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D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 43

Falò sulla spiaggia

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: D. Bonhoeffer, Sequela. Parte 43
Martedì 19 settembre 2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

Per motivi di intenso traffico non ci è possibile rendere disponibile l’ascolto dei file audio direttamente dal nostro sito. Se hai dubbi su come fare, vai alle istruzioni per l’ascolto delle registrazioni.

VANGELO (Lc 7, 11-17)

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Testo della meditazione

Scarica il testo della meditazione in formato PDF

Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 19 settembre 2023. Oggi festeggiamo San Gennaro, Vescovo e martire. Quindi un ricordo particolare a tutti coloro che sono di Napoli.

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal capitolo settimo del Vangelo di san Luca, versetti 11-17.

Proseguiamo la nostra lettura del libro Sequela di Bonhoeffer.

«Voi siete il sale», non: «dovete essere il sale»!

Scrive Bonhoeffer commentando il brano del Vangelo

Non dipende dalla volontà dei discepoli esserlo o no. Neppure viene loro rivolto un appello, perché diventino sale della terra. Al contrario, essi lo sono, volenti o nolenti, in forza della chiamata che li ha raggiunti. Voi siete il sale; non: voi avete il sale. Sarebbe un fraintendimento riduttivo voler equiparare il messaggio dei discepoli al sale, come hanno fatto i riformatori. Qui si parla dell’intera loro esistenza, in quanto rifondata dalla chiamata di Cristo alla sequela, di quella esistenza di cui parlavano le beatitudini. Chi, raggiunto dalla chiamata di Gesù, si trova nella sequela, a motivo di questa chiamata diventa sale della terra nell’intera sua esistenza. D’altronde, l’altra possibilità consiste nel fatto che il sale diventi sciocco — insipido — e cessi di essere sé stesso. Cessa così di aver efficacia. Allora veramente non serve più a niente, se non a venir gettato via. Questa è la qualità specifica del sale. Ogni cosa deve venir salata: ma il sale, se diventa sciocco, non può più venir salato. — Il sale sala tutto ma non può salare sé stesso — Con il sale si può conservare tutto, anche i materiali più guasti, solo il sale diventato sciocco è guasto senza speranza. Questo è l’altro aspetto, il minaccioso giudizio che incombe sulla comunità dei discepoli. La terra deve essere salvata per mezzo della comunità, e solo la comunità, che cessi di essere ciò che essa è, è perduta senza speranza. La chiamata di Gesù Cristo significa essere sale della terra od essere annientati, significa porsi nella sequela: diversamente, la chiamata stessa annienta coloro che sono chiamati. Non c’è ulteriore possibilità di salvezza. Non ci può essere. 

Fermiamoci un attimo. Gesù dice: “Voi siete il sale”, quindi non “dovete essere” e neppure “voi avete”. Quindi non dipende dalla volontà del discepolo, non è un appello che viene rivolto al discepolo perché diventi lui sale. In forza della chiamata i discepoli sono sale, che lo vogliano o non lo vogliano. È la chiamata che li rende sale. Quindi tutta la loro esistenza, a motivo della chiamata alla sequela (e quindi viene come rifondata questa esistenza) è sale. Quindi, con la chiamata di Gesù c’è una rifondazione. Certo, perché cambia il fondamento. Del resto, la conversione non è altro che il cambio del fondamento di una vita.

L’altra possibilità è che il sale diventi sciocco — lui scrive “sciocco” — cioè, diventi insipido e cessi di essere sé stesso. In una nota il libro dice nel termine tedesco questa traduzione ha anche il significato di stupido (nota numero 50). In effetti, se voi ci pensate, ci sta. Se noi pensiamo alla nostra vita, nella misura in cui il cristiano, il discepolo diventa insipido, è anche stupido. “Cessa di essere sé stesso”. Quando io smetto di essere me stesso nel senso più bello, più nobile, più vero del termine, io mi instupidisco. Quando noi vediamo un bambino che fa lo sciocco, lo richiamiamo perché sia sé stesso, non assuma quella parte che non gli è propria. Quindi dobbiamo stare molto attenti a questo insipidirci.

E quindi l’esito è, come abbiamo visto: 

Cessa così di aver efficacia

E quindi non serve più a niente: se il sale diventa insipido, non serve più a niente. Perché con il sale si possono fare tantissime cose, ma se diventa insipido non può più essere salato. E quindi lui scrive: 

Solo la comunità, che cessi di essere ciò che essa è, è perduta senza speranza

Certo, se smette di essere se stessa, che speranza può avere? Deve recuperare la sua identità “salina”. Deve recuperare la sua identità di essere alla sequela di Gesù. Quindi o sei sale oppure sarai annientato: a nient’altro serve che essere gettato via e calpestato dagli uomini. Questa è l’alternativa che pone Gesù. Quando ti poni alla sequela, quando rispondi alla chiamata di fatto o sei sale, e quindi realizzi esattamente ciò che sei, oppure questa stessa chiamata ti annienta. E non c’è una terza via. 

La chiamata di Gesù attribuisce alla comunità dei discepoli non solo l’efficacia invisibile del sale, ma anche lo splendore visibile della luce.

Ecco qui adesso entra in gioco anche l’altra realtà: essere sale, da una parte, ed essere luce.

«Voi siete la luce», e non — ancora una volta —: «Dovete esserlo!». È la chiamata stessa che li ha resi tali. Non può essere diversamente: essi sono una luce che è vista; diversamente, risulterebbe chiaro che la chiamata non li ha raggiunti. Sarebbe del tutto impossibile, irrazionale per i discepoli di Gesù, per questi discepoli, voler diventare luce del mondo! Invece essi sono resi tali già dalla chiamata, nella sequela. Ancora una volta non si dice: voi avete la luce, ma: voi siete la luce. La luce non è qualcosa che vi sia stato dato, ad es. la vostra predicazione, ma siete voi stessi. Appunto colui che dice di sé propriamente: Io sono la luce, dice propriamente ai suoi discepoli: Voi siete la luce in tutta la vostra vita, fintantoché vi attenete alla chiamata. Poiché siete tali, non potete più restare nascosti, anche volendo. La luce splende, e la città sul monte non può restare nascosta. Non è possibile. È visibile da lungi in tutto il paese, sia che si presenti come solida città o fortificazione custodita, sia che risulti una rovina in disfacimento. Questa città sul monte — quale israelita non penserebbe qui a Gerusalemme, la città costruita sul monte è la comunità dei discepoli. Con tutto ciò coloro che sono nella sequela non vengono posti nella necessità di prendere una decisione: l’unica decisione che conti per loro è stata già presa. Ora devono essere ciò che sono, oppure non saranno più seguaci di Gesù. I seguaci sono la comunità visibile, la loro sequela è un agire visibile, con il quale si distaccano dal mondo, oppure non si tratta affatto di sequela. In effetti la sequela è qualcosa di altrettanto visibile che una luce nella notte, come un monte che si elevi sulla pianura. La fuga nell’invisibilità è un rinnegamento della chiamata. Una comunità di Gesù che voglia essere invisibile non è più una comunità nella sequela. «Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma su un portalucerne»: questa è ancora una volta l’altra possibilità, che cioè la luce venga deliberatamente coperta, che essa si spenga sotto il moggio, che la chiamata sia rinnegata. Il moggio sotto cui la comunità visibile nasconde la propria luce, può essere sia il timore umano sia una voluta conformità al mondo per qualche scopo, sia pure di tipo missionario o ispirato a un malinteso amore per gli uomini! Ma potrebbe anche essere — cosa ancora più pericolosa — una teologia che si dice fedele alla Riforma, che addirittura osa chiamarsi theologia crucis, e il cui segno distintivo consiste nel preferire ad una visibilità «farisaica» una «umile» invisibilità nella forma di una totale conformità al mondo. Non una visibilità straordinaria, ma il dar buona prova nell’ambito della iustitia civilis diventa qui il contrassegno della comunità. Il criterio dell’essere cristiani qui è addirittura che la luce non risplenda. Ma Gesù dice: fate splendere la vostra luce al cospetto dei pagani. Ciò che qui risplende è, in ogni caso, la luce della chiamata di Gesù. Ma che specie di luce è quella di cui devono risplendere questi seguaci di Gesù, questi discepoli delle beatitudini? Che specie di luce deve venire da quel luogo che spetta solo ai discepoli? Che cosa ha a che fare l’invisibilità e il nascondimento della croce di Gesù, sotto la quale si trovano i discepoli, con quella luce che deve risplendere? Da quel nascondimento non dovrebbe appunto conseguire che gli stessi discepoli devono appunto stare nel nascondimento e non nella luce? Questo è un cattivo sofisma che vuol dedurre dalla croce di Cristo la conformità della chiesa al mondo. Forse che l’ascoltatore semplice non vede chiaramente che proprio lì, presso la croce, è divenuto visibile qualcosa di straordinario? O forse tutto questo non è che iustitia civilis, la croce non è che conformità al mondo? Forse la croce non è qualcosa che proprio nella assoluta oscurità è diventato incredibilmente visibile, sconcertando totalmente gli altri? Non è abbastanza evidente che Cristo è stato respinto e deve patire, che la sua vita ha termine fuori delle porte della città, sul colle dell’infamia? Questa è forse invisibilità? 

Fermiamoci qui, perché mi sembra che abbiamo già letto tante cose. Siamo adesso a commentare la luce: “voi siete la luce”, quindi non “dovete esserlo”, non “avete”, non “dovete diventarlo”. Ma anche qui, come per il sale, è la chiamata che rende luce. E questo in funzione del fatto che Gesù dice: “Io sono la luce”. Quindi Lui, che è la luce, dice ai suoi discepoli in modo proprio: “Voi siete la luce, in tutta la vostra vita. Però,  fintanto che vi attenete alla chiamata che avete ricevuto. E quindi non potete più restare nascosti”. Anche volendo, non è possibile. Anche in questo caso non c’è una decisione da prendere. Non c’è, perché è stata presa la decisione: quella di rispondere alla chiamata e mettersi alla sequela. Quindi ora devono essere ciò che sono. Se non sono luce, non sono più i discepoli di Gesù. 

Il nostro agire, l’agire di coloro che vogliono essere discepoli di Gesù è un agire visibile. Se è visibile, vuol dire che si deve vedere qualcosa. Che cosa si vede? Si vede che si distaccano dal mondo. Deve vedersi: nel discepolo di Gesù si deve vedere un distacco, deve essere manifesto che c’è un distacco dal mondo. “Sono nel mondo — ricordate — ma non sono del mondo” — così dice la Lettera a Diogneto. Il discepolo deve manifestare questo distacco. Tu, senza che lui parli, guardi la sua vita e dici: “Quell’uomo, quella donna, quel giovane, quel ragazzo, quell’adulto, quell’anziano è nel mondo, ma non è del mondo. La sua vita manifesta questo distacco, questa separazione”. Che non è chiusura, non dobbiamo fraintendere. La separazione non è chiusura. È, appunto, singolarità. Quello che dicevamo nei giorni scorsi.

Quindi se io sono sale, se io sono luce, rimango tale: devo essere sale, devo essere luce. E quindi c’è una separazione netta rispetto al mondo. Se voi di notte accendete una candela, perché lei possa brillare c’è uno spazio ben preciso, e c’è una separazione ben precisa tra quella luce e le tenebre. Non c’è possibilità: se non c’è separazione, c’è confusione, vuol dire che la candela è spenta. Quando ero piccolino e andava via la corrente, a casa c’era sempre una candela pronta: si accendeva la candela per andare a sistemare il contatore, a rimettere la luce. Eh, ma la candela deve fare la candela. Cioè, deve fare luce. Perché sennò a cosa serve? E l’andare in giro con la candela in mano serve proprio, grazie alla sua luce, a vedere i piedi, i gradini, la porta, la serratura, le chiavi, a vedere cosa devi fare, a vedere il contatore e come lo devi gestire. Ora, quella luce ha un suo spazio: quella fiamma genera una luce che ha un suo spazio. E questo spazio crea un confine, una separazione rispetto alle tenebre circostanti. Attorno alla fiamma non ci può essere la tenebra, fine del discorso. Grazie a questa separazione, grazie a questo contorno, grazie a questo confine, anche se c’è tenebra posso vedere perché c’è la candela che illumina. Capite? Questo vuol dire. Quindi il cristiano immaginatelo come questa candela accesa, la cui fiamma dice “distacco”, dice “separazione”. È all’interno, no? Immaginate la casa buia: ecco, quella candela è all’interno di quella casa, ma non è quel buio. All’interno di quella casa c’è il buio, perché è andata via la luce. La candela viene accesa: benissimo, quella candela è dentro quella casa, è dentro, immersa in quel buio, ma non è quel buio, perché lei, una volta accesa, illumina grazie alla sua singolarità. Quindi lei è quello. Questa è la singolarità: il cristiano è luce, il cristiano è sale. Questa è la sua singolarità. E quindi, lui dice: 

La fuga nell’invisibilità — certo, perché sei luce, non puoi essere invisibile — è un rinnegamento della chiamata. 

E quindi se io la copro, se io la spengo sotto il moggio, di fatto sto rinnegando la chiamata. E cosa può essere questo moggio che spegne la luce? Può essere il timore umano, il timore degli uomini, la paura degli uomini. Questo purtroppo è motivo di grande preghiera. Quando noi preghiamo il nostro Salterio di Gesù di Maria, quando noi facciamo una novena, quando noi andiamo a fare la nostra Comunione, andiamo alla Santa Messa, dobbiamo tanto chiedere al Signore la grazia di vincere il timore degli uomini, perché ci attende ovunque. Noi abbiamo paura del giudizio degli altri. Il giudizio degli altri ci condiziona da quando ci svegliamo. E questo, di fatto, spegne la luce. È il moggio che copre e che spegne la luce. Voi pensate a una a una candela: ecco, immaginatevi di coprirla con un secchio. Da lì a breve, quella candela si spegne, perché manca l’ossigeno. Il secchio che copre la candela è il timore umano, la paura degli uomini. Cosa dicono gli altri di me? Cosa pensano gli altri di me? Cosa potrebbero dire? Cosa potrebbero pensare? 

Oppure, questo moggio può essere la conformità al mondo, per qualsiasi scopo. Uno si può inventare qualunque motivo, qualunque ragione che dica: “Dobbiamo conformarci al mondo. Il mondo va a sinistra? Anche noi dobbiamo andare a sinistra; il mondo va a destra? Anche noi dobbiamo andare a destra; il mondo va in alto? Dobbiamo andare in alto; il mondo va in basso? Dobbiamo andare in basso; il mondo si ferma? Mi fermo anch’io; il mondo questa strada non la percorre? Anch’io non la percorro; il mondo chiude gli occhi su questa questione? Li chiudo anch’io; il mondo su questa realtà tace? Devo tacere anch’io; il mondo dice che questa cosa va bene? Anche io, discepolo di Gesù, devo confermarmi al mondo e dire che va bene”. Questo è mettere la luce sotto il moggio. 

Bonhoeffer dice che una ragione può essere di tipo missionario: per un motivo missionario mi vado a conformare al mondo. Vedete? C’è sempre una ragione apparentemente buona, dice Bonhoeffer. Quindi in funzione del portare il Vangelo, in funzione del fare accettare il messaggio di Gesù, vado a conformarmi a quella mentalità, a quella cultura, a quello stile. 

Oppure può essere ispirato da un malinteso amore per gli uomini. Malinteso perché non è vero. Per un amore, appunto, malinteso, non inteso bene, frainteso per gli uomini cosa faccio? Copro la luce, dico: “No, non facciamola splendere. Perché potrebbe dar fastidio, perché potrebbe illuminare zone molto scure. Quindi, piuttosto che far emergere scheletri nascosti, tolgo la luce e la copro”. Quindi rinnego la chiamata di Gesù. Ma ricordiamoci, questo non è un vero amore per gli uomini. Non si amano gli altri rinnegando la propria identità. Nessuno è chiamato a fare questo. 

Rinnegare sé stesso non vuol dire rinnegare ciò che tu sei, ma vuol dire rinnegare ciò che mi separa da quello che io esattamente devo essere: sale e luce. Ciò che mi intralcia la risposta alla chiamata, ciò che mi impedisce di stare alla sequela. Questo vuol dire rinnegare sé stessi: cioè, rinnegare quella parte di sé che non è conforme alla volontà di Dio. Questo vuol dire, non vuol dire rinnegare l’identità di una persona.

Quindi l’amore per gli uomini va inteso in modo corretto: se amo gli uomini, veramente li devo amare nella verità, nella verità loro e nella verità mia. Devo essere me stesso e, se sono discepolo di Gesù, devo essere sale e devo essere luce, punto. Questa luce va portata. Portata perché sono io che mi muovo, io sono luce. Se sono discepolo di Gesù, io sono luce. E quindi è chiaro che la devo portare, perché nel momento in cui mi muovo — sono luce, io ho la luce dentro, sono io — è chiaro che arriva la luce. 

Bonhoeffer dice: stiamo attenti a una teologia, che magari osa chiamarsi theologia crucis, che fa preferire l’invisibilità alla visibilità. Una teologia che dice: “è meglio restare nascosti, perché se siamo visibili siamo come i farisei, che vogliamo metterci in mostra”. Questa teologia pericolosa — lui la definisce così, “teologia pericolosa” — è quella teologia — lui la chiama theologia crucis — il cui segno distintivo è proprio quello di dire: “Invece che farmi vedere, che sarebbe segno che voglio fare il fariseo, io preferisco una via umile”, che è una falsa umiltà. E uno dice: “Che cos’è questa via umile?” — “È quella dell’invisibilità” — “Sì, e nel concreto?” — Nel concreto sono ancora lì: totale conformità al mondo. La totale conformità al mondo da questa teologia pericolosa viene proposta attraverso la via umile dell’invisibilità, cioè: tu non farti vedere, sii umile (ma in modo sbagliato, ovviamente), nascondi tutto e non farti vedere. E uno dice, “Ok, nel concreto cosa vuol dire?” — “Conformati al mondo!” Devi essere così nascosto, che di fatto sei conforme al mondo. Se vuoi essere umile in modo sbagliato devi nascondere la tua singolarità: sale e luce. Quindi, il criterio dell’essere cristiani cambia. E qual è? Quello che la luce non deve risplendere. Ma scusate, come fa la luce a non risplendere? La devo spegnere. Esatto: è come il sale insipido. Non esiste il sale insipido, perché il sale, nel momento in cui diventa insipido, cessa di essere sale. Se voi notate “sale insipido”, in queste due parole c’è proprio la contraddizione assoluta dell’identità del sale. “Sale insipido”? Ma non può essere! E, potremmo dire: “sale non sale” Allora, è sale o non è sale? Perché, se è sale non può essere insipido e se è insipido non può essere sale. Capite? E qui la stessa cosa. In questa teologia “pericolosa” — che lui dice potrebbe chiamarsi addirittura theologia crucis, ma sarebbe la follia delle follie — il criterio dell’essere cristiani viene rovesciato: non è più “manifestate la vostra luce davanti agli uomini”, ma “non risplendete”, che, capite, è un anti-Vangelo, è il contrario del Vangelo di Gesù. E infatti — lui scrive:

Ma Gesù dice: fate splendere la vostra luce al cospetto dei pagani

Allora questa teologia è pericolosa perché sta proponendo un anti-Vangelo. Sta scritto qui, non me lo sto inventando io! Siamo a pagina 110-111, tutti possiamo andare a leggere questo libro, è scritto qui nero su bianco: ve l’ho appena letto, adesso lo sto commentando. Ecco, quindi lui dice: che cosa risplende? La luce della chiamata. Come faccio io a non risplendere se mi ha chiamato? Se mi ha chiamato devo risplendere. La mia risposta in quell’istante è luce. Quindi lui poi chiede: 

Ma che specie di luce è quella di cui devono risplendere questi seguaci di Gesù, questi discepoli delle beatitudini? Che specie di luce deve venire da quel luogo che spetta solo ai discepoli? Che cosa ha a che fare l’invisibilità e il nascondimento della croce di Gesù, sotto la quale si trovano i discepoli, con quella luce che deve risplendere?

Che rapporto c’è tra questa invisibilità, il nascondimento della croce, e la luce che deve risplendere? Che rapporto c’è? 

Da quel nascondimento non dovrebbe appunto conseguire che gli stessi discepoli devono appunto stare nel nascondimento e non nella luce? 

E lui scrive, sentite bene: 

Questo è un cattivo sofisma che vuol dedurre dalla croce di Cristo la conformità della chiesa al mondo.

Guardate che in questa frase c’è dentro tutto. Dire: “La luce non deve risplendere” e usare la croce e l’invisibilità e il nascondimento legate alla croce di Gesù (lui la chiama theologia crucis), per dire che appunto questa luce non deve risplendere e che bisogna tenere tutto nascosto, ecco, lui dice, “questo è un cattivo sofisma”. Voler dedurre dalla Croce di Gesù la conformità al mondo, la conformità della Chiesa al mondo è un cattivo sofisma. Perché questo nascondersi è quello sbagliato, perché tu non puoi nascondere la risposta alla chiamata di Gesù, questa non si può nascondere. Puoi nasconderti tu, cioè, puoi scegliere che la mano sinistra non sappia quello che fa la destra; puoi nascondere il bene che fai; ma non si può nascondere, nel modo più assoluto, la luce della chiamata. Quindi, non si può andare verso la conformità della Chiesa al mondo. Questo non è possibile. E lui dice: “Non ti rendi conto che proprio lì, presso la croce — questo è incredibile — è divenuto visibile qualcosa di straordinario? E che la croce non è conformità al mondo, e proprio nell’assoluta oscurità è divenuta incredibilmente visibile sconcertando totalmente gli altri?” 

«La croce è qualcosa che proprio nella sua oscurità è divenuto incredibilmente visibile». Nell’oscurità assoluta, la croce è luce. Gesù che muore in croce, figlio di Dio, fuori dalle porte della città, sul colle dell’infamia. Bonhoeffer dice: “Ma, secondo te, questa è invisibilità? Oppure non è massima visibilità? Che vuol dire massima difformità dal mondo? Massima negazione della conformità al mondo”. Ci fermiamo qui.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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