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L’abnegazione – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.28

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’abnegazione – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.28
Martedì 28 novembre  2023

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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VANGELO (Lc 21, 5-11)

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a martedì 28 novembre 2023. 

Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal ventunesimo capitolo di san Luca, versetti 5-11.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo arrivati al capitolo decimo.

CAPITOLO 10

Non basta il distacco dai parenti: bisogna staccarsi anche da sé stessi. Il distacco e l’umiltà sono virtù che van d’accordo.

1 — Dopo esserci staccate dal mondo e dai parenti per chiuderci in questa casa nella pratica di ciò che ho detto, ci sembra di aver fatto tutto e di non dover più avere alcuna lotta. Ma state attente, sorelle, e non abbandonatevi al sonno! Sareste come colui che si corica tranquillamente perché, avendo paura dei ladri, ha sbarrato le porte di casa, senza pensare che i ladri sono chiusi dentro. Ora, come sapete, finché siamo dentro di noi, non vi è ladro peggiore. Se non ci sorvegliamo accuratamente, se ognuna di noi non considera la propria abnegazione come l’affare più importante, una moltitudine di ostacoli ci impedirà quella libertà di spirito che sola ci permette di volare al Creatore, non più carichi di terra e di piombo.

2 — Rimedio a tanto male è aver sempre innanzi che tutto è vanità e che presto tutto ha da finire. Con ciò le nostre affezioni, togliendosi a queste cose così fragili, si porteranno alle eterne. Benché questo mezzo non sembri molto efficace, tuttavia è per l’anima di grandissimo vantaggio, purché si badi attentamente di non attaccarsi ad alcuna cosa per piccola che sia: appena ci si accorge di un attacco, allontanarne subito il pensiero per elevarlo a Dio, ed Egli ci aiuterà. Si è già fatto il più con entrare in questa casa, e grande è stata la grazia di Dio. Ora ci rimane da staccarci da noi stesse e da lottare contro la nostra natura: cosa assai dura per esser noi troppo unite e troppo amanti di noi stesse.

Allora, questi due primi paragrafi cosa ci dicono? Ci dicono che non dobbiamo mai abbandonarci al sonno, cioè, dire: “Vabbè, la cosa più grande, la più importante, la più impegnativa, io l’ho fatta”; lei qui parla dell’entrare in monastero, quindi dell’essersi staccati dal mondo e dai parenti. Per chi non è entrato in monastero mi vengono in mente le persone, ad esempio, che sono convertite. Quindi: una volta che io ho abbandonato i peccati di un tempo, una volta che non cado più in certe cose molto brutte, una volta che alcuni vizi gravi sono riuscito ad estirparli, il rischio ed è di abbandonarci al sonno. Il rischio è di dire: vabbè ormai il lavoro più grosso è stato fatto, non c’è molto altro da fare. In realtà, Santa Teresa ci dice che la cura della nostra abnegazione, del nostro rinnegamento, è la cosa più importante. Senza cura della nostra abnegazione, non potremo mai raggiungere la libertà di spirito, libertà di spirito che è l’unica che ci permette di volare verso Dio, quindi: rinnegarci per liberarci.

Santa Gertrude parla di una penitenza passiva. Esiste la penitenza attiva, ma c’è anche una penitenza passiva, che Gesù le va mostrando. 

Nel tempo dell’Avvento, come nel tempo della Quaresima, siamo tutti portati — o dovremmo essere tutti portati — a vivere in modo più forte la penitenza, l’abnegazione, il rinnegamento di sé e allora, come già tante volte vi ho detto, ci inventiamo le cose alle volte più strane, o comunque prendiamo in mano dei cliché che sono sempre quelli, e che di fatto non ci cambiano in niente: non comportano un vero rinnegamento del nostro io.

Adesso affrontiamo l’Avvento, perché ormai il Natale non è molto lontano, tra un mese l’avremo già celebrato, quindi è proprio alle porte. Allora: “Nel tempo dell’Avvento non mangio dolci” — “Nel tempo dell’Avvento smetto di fumare” — “Nel tempo dell’Avvento non guardo la televisione” — “Nel tempo dell’Avvento non vado sui social” e via di seguito; questa è una forma di penitenza attiva, cioè: io scelgo attivamente di fare delle rinunce. Va bene, ha il suo senso. Però spesse volte vediamo che, alla fine, cosa succede? Decido per il tempo dell’Avvento di non mangiare i dolci, poi arriva Natale e… si salvi chi può! Dolci fino a morire. Quindi non è servito a molto…

La penitenza passiva è quella che arriva direttamente da Dio: imparare, ogni giorno, ad accettare le penitenze, le croci, le sofferenze, che la Divina Provvidenza ha pensato per noi, e che noi non sceglieremmo mai. Ci sono delle sofferenze fisiche e spirituali per noi pesantissime e che arrivano; ecco, la penitenza passiva è quella di dire: Signore aiutami ad accettare ciò che tu hai pensato per me, per il mio bene, per il bene degli altri, di questo mondo e della Chiesa. Insegnami a soffrire, a saper pazientare, insegnami a chiederti aiuto, a dirti “Gesù non c’è la faccio più, non ce la faccio più, questa sofferenza è terribile (penitenza passiva), la porto, la ricevo, ma mi sembra di morire, mi sembra di non farcela, Gesù, se puoi, aiutami”.

La penitenza non è mai fine a sé stessa, l’abnegazione non è mai fine a sé stessa, ha sempre come scopo la santità, ha sempre come scopo una maggiore intimità divina, una purificazione, un’uscita da noi stessi, quindi: una crescente libertà di spirito. Questo tema dell’abnegazione, dice Santa Teresa, è «l’affare più importante», perché noi, ogni giorno, avremo modo di ricevere dalla Divina Provvidenza forme più o meno grandi di penitenza passiva.

È meglio la penitenza attiva o la penitenza passiva? Guardate, io credo che sia più saggio lasciar scegliere a Dio; sarà più difficile, ma è più saggio. Magari ci saranno giorni dove non accadranno cose particolari, bene, anche quello è un momento di penitenza, perché comincerò a riflettere su tutti i doni di Dio, dei quali, peraltro, non ho mai ringraziato. Uno dice: “Mah, io non so quali!” Vai a fare un giro in ospedale, vai a trovare gli ammalati di oncologia, vai a fare una visita al reparto di psichiatria, vai a fare una visita all’oncologia pediatrica, poi, quando esci, vedrai, avrai bisogno di sederti su una panchina.

Io ricordo l’unica volta nella mia vita in cui senza cercarlo — diciamo così — mi ritrovai nel reparto di oncologia pediatrica. Ero già sacerdote, da poco. Vi confesso candidamente che non ce l’ho fatta; ero molto molto giovane, verissimo, ma… non ce l’ho fatta. A un certo punto ho preso e sono andato via. Proprio una cosa che mi ha veramente preso il cuore e me lo ha stritolato. Mi ricordo benissimo che ho detto: “No, basta, oltre non riesco, non ci riesco, è troppo”; veramente, mi ha profondamente sconvolto. Mi ricordo proprio che sono uscito, son dovuto uscire a prendere aria, ed è iniziata una litania di memorie e di ringraziamenti a Dio, e di preghiere per queste famiglie, per queste mamme, per questi papà, per questi bambini. 

Tra l’altro c’è una cosa che… forse sbaglierò, sicuramente sbaglierò, ma io non riesco a capire questa cosa. Ci sono famiglie che magari vengono da lontano, che devono andare in certi centri di eccellenza perché dove vivono non ci sono, ad esempio per la cura di alcuni tumori rari. Queste persone devono recarsi in queste città con dei disagi enormi: abbandonare la propria casa, dover stare magari diverso tempo lontano, perché bisogna ricoverare il bambino, e quindi il papà e la mamma dovranno darsi magari il turno e deve devono vivere lì. Mi vengono in mente due città: Milano, Roma. Pensate all’ospedale Bambin Gesù di Roma, pensate a Milano, ci sono strutture di cura del tumore molto importanti, molto grosse, centri di eccellenza. Se uno abita altrove — senza citare città — deve prendere, fare la valigia e partire. Mi ha sempre colpito, questa cosa del dare le case in affitto per queste famiglie, che alle volte devono pagare delle cifre incredibili. Va bene un hotel che si fa pagare, ma, dico, tra noi cristiani, ma come posso io… io non ce la farei a dire a questi genitori, già flagellati da una cosa terribile così, a dire: “Sì, vi do la casa in affitto, mille euro al mese”. Ma come fai? Uno dovrebbe dire: “Guardi, gliela regalo”, mi viene proprio da dire! È qui, tanto io non la uso, magari ho la mia casa, vivo altrove, cosa mi interessa? Questa casa sennò rimarrebbe chiusa, devo stare lì a guadagnare sul dolore, la sofferenza e il male di un bambino? Ma dagli questa casa, ma anzi, vai tu ad aiutarli, vai lì tu a fargli da mangiare, portagli tu qualcosa. Ma se capitasse a tuo figlio? Se questa croce fosse capitata sulla tue spalle, a te, cioè: con tutto quello che hai da pensare in quella situazione, devi anche pensare all’affitto? Con tutti i soldi, con tutto quello che devi già spendere, con tutti i disagi, devi anche pensare a prenderti la casa “però lì sarebbe l’ideale, più vicina, però non posso, perché non me la posso permettere, troppo cara, quindi la devo prendere più lontano”, nooo… 

Uno dà la casa in affitto e poi dice: “Eh, io adesso sto riflettendo su quale penitenza fare in Avvento”, ma stiamo scherzando?! Ma guardate che qui bisogna essere veramente ciechi, ma ciechi più degli scribi e dei farisei. Ma come quali penitenze devo fare in Avvento?! Ma dagli la casa! Questa è la tua penitenza! Anzi, questo è il tuo onore: aiutare un malato, un bambino malato, ma quale atto di carità più grande c’è? Uno dovrebbe dire: “Guardi, a me questa croce non è capitata, ringrazio Dio che i miei figli sono sani, però ho questa casetta, casualmente proprio qui davanti all’ospedale, la prenda. Ma non mi deve niente, sì, magari, non lo so, se proprio vuole, dividiamo la spesa del gas se ci sarà, o della luce, va bene, per non andare in rosso”.

Ma poi mi vieni qui a dire: “Eh, adesso cosa posso fare come atto di carità? Aiuto tizio che sta in non so dove”; ma aiuta la persona che hai davanti, il tuo prossimo più prossimo. Vedete che possibilità di abnegazione, di carità a tutto tondo! Rinuncia ai soldi, rinuncia al guadagno, ci perdi, benissimo, e in più fai la carità: guardate, ma c’è dentro tutto! No, io poi devo starmi ad inventare che in Avvento non vado a mangiare il panettone! Ma, secondo te, al buon Gesù interessa che tu hai la pancia vuota, che diminuisci due chili durante il tempo dell’Avvento? Ma Gesù secondo te è una bilancia? Ma Gesù non è una bilancia! Ma cosa vuoi che interessi a Gesù che tu hai mangiato il panettone con le uvette piuttosto che non hai mangiato il cioccolato, piuttosto che non hai mangiato l’uovo di Pasqua. Ma mangia tutte le uova di Pasqua che vuoi!! Ma, intanto, renditi umano e cristiano; ma fai questo atto di carità meraviglioso verso questa famiglia e digli: “Guardi, la prenda, nel nome di Gesù Cristo. Io gliela do in nome di Gesù Cristo, perché io sono credente!” 

Purtroppo, io ho sentito queste cose… “Eh, questa casa padre, la tengo qui libera perché è vicino all’ospedale e può essere data in affitto a quelle persone…” No, no… Se hai questo dono, e sai di malati, di persone sofferenti… non si guadagna sui malati! Non si fanno i soldi sul dolore, no, non è giusto; non è giusto, perché domani tocca a te. Che poi, magari, quella casa lì, ti fanno anche una grazia ad andarci dentro a vivere, che così te la tengono un po’ viva, accendono il riscaldamento, non ti marcisce, l’acqua non ti gela nei tubi, e quant’altro. Te la tengono un po’ viva! Una casa, ogni tanto, va vissuta, non puoi abbandonarla lì così. Ti fanno anche la cortesia, in più tu aiuti anche un bambino, perché aiuti la sua mamma e il suo papà.

Immaginatevi il dolore, la croce che deve portare un genitore che deve avere cura del suo bambino malato! Ma immaginatevi che roba; e questo deve anche stare a pensare all’affitto! Ma per l’amor del cielo!

tutto è vanità

dice Santa Teresa

e che presto tutto ha da finire

“Io con i miei soldi, con le mie proprietà, con le mie cose…” ma morirò! E lascio tutto qui! A chi? A chi lo lascio, a quattro scappati di casa che poi mangiano fuori tutto in un mese? 

Anche lì: “Eh no, ma io a queste cose del dopo morte non ci ho pensato”, e pensaci, hai centovent’anni, quand’è che ci devi pensare? Pensaci! Riflettici che devi morire! Ma pensiamo di essere degli highlander? Guardate che moriremo tutti, eh! Si muore anche a dieci anni, si muore anche a due mesi. “Ho ottantacinque anni e non ho ancora pensato che devo morire”; eh, guarda, vedi un po’ tu… non so! Quando potevi pensare alla morte, se non in un tempo così propizio, come ad esempio la vecchiaia? Devi lasciare tutto, devi lasciare qui tutto e allora? Tutto è vanità! Allora usiamo i nostri beni per fare del bene!

Non so se già vi dissi di quella famiglia, io conoscevo i genitori e i figli, soprattutto i genitori anziani. Guardate, proprio due nonnini meravigliosi: hanno faticato una vita intera — veramente si sono spaccati la schiena — per risparmiare, per mettere via i loro soldini. In tutti gli anni che li ho conosciuti credo di poter dire che non sono mai una volta usciti a cena. Non gliel’ho mai sentito dire. Credo che non siano mai usciti a cena una volta, questi genitori, mai, mai! La loro casetta, una bella casa, molto pulita, decorosa, bella, ma non si sono mai concessi niente, niente! Solo un grande risparmio, una grande fatica, sapete gli uomini e le donne di una volta… Tra l’altro lui aveva anche una posizione importante, quindi, insomma, stavano bene, e, ciononostante, non si sono mai concessi niente. Sempre una vita all’insegna del rigore. Mi ha sempre molto colpito questa cosa, ripeto, non li ho mai sentiti dire di essere usciti una volta a cena. Se io fossi andato tutte le sere a cercarli, li avrei trovati, sono sicuro, sono sicuro. Dopo una vita vissuta così, muoiono. Arrivano i figli: hanno mangiato fuori tutto! Spendendo e spandendo nel modo più ignobile possibile, veramente: nel modo — scusate il termine ma va detto — più schifoso possibile. Io vedevo queste cose e dicevo: non ci credo! Fortuna che questi genitori sono nella gloria di Dio! Spero veramente che il Signore li risparmi dal vedere che cosa stanno facendo questi figli. Hanno usato quei beni nel modo peggiore possibile, altro che: “tutto è vanità”; li hanno sacrificati tutti sull’altare della vanità pura. Dentro di me dicevo: voi non avete faticato un solo giorno per quei soldi, non sono vostri! Li avete ereditati, ma non sono vostri. Anche per un senso di responsabilità, di rispetto verso la fatica di chi li ha guadagnati. Ma dico: come fai a spenderli in quel modo, sapendo che loro non li hanno mai toccati con un dito? Tienili lì, usali per le cose importanti, necessarie e fondamentali, non si sa mai nella vita: una malattia, un problema, una qualunque cosa. No! Non sto a dirvi il modo peggiore con il quale hanno usato questo denaro.

Vedete? Ecco: tutto è vanità! E loro non si sono concessi una cena: non dico di essere andati a mangiare chissà dove, no, no, ma neanche una pizza, neanche a dire: “Guarda, stasera siamo stanchi, usciamo a mangiare un boccone”, niente! Quando sono arrivati i figli… altro che: stasera siamo stanchi, andiamo a mangiare un boccone… gli han mangiato fuori tutto, tutto!

Stiamo attenti, eh, stiamo molto attenti al modo con il quale ragioniamo, al modo con il quale disponiamo, in vita e dopo morte, dei nostri beni. Stiamo bene attenti a non permettere che vadano nelle mani sbagliate. Quindi: finché siamo in vita, diamoli alle persone più degne. Se sappiamo che, dopo la nostra morte, persone indegne ci metteranno sopra le mani, finché siamo in vita diamoli a coloro che ne sono degni, il Signore sicuramente ce li farà conoscere. Così che, quando moriamo… “Che cosa ci ha lasciato?” In milanese, adesso, lo dico: “Vi ho lasciato un bel nigutin d’or” che, tradotto, vuol dire: “Vi ho lasciato in eredità un bel niente d’oro”, ecco! A me non capiterà, ma dovesse capitarmi e fossi in quella situazione, io scriverei nel testamento: “Vi lascio un nigutin d’or, saluti e baci”; rifletteranno sul perché! Invece di lasciare a voi di sperperare, di dilapidare tutti i miei sacrifici e i miei risparmi, li sistemo io prima di morire, così a voi rimarranno le quisquiglie, vi lascio la tovaglia col buco.

Attenti alla vanità, perché c’è anche una vanità nel pensiero, “Eh, ma questi sono i miei parenti…” Ecco, vedete che Santa Teresa qua ci viene in aiuto: il distacco dal mondo e dai parenti. Vedete, nel primo paragrafo c’è scritto:

Dopo esserci staccate dal mondo e dai parenti…

Vedete che vale anche per noi? “Eh, ma quelli sono i miei parenti”, “Eh, ma quelli sono…”, non è questo che conta, quello che conta è: ciò che Dio mi ha dato come un bene, va dato a chi ne è degno; e, finché sono in vita, io posso disporre dei miei beni come voglio, non ho leggi che mi impongano di disporre in un modo piuttosto che in un altro. Finché sono vivo, io dispongo di quello che ho. Ho dieci penne? Sapete, dopo morte… tre devono andare secondo l’asse ereditario a Tizio, quattro devono andare a Caio, una deve andare a Sempronio. Ma questo quando son morto! Finché son vivo, se ho nove penne, le posso dar via tutte e nove, posso darne via nove e mezzo e ti lascio il tappo, rosicchiato. Quel tappo andrà nell’asse ereditario, dividetevi il tappo, io intanto ho sistemato le nove penne!

Bisogna essere molto intelligenti, eh, stiamo attenti, stiamo attenti. Perché i nostri beni vanno amministrati molto bene, in vita e in vista della morte, cosicché io possa dire: “Beh, almeno so che quella persona, o quelle persone ne faranno un uso degno; so che, nelle mani di quelle persone, sono al sicuro, me ne posso andare in pace, perché tutta la mia vita di fatiche, di sacrifici, di cure e di quant’altro, ecco, è servita a qualcuno, aiuterà qualcuno, e nessuno lo saprà mai”. Il bello è questo: che nessuno lo saprà mai; perché finché io sono vivo nessuno sa “dove metto cosa”, “a chi do quanto”, non lo saprà mai nessuno, perché sono vivo io non devo rendere conto a nessuno, quindi prendo e do. Quando son morto: fate voi. Sì, il tappo, vi lascio il tappo rosicchiato; perché:

tutto ha da finire…

non attaccarsi ad alcuna cosa per piccola che sia…

Vedete? A chi dare i miei beni? Oggi stiamo facendo una lezione di testamento, ma di “testamento in vita”, eh, attenzione! A chi dare i miei beni? Qual è la cartina tornasole? È: a chi vedi che non è attaccato. Ci sono persone che tu le puoi ricoprire d’oro e son sempre quelle; ci sono persone che non vengono mai lì a fare i piagnistei, o a elemosinarti le cose, che hanno una grande dignità: fanno fatica a chiedere, ma non perché gli manca l’umiltà, ma perché è come se non volessero disturbare, è come se… preferiscono stare nel bisogno, che fare un passo in avanti. Io, a una persona così, darei tutto quello che ho, perché dico: lì sicuramente è al sicuro. 

Ci sono persone che hanno un grande distacco nei confronti delle cose e voi direte: “Ma padre, lei come fa a capire quando una persona ha un grande distacco verso le cose?” Volete sapere come faccio? Ho un segreto, ve lo svelo: dalla cura che hanno delle cose. Uno dice: “Ma come! Ma questo è proprio il contrario! Ma proprio dalla cura che hanno delle cose, uno dovrebbe dire che è attaccato!” No, è proprio sbagliata questa cosa, non è così. Nella misura in cui uno è distaccato, ha cura delle cose. L’accidioso, il “buttato lì”, in milanese si dice il tra-lì, quello buttato lì tra-la — chiamiamolo così — lo sciattone, il trasandato, quello che spacca tutto quando si muove, ecco, state sicuri che questo è molto appiccicato alle cose, è molto possessivo, in nome proprio del suo disordine. Che gusto c’è a fare un regalo a un barbaro, che gusto c’è? È come dare una mela a un elefante, che gusto c’è? Ma tu guarda un colibrì mentre succhia il nettare di un fiore: che nobiltà, che delicatezza, che bellezza, che preziosità. Grande distacco, grande distacco; lo puoi ricoprire d’oro, ma lo vedrai sempre tanto distaccato, tanto libero, senza questo affanno, questa volontà di possedere la realtà, di possedere più tempo, di possedere le cose, senza questa bramosia di avere. Per l’amor del cielo! Ecco, lei dice:

staccarci da noi stesse…lottare contro la nostra natura…troppo unite e troppo amanti di noi stesse.

Vedete? Questo è il nostro compito: staccarci da noi stessi, lottare contro la nostra natura, perché siamo troppo uniti, troppo amanti di noi stessi. Tutto questo ci aiuta tantissimo.

Vedete, Santa Teresa oggi ci ha permesso anche di fare un approfondimento sui nostri beni materiali.

Cerchiamo di essere intelligenti.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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