Meditazione
Pubblichiamo l’audio della meditazione: Amore e dolore pt.4 – La mistica della riparazione, di don Divo Barsotti pt.28
Martedì 3 settembre 2024
Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD
Ascolta la registrazione:
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VANGELO (Lc 4, 31-37)
In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male.
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.
Testo della meditazione
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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!
Eccoci giunti a martedì 3 settembre 2024. Oggi festeggiamo S. Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa
Abbiamo ascoltato il Vangelo della Santa Messa di oggi, tratto dal quarto capitolo del Vangelo di san Luca, versetti 31-37.
Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di don Divo Barsotti. Scrive:
Gesù, morendo, ha vinto la morte perché nella morte egli ha vissuto l’atto supremo della sua vita, l’atto più alto: la morte fu in lui il supremo atto rivelatore della sua carità, l’atto più efficace, perché, più di ogni altro, glorificò Dio e ottenne una universale salvezza.
Ecco quello che dobbiamo sapere e ricordare ogni volta. Allora non ci rassegneremo soltanto, non saremo uniti a Cristo «nonostante» il dolore, nonostante tanta sofferenza. «Guarda, com’è rimasto sempre buono, come continua a credere in Dio!». E un linguaggio questo che dimostra precisamente come noi non abbiamo compreso nulla del mistero cristiano. È il contrario che è vero: l’anima tanto più sarà santa quanto più saprà riconoscere nel dolore il mezzo per unirsi a Gesù, quanto più, attraverso il dolore, essa vivrà la propria partecipazione al mistero del Cristo: una partecipazione che esige la morte stessa, per raggiungere la piena perfezione della carità.
Se sapremo riconoscere questa verità, non ci sentiremo mortificati e umiliati dalle nostre pene; non ci sentiremo mai esclusi da Dio, abbandonati da lui perché siamo aridi e vuoti, perché siamo disfatti dalla stanchezza, perché siamo oppressi dal dolore. Allora potremo dire quello che scriveva S. Paolo: «Veramente sovrabbondo di gioia nel colmo della mia sofferenza».
Questo è stato possibile al cristiano: convertire così la sofferenza nella gioia, l’umiliazione e la morte nel massimo di potenza e di efficacia, perché proprio «quando sono debole è allora che sono forte»; quando io sono messo a morte, io veramente vivo e divengo principio di vita anche per i fratelli, come Gesù.
Lo cantiamo nel Mattutino bizantino della Resurrezione: «Con la morte Gesù ha calpestato la morte». E con la morte anche il cristiano calpesta la morte, distrugge la morte.
Qui Don Divo un po’ le cose che abbiamo detto in questi giorni, però è sempre bene ridircele.
Gesù, morendo, perché vince la morte? Perché compie l’atto supremo della carità, l’atto più efficace, l’atto che maggiormente glorifica Dio, ed è l’atto che ottiene la salvezza universale. Per questo possiamo considerare la morte di Gesù come l’atto supremo della sua vita. È proprio questo ciò che noi dobbiamo costantemente ricordare. Per cui il cristiano non è semplicemente colui che si rassegna, ma noi saremo uniti a Gesù nonostante il dolore, nonostante la sofferenza. Forse, sarebbe ancora meglio dire “a motivo”, “grazie” al dolore e “grazie” alla sofferenza; se accettata, se vissuta nel modo che abbiamo detto in questi giorni.
Don Divo scrive che «l’anima tanto più sarà santa quanto più saprà riconoscere nel dolore il mezzo per unirsi a Gesù»; vedete, il punto fondamentale è l’unità a Gesù. Che poi, pensateci bene, questo essere uniti a Gesù è il fondamento del nostro essere Chiesa. Cioè, la Chiesa è tale unicamente nella misura in cui è unità a Gesù, è questo il punto. Questa unità nei confronti di Gesù determina l’identità e la sostanza della Chiesa. Se voi dalla Chiesa togliete Gesù, è come se prendete il cuore di un corpo umano e lo togliete dal petto; basta, il corpo rimane, e lì, certo, ma è morto. Gesù e proprio il cuore, il centro, il fondamento, l’origine, la ragione, il tutto, della Chiesa; senza Gesù, la Chiesa non c’è più. Infatti si dice, in modo proprio preciso, che l’Eucarestia è il cuore della Chiesa, perché l’Eucaristia è Gesù, è il suo corpo dato e il suo sangue sparso, è il cuore della Chiesa.
Quindi, questa unione con Gesù è fondamentale per il mio essere Chiesa. Per cui noi abbiamo un Vangelo, noi abbiamo la parola di Dio e cosa vediamo in questo Vangelo e in questa parola di Dio? Noi abbiamo la verifica costante della vera o presunta o addirittura falsa unità con Gesù. Nella misura in cui la mia vita si separa da questa unità con Gesù, per via del fatto che io non vivo obbedendo ai comandamenti, obbedendo all’insegnamento di Gesù nel Vangelo, questa unità viene meno.
Ecco perché, se io pecco gravemente, mortalmente, ho bisogno di confessarmi il più presto possibile, perché mi sono separato da questa unità; questa unità con Dio viene meno. Ecco perché si chiama peccato mortale, capite? Perché uccide la grazia santificante nell’anima della persona. Quella persona cammina, respira, agisce, compra, spende, riposa, mangia, ma spiritualmente è morta; questo è il peccato mortale. Ed ecco che la confessione è il “sacramento dei morti”; non di coloro che sono fisicamente morti, ma di coloro che sono spiritualmente morti; ed ecco perché l’Eucarestia è il sacramento dei vivi, solo dei vivi, perché solo coloro che sono uniti a Gesù, solo coloro che sono in comunione con Gesù, possono ricevere il suo corpo dato e il suo sangue sparso. Vedete come tutti i conti tornano?
Quindi, di fatto noi, quando ci separiamo da Gesù, quando operiamo atti che comportano una separazione da Gesù, soprattutto se è una separazione grave, di fatto noi ci separiamo anche dalla Chiesa; anche il nostro essere Chiesa viene meno. Perché non esiste una chiesa senza Gesù, quindi questa è una questione molto importante.
Don Divo dice che il dolore è un mezzo, non è un fine; l’abbiamo già visto nei giorni scorsi: il dolore e la sofferenza sono un mezzo per unirsi a Gesù, sono la via di partecipazione al mistero di Gesù che, attraverso la carità, permette proprio di raggiungere e di manifestare questa unione.
E quindi, quando noi vivremo le nostre pene, i nostri dolori, il nostro essere aridi, vuoti, la nostra stanchezza, il nostro essere oppressi dal dolore, avendo nel cuore questa verità, non ci sentiremo umiliati, mortificati e distrutti, ma vedremo, in questo, l’occasione per vivere perfettamente la carità, allenandoci ogni giorno sempre di più, ogni giorno sempre meglio. Per cui potremmo dire come S. Paolo: «Veramente sovrabbondo di gioia nel colmo della mia sofferenza». E come S. Paolo potremmo dire, anche: «quando sono debole è allora che sono forte», perché partecipo di questa unità attraverso la debolezza, che è un mezzo per unirmi a Gesù, per esprimere questa unità a Gesù.
Ecco, in questi giorni sono stato un po’ lungo, oggi invece sarò molto breve, finisco qui, domani vedremo un nuovo capitolo.
Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.