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L’umiltà criterio della virtù – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.57

Gesù tende la mano ad un bambino

Meditazione

Pubblichiamo l’audio della meditazione: L’umiltà criterio della virtù – Cammino di perfezione, S. Teresa di Gesù pt.57
Mercoledì 27 dicembre  2023 – San Giovanni, Apostolo ed Evangelista

Predicatore: p. Giorgio Maria Faré, OCD

Ascolta la registrazione:

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PRIMA LETTURA (1 Gv 1, 1-4)

Figlioli miei, quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita – la vita infatti si manifestò, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza e vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena.

Testo della meditazione

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Sia lodato Gesù Cristo! Sempre sia lodato!

Eccoci giunti a mercoledì 27 dicembre 2023. Festeggiamo quest’oggi San Giovanni, apostolo ed evangelista.

Abbiamo ascoltato la prima lettura della Santa Messa di oggi, tratta dalla prima lettera di San Giovanni apostolo, capitolo primo, versetti 1-4.

Continuiamo la nostra lettura e meditazione del libro di Santa Teresa di Gesù, Cammino di perfezione. Siamo arrivati al paragrafo sesto del diciottesimo capitolo.

6 — Che dei semplici soldati combattano alla buona, ed anche fuggano da dove il pericolo è maggiore, non vi sarà chi se ne accorga, né essi rimarranno disonorati. Ma i capitani incentrano su di sé tutti gli sguardi dell’esercito e non possono muoversi senza essere osservati. Certo che la loro carica è magnifica. Quegli a cui il re la concede, ne è molto onorato ma nemmeno piccolo è l’onere a cui, accettandola, si sottomette.3 No, sorelle, non sappiamo quello che domandiamo. Lasciamo fare al Signore, e non siamo di coloro che pare insistano a domandar conforti da Dio come se per giustizia Egli sia tenuto a esaudirli. Bel modo di praticare l’umiltà!… Per questo Colui che conosce ogni anima, fa bene a non ascoltarli che assai raramente, perché vedete che, quanto a bere il suo calice, non sono disposti.

I capitani — e qui fa riferimento, come già sappiamo, ai sacerdoti e ai predicatori — incentrano su di sé gli sguardi di tutti, di tutti i soldati, di tutti coloro che fanno parte dell’esercito, e per forza (perché è così) non possono muoversi senza essere osservati; questo è quello che accade ai capitani. Hanno una carica magnifica, certo, però, oltre l’onore, c’è anche l’onere. 

Nella nota dice:

3 Gli uomini per essere un po’ più onorati, si obbligano a maggiori sacrifici, ma un momento solo di debolezza può mandar tutto in rovina. (Manoscr. Escor.).

Quindi, è vero che dobbiamo prestare una grande attenzione, perché noi, alle volte, ci concentriamo molto sull’onore, ma poco sull’onere. Onore e onere vanno sempre di pari passo, anche se noi tentiamo di disgiungerli, di separarli, perché noi vogliamo tenerci l’onore e non vogliamo l’onere. Invece non si può. Va da sé che chi è stato chiamato al sacerdozio, chi è stato chiamato alla predicazione, ha un compito di grande onore, che però comporta anche grande onere, da tutti i punti di vista. Certamente è una vita esposta, è una vita sacrificata, è una vita offerta, è una vita impegnata, è una vita che, come quella di un capitano di un esercito, non è più tua, che non ti appartiene più. Anche perché, ogni capitano sa che ha la responsabilità della vita di decine di migliaia di soldati; quindi, capite che è una cosa molto seria, molto onerosa.

E poi, lei dice: non continuiamo a chiedere conforti a Dio, anche perché questo non è da umili. E aggiunge che il Signore, di fatto, ascolta poco queste domande; perché c’è una constatazione da fare, ossia che tutti vogliono i conforti, ma pochissimi sono quelli disposti a bere il suo calice. Infatti, Padre Pio ripeteva di frequente: “Molti, moltissimi vengono qui a chiedermi miracoli di guarigione, ma pochissimi mi chiedono il miracolo di saper portare la loro croce”. Capite?

7 — Se volete avere una regola per sapere se vi siete avanzate in virtù, ognuna di voi, sorelle, esamini in sé stessa se si crede la più miserabile di tutte e se in vista del bene e dell’utilità delle altre non teme di manifestarsi per tale anche con le opere. La regola è questa, non già le delizie dell’orazione, i rapimenti, le visioni e le altre grazie straordinarie che Dio concede e di cui non possiamo conoscere il valore che nell’altra vita. Là si tratta di una moneta che ha sempre corso, di un fondo assicurato, di una rendita che non può mancare, mentre qui è questione di un bene che ci vien dato e che ci può essere ritolto. Insomma, la nostra ricchezza è tutta in una profonda umiltà, in una sincera mortificazione e in una obbedienza così esatta da non dipartirci di un apice da ciò che i Superiori ci comandano. Essi tengono le veci di Dio, e per mezzo loro, come voi sapete, Egli ci fa conoscere il suo volere. L’obbedienza è l’argomento su cui dovrei fermarmi più a lungo, perché senza di essa non si è religiose; ma siccome parlo a monache che mi sembrano molto buone o che almeno desiderano di esserlo, di questo soggetto tanto conosciuto ed evidente non dirò che una parola, pregandovi di non mai dimenticarla.

Allora, una regola per sapere se siamo e se stiamo crescendo nella virtù, dice Santa Teresa, è quella di esaminarsi e vedere se ci crediamo i più miserabili di tutti, e se non abbiamo paura che questa miseria si manifesti anche all’esterno. 

Sapete, magari uno arriva anche a dire: “Sì, sono un po’ un pasticcio di persona”; magari, se uno ha una grossa coscienza dei propri peccati, può anche dire: “Sono veramente un grandissimo peccatore”; però, che questo emerga dalle opere… mhmm… su questo facciamo un pochino più fatica. Ci risulta un po’ più difficile perché, con le opere, noi invece vogliamo che gli altri ci apprezzino, che gli altri non si avvedano che facciamo dei pasticci, o magari dei disastri; che gli altri non notino che noi siamo dei poveracci. 

Quindi, “dentro di noi”, magari, ancora ci possiamo arrivare, con grande sforzo, ma che anche gli altri lo vedano, questo ci risulta un pochino più faticoso. E questo perché? Perché manchiamo di umiltà, questa è la ragione. 

Poi Santa Teresa parla dell’obbedienza; certo, se uno vive come sacerdote, come religioso, è chiaro che viene più immediato e più spontaneo comprendere queste parole; ma, in una famiglia, sul lavoro, non dobbiamo forse, in un certo qual modo, vivere l’obbedienza? Eh, sì! Se fossimo proprio coerenti, la risposta sarebbe sì. Perché in famiglia, i figli sono chiamati ancora oggi — non è cambiato nulla — ad obbedire ai loro genitori: un figlio deve obbedire ai suoi genitori, c’è proprio un’obbedienza legata al suo essere figlio. 

E poi noi possiamo esercitarci anche in quella che si chiama l’“obbedienza orizzontale”. Per esempio, i coniugi possono allenarsi ad obbedirsi l’un l’altro. Certo, stiamo parlando di un’obbedienza che mira alla virtù, alla santità, ovviamente; non è che, se uno mi dice di fare una cosa contro la legge di Dio, io devo farla perché devo obbedire! Ovviamente no; ma se i coniugi sono orientati a questo cammino di santità, beh, si possono allenare l’un l’altro, no? Certo! E questo credo che potrebbe essere un ottimo strumento di allenamento, e possiamo provare oggi; oggi provate ad allenarvi ad obbedire a chi il Signore vi metterà lì, che sia il datore di lavoro, che sia un professore, che sia il papà, la mamma, che sia il marito, la moglie, alleniamoci in questa dinamica dell’obbedienza.

Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.
Amen
Dio ci benedica e la Vergine ci protegga.
Sia lodato Gesù Cristo sempre sia lodato.

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