì per me!”. 

Vedete: “Il Piccolo Cottolengo, un vero cenacolo”, dice Don Orione, “la nostra famiglia dovrebbe essere un vero cenacolo, dove si riceve possibilmente Gesù tutti i giorni, tutte le mattine”. Vedete come ritorna?

Anch’io ho sempre insistito perché si potesse andare a messa al mattino, perché ti fa iniziare la giornata in un modo completamente diverso. Chi è abituato a questa pratica credo possa darmi ragione: iniziare la giornata con la Santa Messa è tutta un’altra cosa. Altro che “devo bere il caffè”! «Il Piccolo Cottolengo deve essere tutto solo basato sulla Santissima Eucarestia, perché l’Eucarestia è la base, la vita per tutti». E così dovrebbe essere anche la nostra di vita, la nostra famiglia: totalmente basata sull’Eucarestia.

Io ho questa foto bellissima di Don Orione con questi bambini — perché lui raccoglieva anche gli orfani — veramente bella.

Don Orione definisce le Case di carità — i Piccoli Cottolenghi — “fari di fede e di civiltà… altro che la lanterna di Genova!”:

Altro che il faro che c’è a Genova! Questi sono i veri fari! I veri fari di fede e di civiltà erano le case della carità. Perché? Perché lì c’era tutto, c’era la carità!

la luminosità è data dalla particolare trasparenza di Dio nei poveri… Le chiama anche “nuovi pulpiti” da cui parlare di Cristo e della Chiesa, “nuove cattedre di civiltà”: è chiaro che i “maestri” sono i poveri, innanzitutto, gli altri sono collaboratori e inservienti.

Bellissimo!

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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